lunedì 10 febbraio 2020

LE AGRICOLTURE ALTERNATIVE: LA PERMACULTURA - Seconda parte

 di ALBERTO GUIDORZI                                                                      Prima parte

                                                                Tratto da " I TEMPI DELLA TERRA" | N° 4|


La Permacultura

È più un modo di vivere che di coltivare, che tra l’altro usa metodi molto costringenti, non si può che coltivare micro-superfici per l’eccessivo impiego di manodopera, le produzioni sono limitate solo a frutta e verdura, le rese sono minime. Lo scopo non è la produzione in sé, al punto che non alimenta del tutto gli addetti, è più importante il rispetto del terreno (qui).  Niente di straordinario dunque: si tratta del patchwork di concetti vaghi per tentare di giustificare un modo di coltivazione singolarmente retrogrado ed arcaico.

Se agricoltura ragionata ed agricoltura durevole rientrano nei canoni di una moderna agricoltura professionale, perché basate su criteri scientifici, e mirano a contrapporsi a sistemi di coltura che rapinano le risorse, le altre agricolture alternative richiedono innanzitutto incentivi supplementari dalla politica agricola, rivelano numerosi limiti; le agricolture quali la "biologica", la biodinamica, la naturale, l’agro-foresteria e la permacultura dimenticano che comunque, in un mondo globalizzato, alle piante coltivate si richiede di produrre cibo in quantità sufficienti per sfamare quante più persone possibili e dato che queste agricolture lascerebbero comunque alla fame popolazioni intere, rimane sempre da sapere “chi decide chi”.
Soffermiamoci ora ad analizzare più in profondità la permac”u”ltura; il solo fatto che il vocabolo si debba scrivere con la “u” e non con la “o” ce ne anticipa eloquentemente il significato.
La permacultura è stata creata da due australiani: Bill Mollison e David Holmgren negli anni 1970. Mollison non è un agronomo, ma un professore di scienze ambientali che pretende di inventare un nuovo modello di società (siamo all’epoca della guerra del Vietnam) e immagina un’ecologia “sistemica” che possa applicarsi ovunque nel mondo. È palese l'influenza di Fukuoka, e su questa base propone il progetto di una società globale, ma si differenzia dall’agricoltura "naturale" in quanto la permacultura necessita, come vedremo, di una quantità di lavoro ragguardevole. Holmgren definisce la permacultura come insieme di "paesaggi specificamente concepiti per imitare i modelli e le relazioni trovate in natura, ma fornitrice di abbondanza di nutrimento, di fibre e di energia per soddisfare i bisogni locali (ndr: ma vedremo che non è così). Le persone, le case ed i modi di autorganizzarsi sono l’essenza della permacultura, e la visione permaculturista di un’agricoltura permanente evolve verso una vera e propria “cultura” permanente o durevole”.
Circa l’abbondanza della produzione, gli ideatori la spiegano con un’asserzione del tutto singolare: se ho un melo che produce tante mele, dato che queste all’interno hanno molti semi che il melo disperderà in natura, quando questi semi germineranno si avranno molte più piante e queste daranno molte più mele del solo melo di partenza.
La permacultura, come tanti altri approcci marginali rispetto all’agricoltura "biologica", nasce dalla convinzione scaturita intono agli anni 1960 secondo la quale a causa dell’esaurimento delle energie fossili, fosse urgente prepararsi alla scomparsa della società industriale e quindi al ritorno all’agricoltura di sussistenza. In altri termini la natura fa le cose razionalmente, mentre l’intervento dell’uomo creerebbe soltanto disordine.
I giardini forestali commestibili della permacultura avrebbero l'obiettivo di restaurare il presunto stato ideale di equilibrio naturale che l’uomo ha perturbato distruggendo le foreste e arando le terre. La dottrina dimentica, palesemente, che il disequilibrio è invece sempre presente in natura, comprese le foreste che devono evolvere per adattarsi alle costanti perturbazioni quali gli stress dovuti all’ incostanza del clima, alla lotta per l’accesso alla luce, all’acqua e alle sostanze nutritive; senza dimenticare la pressione dei bioagressori e l’apparizione di nuovi predatori più aggressivi.
Vediamo di calare nella realtà le enunciazioni riferite sopra e riassumibili in: “un modo di vita legata alla tecnica colturale che prefigura una società post-capitalista”. Si tratta di creare delle nicchie d’indipendenza che si proiettano verso la società del futuro, di riprendere la propria libertà nei confronti delle costrizioni del capitalismo che impone uno stile consumeristico. Al limite vanno oltre il comunismo per abbracciare il comunismo utopico condannato pure da Marx. Si tratta in definitiva di una pratica agricola legata ad una visione idilliaca della natura, supposta in grado di fare meglio dell’uomo.
I testi che illustrano questa agricoltura alternativa proclamano che si adatterebbe alle microaziende e quindi eviterebbe la scomparsa dei piccoli agricoltori. Si dimentica però di dire che ben prima che i due utopisti australiani codificassero questa agricoltura, in Bangladesh si praticava e si pratica tuttora un’agricoltura su piccole aziende da parte di piccoli agricoltori che obtorto collo devono lasciar fare alla natura, solo che ben conosciamo la povertà cronica di questo paese.
L’applicazione di tutte le direttive teoriche si concretizzano in campo con una stratificazione vegetativa verticale che attornia l’insediamento umano, ecco che abbiamo una commistione di grandi alberi con alberi da frutto più piccoli, degli arbusti e, al suolo, delle colture orticole o cerealicole. Orizzontalmente invece s’individuano 6 zone: la casa, la zona limitrofa alla casa, l’orto, il frutteto e le altre coltivazioni. La zona afforestata è in parte curata ed in parte lasciata alla libera vegetazione. Il tutto sarebbe organizzato per sfruttare al massimo un’energia che il sistema sarebbe capace di captare e conservare. Di questo nuovo mondo viene data anche un’illustrazione rappresentata da un fiore stilizzato a 7 petali volti a rappresentare i domini vitali che riuniscono l’etica ed i principi concepiti per sostenere l’umanità nella decrescita energetica. 






