mercoledì 12 settembre 2018

DAL “SESSANTOTTO” AL SALAME ECOCOMPATIBILE.

di ALBERTO GUIDORZI 

 


A distanza di 56 anni dalla mia laurea a Piacenza ricevo ancora “Presenza”, rivista dell’Università Cattolica. Nel n° 3/2018 ho così letto il resoconto di un convegno sul “68 in Cattolica” (Towards 68 – Catholic students in Europe during the Sixities) e qui sotto riporto alcune considerazioni personali che spero potranno interessare i lettori.
Io il 68 non l’ho vissuto da studente ( da tre anni ormai facevo la spola tra Francia e Italia per motivi di lavoro) e anche se vedo che nel convegno si è detto che la contestazione era iniziata ben prima, posso dire che a Piacenza, dove ho frequentato la facoltà di Agraria della Cattolica, non ne ebbi alcun sentore. Forse perchè noi a Piacenza eravamo dei “pestaterra” e poco discutevamo di massimi sistemi, ma molto di come far uscire l’agricoltura dall’autoconsumo e dal poco mercato.

In una comunicazione al convegno si è affermato che è fuorviante far risalire l’inizio della contestazione in Cattolica all’aumento delle tasse universitarie e che invece il tutto partiva da una riflessione sull’essere “universitari cattolici”. Tale lettura trascura tuttavia il fatto che per molti di noi era già largamente appagante il solo essere universitari, appunto per gli ampi spazi di lavoro gratificante e ben pagato che il “Dott” a quei tempi ci apriva.
Non ho neppure vissuto l’adeguamento delle tasse perché mio padre aveva già provveduto a ridurle all’osso nel 1959, infatti, al primo Natale di rientro da Piacenza mi chiese di vedere il libretto universitario e sfogliandolo mi disse: “noto che gli esami sono distribuiti su quattro anni e quindi ragazzino sappi che io pago per quattro anni e poi non pago più”. Tale ammonimento fece si che ad ottobre del quarto anno (era il 1963) esami e tesi erano già pronte. Per il vero mio padre mi concesse di discutere la tesi nel febbraio del 1964 per aspettare uno dei tre amici della banda che, oltre ad aver frequentato il medesimo corso all’istituto tecnico agrario, avevamo preparato e sostenuto assieme tutti i 34 esami. Costui purtroppo si era fatto bocciare all’ultimo dei 4 “esami di Morale” che in Cattolica si era obbligati a sostenere. Oggi tutto ciò è stato aggiornato il tutto adottando il termine di “esami di Teologia”. Ricordo anche che a quei tempi era obbligatorio pronunciare anche il giuramento antimodernista prima di laurearsi.
In un altro intervento del convegno si è detto che si contestava l’autoritarismo e che questo fosse nato proprio nei collegi universitari a causa della censura. Solo che per noi usciti dal collegio Piamarta di Remedello (BS) ed entrati al Sant’Isidoro di Piacenza ci sembrava di essere stati liberati da un simil-gulag e per il vitto catapultati in un ristorante stellato (a Remedello cenavamo qualche volta ancora con formaggio e marmellate che sospettavamo venissero dai depositi dei pacchi UNRRA, organizzazione per assistere, nel primissimo dopoguerra, economicamente e civilmente i paesi usciti gravemente danneggiati dalla seconda guerra Mondiale).
Per l’alloggio poi si trattava di albergo di gran lusso, il passare dalle camerate da 50/60 studenti di Remedello, non riscaldate e con l’obbligo di alzarci alle sei e rifarci il letto, ad una cameretta singola riscaldata curata da personale di camera, seppure con servizi in comune, erano cose che non avevamo mai avuto neppure nelle nostre case contadine.
Pertanto il contestare non ci passava neppure per l’anticamera del cervello.
La censura? L’aggiravamo, andando a d esempio a vedere l’avanspettacolo degli eredi artistici dei fratelli De Rege e dicendo di aver assistito alle “esercitazioni di morale agraria”!. L’idea della contestazione passò invece per il cervello, a quanto leggo, di persone tutte con borsa di studio o alloggio pagato da persone caritatevoli indotte a ciò dal parroco del paese di provenienza. Mario Capanna fu ammesso al collegio Augustinianum e dovette sicuramente presentare referenze.
