sabato 1 settembre 2018

PERCHÉ VEGANI (E VEGETARIANI) RICORRONO CON TANTA FACILITÀ AL “FALSO”?


di  GIUSEPPE BERTONI  




Mi è stato suggerito nei giorni scorsi un intervento sul tema degli alimenti di origine animale, a seguito di un articolo di Francesca Ricci di VEGANOK, apparso il 15 febbraio 2018 su AgenPress e nel quale si parla di “una sempre più costante riduzione dei prodotti di origine animale” (nella dieta degli italiani) con tutta una serie di “improbabili” vantaggi per la salute. Lo faccio volentieri anche perché non sono mai stato un “pro animal foods”, benché zootecnico (o meglio appassionato di allevamento di animali) fino al midollo delle ossa: da bambino per gioco, da ragazzo per lavoro nell’azienda agricola di famiglia e dopo la laurea, fino alla pensione, per scelta professionale. Lo attesta anche il fatto che mi sono sempre “gloriato” di essere un grande consumatore di pane (oltre a pasta e riso), ma anche di verdura non amidacea e di frutta. Da questo punto di vista, credo sia utile sottolineare che inizialmente si trattava prevalentemente di ragioni di gusto, ma ben presto si sono aggiunte ragioni di tipo salutistico (anche se ho sempre rifiutato di accogliere in toto le teorie di Keys su colesterolo-acidi grassi saturi) e più recentemente di sostenibilità etico-ambientale.
Dunque, anche sul piano personale, credo di essere stato “abbastanza” coerente nel fare scelte di una dieta che sia rispettosa anche degli aspetti etico-ecologici (privilegiando i vegetali), nella consapevolezza che il mio mangiare carne o uova o latticini ecc. significa creare una qualche “sofferenza” a qualche animale e inoltre un maggiore impatto sull’ambiente. Tuttavia, come detto sopra, dare largo spazio ai vegetali non significa affatto escludere gli alimenti di origine animale; ciò al contrario di quanto sostenuto nel secolo scorso da Keys – sicuramente vegetariano e che ha “toppato” nell’affermare che la dieta mediterranea non include burro, formaggi e carni di ruminanti – peraltro smentito se alla 3° copertina che TIME gli ha in qualche modo dedicato (23 giugno 2014) si riporta un “ricciolo” di burro e la scritta “Eat butter”! In poche parole, appare con sempre maggiore evidenza che a essere dannosi per la salute sono solo gli eccessi di carni, latticini ecc.; mentre la loro mancanza, specie se assoluta, è sempre causa di malnutrizione più o meno grave con problemi che vanno dall’inadeguato sviluppo (anche cognitivo) nei bambini, fino alla maggiore suscettibilità alle malattie per minore sviluppo del sistema immunitario (ma anche anemia, osteoporosi, sarcopenia ecc.) negli adulti.
Come sempre più spesso accade, siamo quindi di fronte ad alcune esigenze dell’uomo (alimentari e non) che consigliano il ricorso agli animali, mentre ve ne sono altre, degli stessi animali e/o dell’ecosistema, che lo vorrebbero impedire. Si tratta quindi di una scelta con implicazioni tecnico-scientifiche, ma anche etiche (cosa è bene e cosa non lo è):


