ELOGIO DELL’AGRICOLTORE
Editoriale di ERMANNO COMEGNA
Ci sono alcuni tratti comuni che mi pare siano particolarmente diffusi tra gli agricoltori e sui quali vorrei attirare l’attenzione. Mi ci si soffermo così come li ho percepiti frequentando per motivi di lavoro e soprattutto per l’amicizia che mi lega a diversi agricoltori.
Il primo connotato è la solitudine dell’agricoltore, intesa come consapevolezza di dover contare unicamente sulle proprie forze e tenere a bada l’invadenza di chi è in diretta competizione, talvolta in modo subdolo, per conquistare quote crescenti di ricchezza prodotta dall’attività primaria.
L’Annuario dell’agricoltura italiana ci ricorda che nel 2001 i consumi intermedi e cioè le spese sostenute per l’acquisto dei mezzi correnti, come i concimi, le sementi, l’energia e gli antiparassitari, assorbivano il 33% del valore della produzione totale agricola. Nel 2023 hanno superato la soglia del 48%, il che ha contribuito a rendere sempre più precario il raggiungimento di adeguati e stabili livelli di reddito per l’agricoltore.
A ciò si aggiungono anche gli eccessi della burocrazia e le inutili complessità che nascono da disposizioni legislative europee, le quali poi si amplificano con carichi supplementari introdotti in modo ingiustificato a livello nazionale. Sempre più spesso gli agricoltori denunciano un aumento dei costi fissi che derivano dall’esigenza di conformità rispetto agli obblighi di legge, con la difficoltà a seguire in modo autonomo diverse pratiche amministrative, molte volte incomprensibili e tali da non apportare alcun valore aggiunto alla gestione aziendale.
Gli agricoltori sono indifesi rispetto a certe dinamiche, poiché c’è una convergenza di interessi per far crescere la domanda di prodotti e servizi da parte dell’impresa agricola, anche da chi, invece, dovrebbe contrastare fenomeni di questo tipo, soprattutto quando non producono alcuna utilità concreta.
Una seconda caratteristica che ritrovo frequentando molti amici agricoltori è la semplicità, intesa come virtù contraria all’arroganza e alla presunzione e come inclinazione alla misura, alla sobrietà ed al pragmatismo.
Credo che tale inclinazione derivi dall’esperienza quotidiana dell’agricoltore chiamato ad affrontare regolarmente imprevisti di diversa natura, dovendo fare i conti con un’attività che si svolge a cielo aperto ed è quindi condizionata da fenomeni incontrollabili, come gli eventi meteorologici che comportano gravi danni alla produzione e alle strutture aziendali; il cambiamento climatico che richiede di sviluppare doti di adattamento e di resilienza nel lungo periodo; gli attacchi di agenti patogeni avversi alle colture e agli animali. Per non parlare della volubilità dei mercati agricoli, caratterizzati da oscillazioni, talvolta improvvise e consistenti, dei prezzi dei prodotti e dei costi dei mezzi tecnici utilizzati in azienda.
Un terzo elemento che amplifica la mia stima nei confronti degli agricoltori è la competenza, prerogativa di fondamentale importanza per la società. A parte la capacità di produrre materie prime alla base degli alimenti e delle bevande che quotidianamente tutti utilizzano, ho notato con una certa sorpresa le particolari doti in termini di conoscenza del territorio e dimestichezza con gli strumenti da utilizzare per la cura, la manutenzione e, soprattutto, per evitare i danni che l’incuria provoca alla singola azienda ed alla collettività. Non è necessario avere un occhio allenato per comprendere la differenza che c’è tra le sempre più diffuse aree incolte o abbandonate e quelle gestite sotto la cura dell’agricoltore.
Le istituzioni sono sempre più coscienti del ruolo multifunzionale connesso all’attività agricola e cercano di trovare delle soluzioni efficaci per il riconoscimento dei beni pubblici prodotti. La sfida non è semplice da affrontare ed è ben lungi dall’essere risolta. Infatti le proposte finora formulate, come gli impegni agroambientali basati sui risultati e il mercato dei servizi ecosistemici (crediti di carbonio e crediti natura) appaiono oggi poco in linea con gli interessi delle piccole aziende agricole.
Da ultimo vorrei soffermarmi sull’attributo che ritengo essere il più misterioso tra quelli menzionati e cioè il legame, la devozione e la pervicacia che legano l’agricoltore alla propria attività, nonostante le difficoltà e le delusioni. Con una certa meraviglia ho constatato che l’incidenza di coloro che sono soddisfatti del proprio lavoro è superiore tra gli agricoltori rispetto a chi svolge altre attività professionali. Le radici familiari e culturali, il senso di libertà che deriva dal lavoro a diretto contatto con la natura ed all’aria aperta, l’indipendenza tipica delle attività professionali autonome, verosimilmente sono alla base dell’orgoglio dell’agricoltore e dell’ostinazione a far parte di questa comunità, pur sostenendo sacrifici che non sono adeguatamente ricompensati.
Purtroppo la dedizione verso il proprio lavoro e l’amore per l’attività agricola tendono a non essere ereditarie, in quanto buona parte dei figli di agricoltori scelgono altri indirizzi professionali, perché poco disposti ad affrontare gli ostacoli e le rinunce ai quali sono stati sottoposti i loro familiari. Per certi versi ciò è comprensibile, ma forse si perde qualche privilegio che il mestiere di agricoltore ancora oggi assicura, nonostante tutto.
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