mercoledì 12 aprile 2017

Nella stanza le stagioni: bambini, giochi e agricoltura - Un lontano giorno di primavera

 di Albero Guidorzi 





Marzo
si è risvegliato ed i tipici giorni sereni e ventosi s’intervallano con altri piovosi. Grosse nuvole bianche vagano nel cielo. Ormai le brevi e buie giornate invernali hanno lasciato il posto a giorni più tersi e lunghi. Il giorno precedente con i compagni si è preparato l’aquilone. La carta pecora sottile del caseificio è servita a fare il corpo, due cannucce palustri hanno fatto da scheletro portante, le strisce di giornale pennellate con l’impasto di farina bianca, trafugata dalla madia all’insaputa della nonna, hanno fatto da collante per riunire e trattenere il tutto. Infine le pagine di un vecchio quaderno di prima elementare tagliate a strisce sono servite par fare gli anelli della coda. L’attacco a tre punti è stato fatto con lo spago usato per i salami, mentre il filo per trattenere in volo l’aquilone è quello che la nonna ha filato grosso, ben ritorto e resistente, per tessere i sacchi. L’attesa per il nuovo giorno è spasmodica, il sonno è agitato perchè la frenesia per il giorno dopo è rimasta anche nell’inconscio. Il risveglio però deve subito fare i conti con la consapevolezza del dover prima andare a scuola. Un senso di svogliatezza e di pigrizia ci assale, la vestizione si fa lenta, ed richiami della mamma si fanno pressanti per non farci arrivare tardi a scuola.