Come molte ideologie che si fondano su supposizioni filosofiche o pseudoscientifiche, la permacultura non sfugge alle «deviazioni revisioniste» dei suoi principi fondamentali che gli adepti ortodossi considerano inaccettabili. È il caso della coltivazione su prode che una foto sotto schematizza. La proda ha lo scopo di continuare a dare nutrimento attraverso lo strato di sostanza organica e per più tempo tramite i pezzi di legno che man mano si decompongono. Il sistema è stato introdotto da Emilia Hazelip negli anni 80.



Permacultura: costruzione di una proda

















Altra deviazione sono i giardini ”mandala. I Mandala sono, per tradizione, uno strumento unico per acquisire 
la consapevolezza di uno spazio nel quale fissare la mente, concentrandola nella comprensione del proprio mondo interiore.


Analisi economica

Innanzitutto non esiste alcun esempio di coltivazioni di grande coltura (cereali, mais ed oleoproteaginose) coltivate con i metodi della permacultura e capaci di nutrire una famiglia. La letteratura cita solo esempi di coltivazioni orticole e frutticole su superfici di soli 1 o 2 ettari al massimo. In queste aziende di cui è stata analizzata l’organizzazione in Francia (in Italia non sono disponibili dati) e che sono a forte domanda di manodopera, l’economicità pare fantasma inafferrabile. Anzi già nelle aziende di questo tipo, ma convenzionali siamo di fronte a vere e proprie “colonie di lavoro forzato”. Stando ai dati si devono lavorare dalle 50 alle 60 ore per settimana per una remunerazione che varia tra i 7 ed i 9 €/ora. Se invece analizziamo aziende simili condotte in permacultura i dati sono estremamente negativi: i proprietari della Ferme de la Bourdaisière (1,4 ha), che è stata l’azienda pilota dell’associazione “Fermes d’avenir”, all’inaugurazione del 2014 proclamarono pomposamente l'obiettivo di arrivare ad una cifra d’affari di 100.000 € per far vivere tre persone (5460 ore di lavoro) e che presto sarebbero sorte ben 10.000 di queste aziende. Dopo 4 anni però la migliore annata si è arrestata a soli 27.000 € di produzione lorda vendibile. Ora, ammesso di assumere a riferimento la migliore annata in fatto di costi (16.000 € esclusa la manodopera) la differenza tra ricavi e costi (27.000 – 16.000) si attesta a 11.000 €, somma con cui remunerare la manodopera: sommando il monte-ore a 6.240, il compenso orario risulta di 1,76 €/ora. In conclusione oltre alle enormi spese e con una forte incidenza della manodopera, vi è da annoverare anche una produzione lorda vendibile miserevole (6,40 q di ortaggi/radice e 136,7 q di ortaggi/frutti).
Assumiamo un altro esempio analizzando l’azienda Bec Hellouin, dove si coltivano 1000 mq netti di cui il 42% sotto serra, oltre ad altre superfici in parte coltivate molto meno intensivamente, addirittura incolte o lasciate a vegetazione naturale. Nel 2013, primo anno di attività, la cifra d’affari è stata di 33.000 € con l’impiego di 2.016 ore di lavoro manuale, mentre nel successivo anno 57.000 € con 3.026 ore. In media sono state impiegate 43 ore/settimana. Il reddito netto è stato di 898 €/mese nel 2013 e 1337 €/mese nel 2014. Ora immaginando che nel mese si siano lavorate circa 172 ore, significa che nel 2013 l’ora è stata ripagata con 5,2 €, mentre nel 2014 con 7,8 €, cioè in linea con quanto la letteratura ci ha già illustrato.
