venerdì 13 maggio 2016

Milano: summit sull’alimentazione del Pianeta o chiassata paesana?

di Antonio Saltini



l Crystal Palace era un'enorme costruzione che fu eretta a Londra nel 1851 per ospitare la prima Esposizione Universale.

Il Crystal Palace eretto a Londra nel 1851, 
per ospitare la prima Esposizione Universale.
I termini di un mandato

Sono stato demandato, nel programma di questo incontro, di un giudizio sull’Expo, di rispondere, per maggiore precisione, al quesito se l’Italia abbia offerto al Mondo un incontro in cui un consesso di scienziati internazionali spiegasse al cittadini del Pianeta se e come sia possibile alimentare gli attuali cittadini del Globo, tra i quali, date le prove di inattendibilità delle statistiche ufficiali, reputo gli affamati assai più numerosi di quanti siano classificati tali, accrescendo, quindi le produzioni per chi non raggiunge, oggi, le 2.200 calorie quotidiane, e per i due miliardi di nuovi consumatore che pare certo si aggiungeranno a quelli attuali, e che è auspicabile possano godere di un’entità di calorie significativamente superiore a quella a disposizione di chi vive, oggi, tra la vita e la morte di inedia, o se, più banalmente il paese di Arlecchino abbia offerto l’abboffata che confermasse ai cittadini del Mondo il titolo con cui la nazione italica ambisce essere considerato da paesi e continenti diversi: la nazione del Bengodi.

Il compito non era agevole. Siccome sarebbe stato ridicolo affrontarlo sulla base di impressioni personali, alle quali riservo, comunque, una novelletta finale, ho interpellato quattro scienziati tra i pochissimi studiosi italiani che godono ancora di un lusinghiero prestigio internazionale, in grado, quindi, di giudicare un evento internazionale con parametri diversi da quelli con cui sindaci e amministratori regionali, tutti ansiosi di offrire “panem et circenses” agli adorati elettori, valutano il successo di una fiera della mortadella o della settimana del tartufo. I quattro interlocutori che ho scelto, Dario Casati, Francesco Salamini, Silviero Sansavini e Michele Stanca, ben noti agli omologhi americani o tedeschi dei rispettivi settori, hanno accettato l’impegnativa conversazione con grande disponibilità, autorizzandomi a riferirne il pensiero in assoluta libertà. Verificata l’assoluta assonanza delle risposte alle domande capitali, e il diverso accento sugli elementi di contorno, ho scelto, peraltro, di riferire il giudizio essenziali come pensiero comune dei miei interocutori, esprimendo le valutazioni dei dettagli, anche di diversa intonazione, quali complemento delle chiavi essenziali.
Partecipando a questo incontro Tommaso Maggiore, anch’egli autorità indiscussa della cultura agraria non solo nazionale, non è irrilevante annotare l’omogeneità dei suoi apprezzamenti con l’essenza dei giudizi formulati dai quattro colleghi.