E’ il tempo d’inforcare la bicicletta usata del cugino più grande, ci si aggrega alla rumorosa comitiva d’altri ragazzi che, o a piedi, o in bicicletta, transita per recarsi a scuola. Il tempo per arrivare serve anche per fare previsioni. Si scruta il cielo ed i nuvoloni che veloci percorrono il cielo e ci s’interroga se il vento nel pomeriggio rimarrà sufficiente a sollevare e sostenere l’aquilone in volo. La campagna intorno profuma di nuovo e la giovane erba esala odori ormai dimenticati, ma queste sensazioni non arrivano al cervello, esso è troppo occupato al pensiero di far volare l’aquilone.
A scuola l’attenzione non è la solita, il pensiero è rivolto altrove ed il maestro spesso ci richiama, arriva qualche scappellotto che, però, s’intasca in silenzio o sorridendo assieme agli altri compagni che la punizione l’hanno ricevuta poco prima. Gli insegnamenti del maestro volano inascoltati come se il vento marzolino se li portasse con sé prima d’essere uditi. Il dettato è ascoltato senza troppa attenzione e gli errori d’ortografia fioccano numerosi. Finalmente la scuola ha termine, si risale in bicicletta e si ritorna a casa in velocità; non si ha tempo di ascoltare e di vedere nulla. Eppure il giovane sole primaverile ha provocato il risveglio della natura: le api ed i bombi compiono i primi voli, i passeri irrequieti volano da un ramo all’altro e le gemme degli alberi sono ormai gonfie. Anche le margherite e le viole sono ben visibili ai bordi delle strade. All’arrivo la bicicletta non è appoggiata al muro, ma vi è buttata contro, la cartella vola letteralmente sulla sedia d’angolo del corridoio, mentre cappotto, sciarpa e cappello vengono disseminati sulle varie sedie prima di entrare in cucina.
Il rimprovero del papà arriva puntuale, ma è accettato assumendo un atteggiamento molto contrito: si vuole allontanare l’eventualità d’incappare in una punizione che preveda la reclusione in casa per qualche ora del pomeriggio. Il pasto è letteralmente divorato, vuoi per la fame accumulata, vuoi per la fretta d’uscire. La minestra è letteralmente trangugiata, si assaggia un po’ del secondo piatto, mentre il pane e la mela finiscono nelle capienti tasche. Si vorrebbe uscire subito, ma puntuale arriva l’alt della mamma che pretende che prima si svolgano i compiti scolastici. E’ una fortuna che il papà sia già uscito a sistemare al lavoro gli operai, perché la situazione è propizia per dare inizio all’ennesima sceneggiata di disperazione, accompagnata da implorazioni e promesse.
Ancora una volta si riesce a commuovere la mamma che rassegnata acconsente a procrastinare i compiti al rientro, ma alla condizione, però, della promessa di un ritorno ad un’ora precisa del pomeriggio.Finalmente si raggiunge il gruppo d’amici che attende in corte. Si recupera l’aquilone riposto nella camera delle farine e dei mangimi e via di corsa in mezzo ai campi. Gli argini dei canali, liberi da alberi, sono il luogo deputato alla messa in volo dell’aquilone.
Con la mano sinistra si prende il punto di congiunzione dei tre tiranti d’attacco, mentre con la destra si trattiene il fuso su cui è arrotolato il filo. Inizia quindi una corsa sfrenata; essa è seguita dal vociare e dalle incitazioni degli altri ragazzi del gruppo. Raggiunta la velocità di corsa idonea, si libera dalla presa l’aquilone e nello stesso tempo si fa scorrere tra le dita il filo che man mano si srotola dal fuso. L’aquilone lasciato libero fa uno scarto, ma poi prende il vento e, impennandosi, si libra sempre più in alto perché si continua a dare filo e si prosegue la corsa; Ormai il filo sta per esaurirsi, l’aquilone ha raggiunto un’altezza conveniente: esso si è “impostato”, cioè si libra in cielo con lenti movimenti ondeggiati e con gli anelli della coda che svolazzano come impazziti. L’aquilone non ricade più verso il basso, ma rimane ad ondeggiare in alto nel cielo. L’oggetto volante fa la pariglia con le allodole, che come oggetti quasi puntiformi inviano il loro cinguettio penetrante. Non si è stati i soli ad avere l’idea dell’aquilone, altri hanno librato in cielo il loro e la campagna circostante dunque si presta agl’inevitabili paragoni.L’aquilone ondeggia lentamente e si può ancorare il filo al terreno ed essere liberi per un altro gioco. Le sponde degli argini si sono ormai rivestite di un tappeto fitto e scivoloso di tenera erba; l’invito a correre su giù per il pendio è troppo accattivante per non lanciarsi fino alla base dell’argine e poi risalire cercando di sfuggire ai compagni che a metà tragitto cercano di prenderti. I capitomboli sono frequenti e maglie e pantaloni si colorano sempre più di verde. Il gioco, dura lo stretto necessario a dare divertimento, poi si cambia. Alcuni amici stanno osservando l’acqua limpida di un piccolo fosso e improvvisamente avvertono della presenza di salamandre e qualche pesce.
La frenesia della loro cattura investe tutta la comitiva. Alcuni, incuranti dell’acqua quasi gelata, si levano scarpe e calze e scendono nel fosso, ma ben presto l’acqua s’intorbida e niente è più visibile.Il tempo trascorre inesorabile e ben presto il pomeriggio volge al termine, anche il vento è calato e l’aquilone si è abbassato, è l’ora di riavvolgere il filo, farlo scendere e rientrare a casa. La mamma vociante ci accoglie sull’uscio di casa per farci notare che l’ora del rientro concordata è trascorsa da tempo. Si è increduli che sia trascorso così tanto tempo e si è sinceramente rammaricati, non resta dunque che riprendere il contenuto della cartella ed iniziare i compiti. L’esercizio di lettura è lasciato per ultimo, ma essa, assieme al caldo tepore della stufa appena accesa, concilia troppo il sonno e piano piano il viso s’adagia sulle pagine che raccontano un episodio del libro “Cuore”. De Amicis nulla può nei confronti di Morfeo! Il risveglio coincide con l’entrata in casa del papà, al quale subito la mamma racconta la nostra mancata promessa. Quest’ultima mancanza purtroppo si aggiunge ad altre prima perdonate, il tempo è ormai maturo per pagare d’un sol colpo questa e tutte le precedenti marachelle solo sgridate: due ceffoni ci arrossano le guance, ma il grembo accogliente della nonna seduta vicino alla stufa rende le nostre lacrime meno amare e disperate. La cena è consumata in silenzio e non v’è bisogno d’essere mandati a letto: la sopraggiunta stanchezza fisica per il pomeriggio intenso di giochi faticosi e quella morale per la punizione ricevuta, conciliano la voglia di sonno. Le pesanti coperte ancora ricoprenti il letto, offrono ben presto un gradito tepore che favorisce il sognare. L’ultimo pensiero, prima d’addormentarsi, è andato all’aquilone ed il sogno ci vede saltellare leggeri da una nube all’altra come leggere piume ad osservare dall’alto gli aquiloni svolazzanti. Neppure il bacio della mamma, ch’è venuta a rimboccarci le coperte, ci fa scendere dal cielo!
 
------------------------
Da: “Le tradizioni del calendario contadino” – autore Alberto Guidorzi – Ed. Sometti
 
 

                   
Alberto Guidorzi  
Agronomo. Diplomato all' Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni presso la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.



 

4 commenti:

  1. Signor Guidorzi,
    è un po’di tempo che la seguo, soprattutto per imparare. OGM, frumenti, diserbanti. Vita nei campi: sto leggendo il Suo libro “La vita nei campi” che ho trovato in internet… Ma quest’ultima lettura è andata diritta al cuore! L'aquilone! Una cosa così da poco che ha riempito la mia infanzia! Leggendo ho sentito il tepore primaverile, il vento, i piedi nell’acqua dei fossi!... Anche dall’altra parte del mondo i bambini degli emigranti avevano gli stessi divertimenti (però mancavano le nonne…). Grazie! Lina

    RispondiElimina
  2. Lina

    Mi fa piacere averti suscitato dei ricordi belli. Come vedi gli scapaccioni mi sono serviti.....anche perchè ho capito che dietro vi era comunque tanto amore.

    RispondiElimina
  3. Sono molto piu' giovane di Guidorzi ma da piccolo l'aquilone lo costruivo proprio nella stessa maniera.
    Belle immagini , molto simili alle mie giornate nel Polesine di quand'ero bimbo.
    Victor.

    RispondiElimina
  4. Victor

    Alto o Basso Polesine? Se Alto ci divide solo il Po e quindi usi e costumi uguali.

    RispondiElimina