Simon Fairlie ha passato 10 anni in una cooperativa di permacultura. L’azienda era di 5,2 ha di cui però solo il 7% era coltivato ed era in questa piccola superficie che tutti lavoravano per ricavare gli ortaggi e la frutta. Nei 4,8 ettari restanti Fairlie era il solo ad occuparsi dei maiali e delle vacche da latte. Tuttavia a causa dell’opzione veganista solo i formaggi, gli yogurt ed il latte erano consumati, i 350 kg di carne, grassi e strutto ricavato restavano inutilizzati. Fairlie li vendeva sul mercato, ma ciò che ricavava non era per nulla sufficiente a coprire i 220 € settimanali occorrenti per acquistare grassi e proteine di origine vegetale (tahini, noci, riso, lenticchie, burro d’arachide e soia), peraltro importati dal mondo intero.
Di fronte a questi dati è legittimo chiedersi come mai queste aziende continuino ad esistere e la stampa ne vanti i meriti auspicandone la moltiplicazione. Prima di tutto perché è una moda, ed i mass-media magnificandone gli aspetti idilliaci accrescono l'audience, in secondo luogo perché queste aziende di grido hanno sostanziosissime entrate extra. Esse sfruttano il “Wwoofing”, un acronimo che sta per “World wide opportunities on organic farms” ossia "Opportunità in tutto il mondo nelle aziende agricole biologiche". In pratica si tratta di lavoranti non pagati, ma paganti nel senso che offrono la loro opera gratuitamente ed in più pagano per apprendere i principi della permacultura. Qualche numero ci rende ragione del perché queste aziende, in netta perdita in quanto a produzione, pubblicizzino la propria attività al fine di richiamare sempre più manodopera gratuita. Sta qui il business, la produzione agricola è uno specchietto per le allodole. Infatti due sono i ricavi extra-produzione: gli introiti per gli stages di formazione, dall’azienda di Bec Hellouin sono richiesti 115 € per una giornata, 525 per 5 gg e 1.050 per 10 gg certificati di corso. L’alloggio costa 10 €/notte per un materasso/poltrona o per piantare una tenda, 20-25 €/notte per una camera e 30 €/die per una roulotte. Per le lenzuola il prezzo è di 20 €/stage. E non è tutto: i pasti non sono compresi e occorre aggiungere 25 €/die per la pensione completa; infine vi è il lavoro gratuito di chi frequenta lo stage L'azienda “Ferme de la Bourdaisière” dell’associazione “Terre et humanisme” dichiara di accogliere tra i 150 ed i 170 tirocinanti e di ricevere domande superiori alle possibilità d’impiego. Ora ogni tirocinante si impegna a lavorare un minimo di 6 ore al giorno ed in più deve offrire una partecipazione solidale di 4 €/die in periodo di formazione e di 3 €/die in periodo di semplice tirocinio. I “discenti” sono inoltre obbligati ad aderire all’associazione versando 16 €. Il computo più banale dimostra che 150 individui che lavorino per 6 ore al giorno oltre a 10 gg di stage assicurano al felice business 9.000 ore di lavoro gratuito ogni anno. Spesso ci si lamenta del costo di lavoro, ebbene i manager della permacultura hanno ideato il modo per far lavorare la manodopera gratuitamente o per un tozzo di pane. Nel Medioevo vigeva il servaggio della gleba. Nessuno è mai stato tanto stupido da ritenere che i poveretti lo accettassero in piena libertà: lo facevano per le brutali regole del tempo. Non sono quindi da deridere, come lo sono gli allievi permacultori, ma da compiangere. Esiste in Italia qualcosa di simile? Certo, un corso tecnico-pratico di 72 ore disseminate in varie regioni d’Italia per ottenere l’iscrizione all’Accademia italiana di permacultura, senza la quale non si riceve il diploma di Progettazione in permacoltura, che permette di progettare per conto terzi ed a pagamento un giardino mandala o un’azienda. Pare non esistano, invece, notizie di volonterosi che amino andare a lavorare pressoché gratis; a meno che non siano dei “rifuggenti l’alienazione salariale” come si legge in un manifesto. L’azienda “Domaine du possible” di proprietà di Françoise Nyssen, ex ministro della cultura di Macron, dimessasi per conflitto d’interesse ha fatto questo annuncio