a) in termini tecnico-scientifici, già abbiamo provato a dimostrare l’indispensabilità degli alimenti di origine animale, nella giusta misura che non tocca a me definire, per l’uomo. Ciò non è facilmente percepito da chi nei nostri Paesi ricchi è avvezzo a vedere persone vegetariane in perfetta salute; non si comprende infatti che questo risultato si deve alla grande varietà di alimenti disponibili nei nostri Paesi (sorvoliamo sui prezzi talora esorbitanti), oltre che alle diffuse possibilità di integrazione (specie vitaminico-minerale). Viceversa, l’inevitabile semplificazione delle diete rende problematica una corretta alimentazione a base vegetale nei Paesi poveri, a meno che sia possibile disporre di un minimo di alimenti con elevate concentrazioni dei nutrienti chiave: appunto i prodotti di origine animale. Questi, possono fra l’altro ovviare, oltre che a molte carenze, anche alla mancanza – in questi Paesi - di adeguate conoscenze nutrizionali, poiché basta un poco di carne, di latte o un uovo per risolvere molti problemi, specie nei bambini post-svezzamento. Circa il benessere animale e l’impatto sull’ecosistema, i sistemi di allevamento debbono comunque garantire la possibilità di un sostanziale rispetto del benessere degli animali in quanto “detentori” di diritti, ancorché secondari, che implicano un loro rispetto. Circa l’ambiente, è indubbio che nella loro funzione di trasformatori di alimenti vegetali in carne, latte, uova ecc., gli animali hanno una efficienza piuttosto bassa. Essenziale quindi il conseguimento di livelli sempre più elevati della loro efficienza, grazie a genetica, condizioni di salute ottimali, applicazione di sistemi di precisione nelle tecniche di allevamento e alimentazione ecc. Infatti, il contenimento dell’impatto ambientale diretto degli allevamenti (metano, ossido d’azoto, nitrati, fosforo, metalli ecc.), si consegue sia riducendo gli animali necessari per ottenere i prodotti richiesti (più produttività grazie proprio all’intensificazione), sia riducendo il carico inquinante delle deiezioni e sia infine ricorrendo a forme appropriate di utilizzo delle deiezioni stesse;

b) in termini etici, la cosa è per certi versi più complessa, poiché implica l’approntamento di una scala di valori nella quale l’uomo potrebbe trovarsi in posizione diversa, quindi non necessariamente “in vetta” come viceversa suggerito dalla tradizione giudaico-cristiana. In quest’ultima, da noi sostenuta, è chiaro che l'animale “appartiene” all'uomo, il quale può servirsene sia come cibo sia come strumento di lavoro; infatti la Bibbia riconosce come lecita l'uccisione dell'animale non solo per scopi difensivi, ma anche per qualunque altro fine che sia di utilità all'uomo. Al tempo stesso però la Bibbia suggerisce il rispetto dell'animale in quanto creatura di Dio e a Lui sotto messa.

Nessun dubbio quindi, che – per chi accetta queste regole etiche - l’uomo può (e deve) avvalersi degli animali, specie per garantire un cibo che sia nutrizionalmente appropriato, ma contemporaneamente deve rispetto all’animale e al “creato” (ecosistema) che dell’uomo stesso e degli animali è la “casa”. Di qui il personale suggerimento: cibo da animali sì, ma con sobrietà e moderazione; cosa ciò significhi concretamente è pure discutibile, per cui ci si può limitare a ricordare che un più moderato uso di prodotti di origine animale è possibile nei paesi sviluppati, perché le loro quantità nella dieta sono rilevanti (circa 20 % dell’energia e 48 % delle proteine ingerite), mentre la varietà degli alimenti vegetali disponibili permette ugualmente un buon apporto di nutrienti critici. Per contro, nei Paesi poveri il problema è di gran lunga più difficile da affrontare, poiché la disponibilità di alimenti animali è spesso irrisoria, specie per le proteine (circa 13 % dell’energia e 28 % delle proteine) e la dieta troppo “monotona”.
A parte queste “mortifere” affermazioni (per i vegani di VEGANOK) di tipo tecnico ed etico di cui mi assumo ogni responsabilità, sono a questo punto “dispiaciuto” che siano in errore anche nel “cantare vittoria” per le false informazioni sui consumi; non è infatti vero che stia calando il consumo degli alimenti di origine animale, poiché in Italia si sta da quest’anno assistendo a un lento recupero dei consumi di carni e latticini (come asserisce FEDERALIMENTARE), mentre nei giorni scorsi è uscito il report: “OECD-FAO Agricultural Outlook 2018-2027” che per il prossimo decennio prevede a livello mondiale un semplice rallentamento della crescita dei consumi di carni, ma una accelerazione della crescita dei consumi di latticini (per effetto soprattutto dei PVS, come precedentemente auspicato).


Giuseppe Bertoni
Già Docente universitario alla Facoltà di Agraria di Piacenza, è stato direttore all' Istituto di Zootecnia dello stesso Ateneo. Ha al suo attivo oltre 450 lavori a stampa , di cui oltre 350 a carattere sperimentale.