Nutrire il Pianeta


Il tema sul quale l’Italia aveva invitato le nazioni del Globo a riflettere insieme rispondeva all’ambizioso proposito di Nutrire il Pianeta, un tema che avrebbe dovuto essere affrontato da un adeguato consenso di studiosi e proposto all’opinione collettiva dei sei continenti mediante congrui strumenti di comunicazione. Secondo l’assoluta unanimità dei miei interlocutori i banditori dell’Expo avevano concordato, invece, che la manifestazione escludesse categoricamente l’argomento, che avrebbe distratto i visitatori dall’autentica missione loro affidata, ricolmare i padiglioni la cui disponibilità era stata concessa gratuitamente ai compari dagli organizzatori, dall’emiro di Palazzo Chigi al califfo di Milano, perché i beneficiari intascassero tutti il denaro possibile.
Delle due componenti che avrebbero dovuto interagire, dibattito scientifico e alta divulgazione di un tema capitale per il futuro del genere umano, nessuna avrebbe dovuto “distrarre” la clientela , che doveva essere instradata, come mandria di famelici porcelli, alle cento trattorie dei beneficiari dell’affare. Il bilancio dell’Expo non è ancora stato pubblicato. Qualcuno si illude che lo sarà. Non lo sarà mai: nelle proprie decisioni i protagonisti dell’italico affarismo politico non distinguono più, ormai, interesse privato e patrimonio pubblico. Il successo è stato strepitoso, i guadagni, verosimilmente, astronomici, ma privati. L’organizzazione pubblica doveva costituire il supporto degli affari dei compari di chi governava il sontuoso business. Ha assolto alla propria funzione. Chiuso il sipario “Chi ha dato, ha dato, ha dato, chi ha avuto, ha avuto, ha avuto.” Chi lamentava che l’Italia unita fosse una chimera può ricredersi: sia milanese o fiorentino un uomo politico applica, ormai, a tutte le latitudini della Penisola, la filosofia del “guappo” di Casale di Principe.

I servizi alla clientela


L’enunciazione costituente il titolo della manifestazione non era, quindi, per gli organizzatori, che aforisma suggestivo per accendere la curiosità dei gonzi. Solo uno dei miei interlocutori ha obiettato che un significato l’avrebbe avuto, il seguente: “Facciamo vedere ai visitatori come si sfama la gente mangiando e tracannado come noi!”, palesemente un imperativo di superiore valore etico. Tra i compari degli organizzatori non si è mancato di pontificare, infatti, sull’agricoltura “etica”. Pontificare pare essere il verbo lessicalmente più proprio, siccome sono proprio costoro che vengono scelti dall’attuale Pontefice come consulenti per le campagne contro la fame globale prossima ventura.
Ma è su questo terreno che, definiti gli obiettivi della manifestazione, tra i miei interlocutori sono comparse le divergenze. Silviero Sansavini è stato il giudice più severo, segnalando che ai clientes cui erano stati donati gli spazi maggiori è stato consentito di aprire l’Expo quando paresse e piacesse loro, ritardando mesi sul calendario ufficiale secondo i calcoli di bottega sull’inizio dell’affluenza, calcoli certamente esatti, che hanno consentito al Mondo intero di deridere, ancora una volta, l’organizzazione italica di qualunque evento pubblico. Critiche altrettanto severe sono state dirette alla mobilità interna, priva di qualunque riguardo per gli anziani, costretti a percorrere a gomitate chilometri di viali. Fino al punto che la mancanza di mezzi di trasporto avrebbe costretto i visitatori che volessero attraversare l’intero spazio espositivo a richiedere i servizi di un taxi davanti a una porta per farsi condurre, per percorsi esterni, all’altra (ma pare che il Nume dell’impresa nutra propositi elettorali: bisognava, quindi, che i taxisti, elettori fedeli, potessero partecipare al Bengodi).
Date resse e code interminabili, un visitatore che non avanzasse facendo uso di bicipiti della potenza dei motori di un rompighiaccio non avrebbe mai potuto visitare, in ogni caso, più di tre padiglioni al giorno. 


La Tour Eiffel di Parigi all'Exposition Universelle del 1889                 L'Albero della Vita, Expo Milano 2015

Il caleidoscopio dei padiglioni


Tra i rilievi complementari riveste un significato capitale il giudizio sui padiglioni. L’architettura era, per giudizio unanime, di livello elevato, il contenuto sarebbe stato perfettamente coerente all’ispirazione dell’evento. Secondo Francesco Salamini ciascun espositore avrebbe fatto quanto gli pareva e piaceva, mirando essenzialmente alla promotion turistica di casa propria. Solo la Germania, per rispetto a se medesima (non all’Expo italica) avrebbe proposto un padiglione con elevate valenze scientifiche. Emblematico l’atteggiamento degli Usa, che conoscendoci, tradizionalmente, come suonatori di mandolino, ci hanno ammannito videogiochi: fateli divertire, gli Italiani ci saranno grati per sempre! Ma il successo capitale sarebbe stato quella delle rete elastica brasiliana, percorsa e ripercorsa, sobbalzando appassionatamente, da tutte le scolaresche, un test su quali interessi sviluppi nei discenti la scuola italiana dopo le lungimiranti riforme degli ultimi governi di ispirazione ottomana.