In estrema sintesi esso dice: “si cercano tre persone disposte a venire a lavorare per noi gratuitamente, in quanto il fare agroecologia è già appagante in sé. Si preferiscono persone con precedente esperienza di lavoro".




Riferimenti:


http://www.forumphyto.fr/2016/09/13/la-ferme-du-bec-hellouin-la-permaculture-adoubee-par-linra/
http://www.lutopik.com/article/bec-hellouin-en-debat
http://www.barricade.be/sites/default/files/publications/pdf/2015_-_la_permaculture_le_nouveau_graal_agricole.pdf
http://www.inra.fr/Chercheurs-etudiants/Agroecologie/Tous-les-dossiers/La-ferme-du-Bec-Hellouin-et-les-microfermes/Ferme-du-Bec-Hellouin-la-beaute-rend-productif
http://afis-ardeche.blogspot.fr/2012/09/humanisme-notre-visite-chez-des.html
http://www6.inra.fr/sciences-en-questions
http://www.lejardinvivant.fr/2015/09/28/buttes-de-permaculture-idees-recues/
http://www.permaculturedesign.fr/jardin-en-permaculture/
http://www.barricade.be/sites/default/files/publications/pdf/2015_-_la_permaculture_le_nouveau_graal_agricole.pdf
http://www.imagiter.fr/2017/03/jardins-mandalas-et-permaculture.html
http://www.imagiter.fr/2017/03/jardins-mandalas-et-permaculture.html
http://www.forumphyto.fr/2016/09/13/la-ferme-du-bec-hellouin-la-permaculture-adoubee-par-linra/
https://blogs.mediapart.fr/yann-kindo/blog/170218/de-l-exploitation-en-milieu-fermier-ecolo
http://www.lafranceagricole.fr/courrier/cest-son-avis-la-main-duvre-gratuiteen-milieu-ecolo-un-sujet-tabou-1,3,3055138235.html http://www.maisondesagriculteurs37.fr/index.php?page=actu-detail&id=6027&retour=accueil





ALBERTO GUIDORZI
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.