Per farla breve, iniziarono le occupazioni dell’Università (1967) , l’epoca degli slogan che contestavano l’ “università classista” inneggiando a Marx, il crocefisso dell’aula San Tommaso contornato da un inno a Bakunin e, dulcis in fundo, lo slogan “il potere nasce dalla canna del fucile” (1969). Due anni bastarono per passare dalla contestazione agli anni di piombo.
Sfogliando ancora la rivista sono finito sulle pagine relative alle facoltà di Piacenza e Cremona e mi sono soffermato su due notizie in particolare.
La prima era un riandare all’antico perché quando la popolazione era per più del 50% dedita all’agricoltura, rifiuti solidi e i liquami degli umani e del bestiame allevato finivano nel terreno coltivato al fine di reintegrarne la fertilità, solo che anche allora il reintegro era insufficiente per aumentare al bisogno la produzione agricola, ma, purtroppo, non si avevano a disposizione i concimi di sintesi a buon mercato.
Oggi invece l’Università di Piacenza studia la possibilità di riportare nei campi i fanghi di depurazione dei rifiuti urbani, che per il sistema agricolo non è altro che un riprendere indietro (in gergo tecnico economia circolare) quanto esso ha fornito agli inurbati per farli campare e…
Prima nessuno aveva nulla da dire se i pozzi neri erano versati negli orti e nelle campagne, oggi invece ci vuole:
  • una ricerca universitaria per ribadire che il principio è ancora valido
  • un cambio di denominazione per farli accettare, cioè rimarcare che trattasi di una forma di “fertilizzazione naturale” (perché forse i 4/5 di azoto presente nell’aria non sono naturali?).
Spero che si sappia comunque che anche con questo complemento e senza l’integrazione con concimi sintetici la produzione non sarà redditizia per l’agricoltore e sufficiente per la collettività. La rivoluzione illuministica del settecento con la messa in rotazione delle leguminose ha dato un contributo notevole, solo che oggi è venuto in mente a qualcuno che solo questo azoto è naturale mentre quello identico del sacco di concime è sintetico!
La seconda è invece conforme alle percezioni moderne. Un gruppo di studenti della facoltà di Scienze e Tecnologie agroalimentari ha presentato un progetto (salendo anche sul podio del concorso) per un salame ecosostenibile e che rispetta l’ambiente. Questo salame ha anche un nome: “Semplice”. Per fortuna contiene ancora carne di maiale ma con l’aggiunta di: miele biologico, sale rosa di Cervia ricco di microelementi, completamente biodegradabile e grazie alla tecnologia del freddo privo di additivi e conservanti, come se lo zucchero, il miele, il sale non fossero tali e se pepe, spezie e cannella, che tradizionalmente si aggiungevano, fossero innaturali.
Altra novità: il packaging è di cera d’api (si dice per rispondere meglio al trend del mercato). Insomma oggi vedo che: i contestatori si sono normalizzati (perfino Capanna non rifiuta il vitalizio borghese di parlamentare contestatario), il vecchio principio del ripristino e mantenimento della fertilità del terreno è ancora un pilastro della buona agronomia, mentre per il salame “semplice” rimpiango i tempi pre-sessantottini dei piatti abbondanti soprattutto di coppa con pane che le osterie lungo la via Emilia (aperte per buona parte della notte) ci servivano come viatico per tacitare la nostra fame perenne di ventenni…assieme ad abbondanti libagioni di buon barbera che, coltre a calmare i nostri sensi, conciliavano un successivo sonno profondo.





Alberto Guidorzi
Agronomo. Diplomato all' Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni presso la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.

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