7 commenti:

  1. Giuseppe innanzitutto ciao e complimenti per l'equilibrio, che certamente non caratterizza frange estreme delle varie sfaccettature del veganesimo più radicale che ha deciso di usare la violenza per impedire la macellazione e i luoghi di vendita delle carni. Comunque la nostra generazione, ma soprattutto quella dei nostri padri ha vissuto un'epoca in cui la fame era il più delle volte insoddisfatta anche in funzione del dispendio energetico imposto dal lavoro agricolo di quei tempi. Era un'epoca nella quale la carne, per lo più del quarto anteriore, era mangiata solo alla domenica ed in gran parte lessata vuoi perchè dura e vuoi perchè così si poteva godere del brodo (esisteva la "bassa macelleria e anche le macellerie equine). Non per niente vi era il detto che il contadino mangiava la gallina solo se era ammalato lui o la gallina, oppure si raccontava la storiella di quell'operaio agricolo che rimasto a cena dal padrone e vistosi servire insalata con sopra un uovo sodo intero, chiede che razze strane di galline detenevano che deponevano un uovo intero, infatti, a suo dire, quelle di sua moglie deponevano solo delle mezze uova...... Con l'aumento della produttività in agricoltura sia come lavoro che come prodotti si passati alla cultura dell'abbuffata (non che non se ne facessero anche prima, solo che erano molto più rare). Come tutte le esagerazioni, aggravate anche con il venir meno di buona parte della fatica fisica del lavoro agricolo, anche quella del rimpinzarsi in ricordo di tempi grami ha evidenziato inconvenienti di salute e quindi ormai si è capito che la parsimonia autoimposta (prima era eteroimposta) era la via maestra da seguire. Pertanto non vi è bisogno di nessun radicalismo e tanto meno del collocare l'animale su piedistalli a cui tra l'altro l'evoluzione non li ha posti, ma vi è solo bisogno di seguire i dettami della scienza dell'alimentazione per portare i consumi di carne a dei livelli perfettamente tollerabili per l'ambiente.

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  2. È tutto condivisibile mangiare di tutto con parsimonia, soprattutto, se non si fa molto movimento e dopo gli anni giovanili in cui l'assunzione di proteine e lipidi sono necessari allo sviluppo. Comunque anche in medicina geriatrica si invitano gli anziani a non abolire l'assunzione di proteine derivanti da carni. Mi spiace per i vegani, penso che rispettare gli animali sia giusto, però il Creato ce li ha forniti e nell'equilibrio ci sta pure l'utilizzo degli stessi. Se devo essere sincera a me dispiace anche recidere verdure e frutti anche loro a seguito di ciò muoiono! I vegani non ci pensano?

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    1. Inoltre non è vero che le piante siano insensibili se giudichiamo da certe reazioni agli stimoli come ad esempio le foglie di mimosa che si ritirano al tatto o l'eliotropismo ecc.

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  3. Argomentazione davvero interessante. La neurologia dei vegetali è linkata in questo articolo http://www.sivelp.it/piante-e-animali-che-ribaltano-preconcetti/

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    1. Gentile Troi La neurobiologia vegetale esiste solo nella mente un po contorta del prof. Stefano Mancuso: http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Piante-di-glicine-rampicanti-invadono-Palazzo-Strozzi-Firenze-installazione-esperimento-428ca744-2c96-44ae-b769-e8f834f3dd9f.html#foto-1

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    2. Che la mente di Mancuso sia un po' (forse troppo) contorta (più contorta però è la mente di chi gli ha dato i soldi per fare quello che ha fatto), tuttavia se vi leggete questo sembra che vi sia parecchia roba ancora da scoprire. http://culturagriculture.blogspot.com/2018/07/136-spirit-of-plants-13-communication.html

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  4. E' fuori dubbio che l'alimentazione equilibrata dell'uomo comprende anche una moderata quantità di cibi di origine animale. Si possono esporre tutte le motivazioni scientifiche a favore della dieta onnivora ma i vegani più convinti sono assolutamente fermi sulle loro posizioni e non c'è modo di fargli cambiare idea. Si tratta comunque di una percentuale esigua della popolazione italiana (circa il 2 % secondo i dati Eurispes), e ciò a dimostrazione che questa frangia ristretta rappresenta l'eccezione che conferma la regola (dieta onnivora).



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