8 commenti:

  1. Articolo che ben descrive il mondo della permacultura a cui mi ero interessato anni fa. C'è molta ideologia e ottimismo. Tutti i permacultori che ho conosciuto sono giovani ed in buona fede ed anche molto simpatici. Molti sono cittadini, non campagnoli, e praticano permacultura come un generico atto politico di protesta. Trovo positivo comunque che prendere la zappa in mano sia diventata una moda, dal lavoro nell'orto c'è tanto da imparare.

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  2. La permacultura NON è un insieme di pratiche agricole (o non solo) da mettere a confronto con biologico convenzionale. La permacultura nasce come un complesso sistema di pratiche e saperi finalizzato alla presenza dell'uomo in ambienti particolarmente sfavorevoli e marginali; è pianificazione e disegno del territorio, prima di essere coltivazione del terreno. A parte poi confondere veganesimo e vegetarianesimo (che mi risultano praticate come libera scelta dai permaculturi), la parola italiana permacultura risente dell'ambiguità del termine inglese, visto che la lingua originaria non ritiene la distinzione latina fra coleo e colo.

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    1. E la stregoneria dei giardini "mandala"?

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    2. La traduzione italiana pone volutamente l'accento sulla cultura, rendendo l'originale inglese "permanent agriculture", che non può dare adito a confusioni, con "cultura permanente" (che detto così non vuol dire nulla).

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  3. la permacultura non é una tecnica di coltivazione bensi é un sistema di progettazione. Non ha quindi nulla a che vedere con il giardino mandala o altre tecniche di coltivazione. La permacultura si prefigge come fine quello di ottimizzare i flussi energetici all´interno di un dato territorio, in modo da minimizzare gli sforzi e massimizzare le rese. Si parla di gestione dell´acqua, analisi e rigenerazione del suolo, analisi e gestione dei venti (per evitare per es. l´espansione di incendi), sfruttamento di risorse rinnovabili etc. Il tutto seguendo 3 etiche chiave: cura della terra, cura dell´uomo e condivisione del surplus. La permacultura non definisce alcuna tecnica specifica. Qualsiasi tecnica puo andar bene, basta che non vada contro le tre etiche. Da qui ne consegue che l´articolo é stato scritto da una persona che in merito ha ben poche conoscenze e tanti pregiudizi. Alcune critiche potranno anche essere valutate (accettare il feedback é uno dei 30 principi basi della permacultura), altre invece sono altemente ingiuste. Ovviamente vengono presi woofer. Esattamente come li prendono tutte le aziende organiche, che lavorino in permacultura o no. Per quanto riguarda i calcoli sui guadagni, poi, vengono tralasciate le cose piu importanti: zero fertilizzanti, zero pesticidi, fertilitá del suolo che aumenta, aumento della biodiversitá (piante, insetti etc), prodotti nutrizionalmente migliori, uso limitato di mezzi meccanici, limitati contributi statali (essendo le coltivazioni piu intensive e quindi i campi piu piccoli), migliore gestione dell´acqua piovana con conseguente riduzione dell´erosione del suolo etc. etc. E ce ne sarebbero ancora un bel po di cose da scrivere. Come per es. il ritorno dei giovani in campagna, tanto per dirne un´altra.

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    1. Quello che hai voluto spiegarmi sono cose che capisci solo tu, a noi umili pestaterra non è dato interpretare elucubrazioni tanto criptiche

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  4. Sono uno studente che sta per conseguire il diploma di laurea in scienze agrarie. Vorrei sapere se possibile quale è la produzione vendibile per ettaro annua di almeno una di queste aziende "post capitaliste". Alcuni link per le fonti dell'articolo non sono più disponibili purtroppo, sto avendo qualche difficoltà. Cordialmente

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    1. Silvio diventa difficile saperlo in quanto occorre dividere quanto si ricava dalla vendita dei prodotti dalle entrate per servizi in c/terzi. Sicuramemte la ,seconda voce è molto maggiore della prima, la quale provenendo da uno o due ettari di superficie non fa campare nessuna famiglia (salvo che non possegga redditi extra per riccheza propria. Comunque se gurdi bene vi è specificato un caso la PLV è di 27.000 € da cui si devono dedurre 16,ooo €e quindi ne restano 11.000. Parte dei quali però deve servire a pagare la manodopera.

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