Il giudizio sulle valenze del padiglione italiano e su quelli regionali: l’autentica abiezione. Il gioco delle cartoline allo specchio, di cui si vorrebbero conoscere i costi di progettazione, un gadget, secondo lo spartito ufficiale, assolutamente estraneo al tema, e, in più, un’autentica stupidità. Negli spazi regionali, il nulla.

I documenti fondanti della nuova filosofia del cibo


Una nota a parte merita la Carta di Milano, uno zibaldone che raccoglieva tutta l’ignoranza sul tema dei circoli di quartiere, collettivi, istituti universitari (compresa Bocconi e Bicocca) devoti alle dottrine agrarie di fattucchiere e stregoni (la Shiva e Steiner), sulla quale all’Expo non si è sviluppato alcun dibattito (data anche la pratica impossibilità di reperirne copia), consegnata al Direttore della Fao che, verosimilmente, di come accrescere la disponibilità di cibo del Pianeta non si occupa più, e può trastullarsi con i cittadini di una nazione che onora la medesima filosofia della vita dell’amata Rio. Uno dei miei interlocutori ha annotato che la cerimonia di consegna alla Fao dello zibaldone milanese è improbabile possa essere ricordato tra gli eventi che hanno mutato la storia.

Proponendosi di tutelare il prestigio di una città che meritò un posto tra le capitali della cultura settecentesca, la Società agraria di Lombardia ha scritto un testo che, senza proporsi come contro-carta, affrontava alcuni dei temi chiave dell’ardua problematica. Singolarmente, si proclamava in piena sintonia con la dichiarazione della recente enciclica papale sulla possibilità che gli uomini continuino a moltiplicarsi indefinitamente, siccome le possibilità di accrescere la produzione di cibo sarebbero, praticamente infinite. Facciamo l’amore e popoliamo la Terra, che al tempo del comandamento divino non contava che due abitanti. Ma pare che per S. Santità da due a 10 miliardi non sussistano differenze sostanziali. Ma sul tema è sufficiene esecrare le previsioni di Malthus (di cui nessun detrattore ha mai letto il testo), per assicurare la gioia eterna di Marx e dei numerosi papi che dal tempo Marx si sono succeduti sul soglio condividendone, per ragioni opposte, l’implacabile condanna. Oggi un genuino cattolico può dubitare dei dogmi fissati dai concili di Nicea, Efeso e Trento, ma sarebbe schiacciato dal peso dell’eresia dubitando degli pseudo-dogmi di S. S. Francisco.

Scienza occulta e scienza occultata


Pare che per entrare nello staff municipale che organizzava il grande evento costituisse titolo di preferenza professare l’adesione alle dottrine della stregoneria agraria, la Biodinamica e il Vandanismo (da distinguere, superando le immani difficoltà, dal Vandalismo). Trattandosi di dottrine occultistiche la verifica non è agevole. Si può rilevare che la gazzetta della Stramilano, l’antico Corriere della Sera, pare avere assunto il ruolo di bollettino della setta, e, al suo paese, il Corrierone conta ancora.
Ma se è difficile precisare il ruolo, all’Expo, delle dottrine occultistiche, è più semplice realizzare un inventario delle autentiche attività scientifiche: uno dei paradossi più clamorosi della fiera voluta da emiri e califfi nazionali. Francesco Salamini sottolinea il grande sforzo finanziario del Comitato Nazionale delle ricerche per rendere possibile una serie di grandi convegni (si ignora se all’Expo i convegni scientifici internazionali abbiano dovuto pagare sala e luce, per tamponare le falle dovute al dono grazioso degli spazi del vero business). Michele Stanca, presidente dell’associazione che raccogli tutti gli enti di ricerca nazionali, enumera uno a uno gli incontri di rilievo internazionali: di straordinaria levatura quello sulla futura meccanica agraria, di precipuo rilievo un convegno sul breeding del frumento, uno sugli orizzonti del miglioramento genetico, quello dell’Accademia nazionale delle scienze, che ha proposto una rassegna di indagini avanzate in corso in istituti nazionali.

Le sale utilizzate sono sempre state ricolme, annota Stanca, ma chi, come lui, conosceva i membri di istituti e accademie era in grado di certificare che in nessuna di quelle sale sia mai entrato un solo visitastore dell’Expo, siccome l’organizzazione aveva disposto che le riunioni scientifiche fossero autentiche riunioni cabonare, e che tra le migliaia di visitatori in cerca di svago nessuno ne potesse essere attratto, rinunciando a un panino, o a una Coca Cola nei padiglioni degi compari degli organizzatori. Si sarebbe potuto fare quei convegni in qualunque posto diverso del Pianeta, hanno sentenziato i miei interlocutori, evitando ai partecipanti tutti gli incomodi di ricercare il padiglione designato nell’immane caos.

La grande menzogna


Ma non esisteva, può, legittimamente, chiedere il lettore, un comitato comunale per raccordare le manifesazioni scientifiche al grande evento mediatico? Esisteva, ma era stato voluto, per meri scopi pubblicitari, nello spirito della grande Milano di Craxi: moltiplicare esperti e consulenti per premiarli, con doviziosi cachet comunali, della solerzia a favore del P.S.I. (è auspicabile che ai tempi di Berlusconi e Formigoni l’entità dei cachet sia stata ragionevolmente decurtata, ma l’interrogativo sfida gli insondabili arcana regni)

Presidentessa del comitato era, si può ricordare, Claudia Sorlini, ex preside della Facoltà di agraria, una microbiologa che, secondo una pluralità di genetisti, con le proprie elucubrazioni sugli OGM, in funambolistico equilibrio tra la scienza e le chimere dei seguaci del mago Steiner, si sarebbe premurata a disonorare il proprio ruolo di scienziata e il prestigio della gloriosa facoltà di cui era assurta a preside. Ma vale, per Claudia, amazzone del Sessantotto, quanto Jules Michelet, cantore della più sublime di tutte le rivoluzioni, scrive di Annie Théroigne, eroina del Termidoro, l’angelo vendicatore che condusse, a seno nudo (nella versione del più famoso spennellatore dell’evento), l’assalto alle Tuileries sgozzando personalmente tutte le guardie reali che potè raggiungere, quindi prodigandosi a mantenere elevato lo spirito dei Girondini mentre Robespierre praticava l’hobby di inviarli, uno alla volta, sul palco della ghigliottina. Chi ha onorato, come Annie, un supremo ideale rivoluzionario, proclama il vate della Révolution, assurge a un’umanità superiore, cui, per il trionfo di liberté, egalité, fraternité ,non vale più regola morale, perché tutto, nel nome dei sacro e santi ideali rivoluzionari, è giustificato.

E concludo il panorama con l’icastico giudizio di Francesco Salamini: in un paese in cui Parlamento e Governo fossero seriamente impegnati in un’autentica politica della scienza, Milano avrebbe potuto essere la continuazione di Kyoto, dalla cui celebrazione tanti elementi del quadro mondiale sono mutati. Ma in Italia nessun consesso di politici sarebbe mai stato in grado di progettare evento di tanta ambizione intellettuale. Non li si può rimproverare se, ignorando persino dove si trovi Kyoto, abbiano preferito organizzare la fiera del lardo di Colonnata.

Una novelletta personale


Assolto al dovere di riferire il pensiero dei miei illustri interlocutori posso concludere, secondo la tradizione della commedia italiana, con la personale farsetta finale. L’Expo si avvicinava, mi telefona il giornalista  Carradda che già una volta, invitatomi ad una conferenza bolognese (Corte Isolani) mi aveva tolto la parola due volte temendo che quanto avrei detto potesse offendere il padrone, leader di un sodalizio ambientalistico. Risposi che dato il precedente avrei accolto le sue proposte solo alla presenza del mio avvocato. La risposta fu tanto cortese che alla fine accettai un contratto per la consulenza a una serie di filmati sull’agricoltura sul Pianeta. Non so se i filmati siano mai stati realizzati, nessuno mi ha mai interpellato, a Expo concluso mi fu intimato dalla Rai di firmare una modifica contrattuale con cui la mia collabrazione veniva chiusa consensualmente. Risposi che una rescissione unilaterale non aveva bisogno della mia firma. Al telefono la voce prepotente di un funzionario dalle conoscenze giuridiche di uno stradino proclamò che non si trattava di rescissione unilaterale, e che ero tenuto a firmare. Non risposi, il giurista Rai mai più sentito.

Il grande giornalista che aveva richiesto la mia collaborazione convincendomi che non sarebbe stata necessaria la presenza dell’avvocato fu demandato dei compiti di responsabile Expo della Redazione amenità italiote (Rai). Ignoro se vi sia stata qualche connessione con l’assoluto diniego di presentare all’Expo le mie Agrarian Sciences, una serie di volumi che, sognatore illuso, avevo concepito come un futuro vanto della cultura agraria nazionale. I merciai di lardo di colonnata hanno dimostrato la fatuità della mia illusione, né hanno dimostrato condiscendenza per un sognatore i mezzibusti inviati da via Teulada per divulgarne il contributo al trionfo della cultura nazionale.




Antonio Saltini
Già docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e Vita.
E' autore della Storia delle Scienze Agrarie, l’ultima edizione dell’opera, in sette volumi pubblicati tra il 2010 e il 2013, è ora proposta in lingua inglese "Agrarian Sciences in the West". Tale opera, per la ricchezza dei contenuti e dell'iconografia, costituisce un autentico unicum nel panorama editoriale mondiale, prestandosi in modo egregio a divulgare in tutto il mondo la storia del pensiero agronomico occidentale.
 

4 commenti:

  1. In un recente convegno dove dovevo svolgere il seguente tema -
    IL MIGLIORAMENTO GENETICO COME BASE PER L’AGRICOLTURA:IL LASCITO DI EXPO 2015 - ma che ho svolto solo in parte perchè l'uditorio era un'esatta rappresentazione dei visitatori dell'EXPO descritta benissimo da Antonio, avrei concluso così: L’EXPO ci ha lasciato molta demagogia intrisa di ideologia o, altrimenti detto, la "fiera" è riuscita, ma rimane solo una "fiera". Leggendo la nota di Antonio vedo che non mi discosto molto dai pareri delle illustri personalità incontrate da Antonio. Ho solo una soddisfazione: non ho dovuto usare i bicipiti per inoltrarmi tra le "bancarelle della fiera" perchè fin dall'inizio mi sono rifiutato di visitare l'EXPO.

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  2. da il Fatto Quotidiano:Expo ha chiuso il 2015 con un rosso di 23,8 milioni di euro. E a questo vanno aggiunte perdite per altri 7,7 milioni accumulate da inizio anno fino al 18 febbraio, data di messa in liquidazione della società e delle dimissioni di Giuseppe Sala. Il dato, che non era sinora stato reso noto, è messo nero su bianco sui documenti pubblicati sul sito della società riguardanti i rendiconti e le relazioni consegnate dall’attuale candidato a sindaco di Milano due settimane fa.

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    1. non ho i dati e quindi possibilità di verifica, mi chiedo solo che ne è delle aree e della loro allocazione contabile

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  3. Trovo lo scritto del prof. Saltini eccellente e da condividere in ogni sua parte...anche nel titolo.

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