Alcune riflessioni su storia, contenuti e significato di una categoria di prodotti di servizio assai variegata. La necessità di raccogliere documentazione storica sulle attività agrometeorologiche in Italia.
di LUIGI MARIANI
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Museo Galileo 2025, Firenze - Foto Martina Krasnic |
Partiamo da qualche definizione
I bollettini meteorologici sono scritti tecnici a emissione periodica destinati a un pubblico generico o a categorie specifiche. Scopo di tali bollettini è quello di analizzare l’andamento pregresso, attuale e previsto delle diverse variabili atmosferiche (temperatura, copertura nuvolosa, precipitazioni, ecc.) e di porlo in relazione con aspetti relativi al sistema cui il bollettino fa riferimento e che si rivelano di interesse per gli utenti. Potremmo così avere bollettini dedicati ai trasporti (aerei, marittimi, su gomma, su rotaia, ecc.) al turismo, alla sanità, alla protezione civile, alle assicurazioni, ecc. In realtà molti di questi bollettini non esistono in quanto le esigenze di molti settori sono oggi soddisfatte dai bollettini che ogni giorno vengono emessi da media “generalisti” (internet, stampa, televisione, radio, ecc.).
Qualora i bollettini meteorologici si riferiscano al peculiare contesto agricolo si può parlare di bollettini agrometeorologici, la cui rilevanza tecnica ed economica si lega al fatto che le variabili atmosferiche guidano le piante coltivate e gli animali domestici verso un certo risultato produttivo, in quantità e qualità. Tale aspetto emerge con chiarezza se si considera il generico modello di pianta coltivata riportato in figura 1 che evidenzia il ruolo chiave nella crescita e nello sviluppo dei vegetali svolto dalle variabili guida atmosferiche, dalla radiazione solare, fonte energetica per il processo di fotosintesi, alla temperatura (da cui dipendono tutti i processi fisiologici - fotosintesi, respirazione di mantenimento e di produzione, consumo idrico per evapotraspirazioni, cicli dei nutrienti nitritivi, ecc.) alle precipitazioni (da cui dipende ad esempio il soddisfacimento delle esigenze idriche delle colture) al vento e all’umidità relativa di cui è ad esempio nota l’influenza sui consumi evapotraspirativi.
Figura 1 – Modello concettuale di vegetale coltivato. Nei simboli gialli circolari o ellittici sono riportate le variabili guida atmosferiche. T=temperatura (°C), RH=umidità relativa (%), RR=precipitazione (mm), Rglob=Radiazione solare Globale che raggiunge il campo coltivato (MJ m2), PAR=radiazione fotosinteticamente attiva (MJ m-2), APAR=frazione di PAR assorbita dal vegetale (MJ m-2), Wv=velocità del vento (m s-1). Altri simboli riportati sono Swc=Contenuto idrico del suolo (mm per lo strato esplorato dalle radici) e i puntini sospensivi alla fine di ogni gruppo di variabili guida indicano che l’elenco non è da considerare esaustivo. I rubinetti in verde indicano le variabili di flusso che limitano i flussi di energia (da PAR a GASS) mentre i rubinetti rossi limitano i flussi di materia fra le variabili di stato (GASS, PNA, NA e quote ripartite fra gli organi di accumulo). RUE (Radiation Use Efficiency) e LAI (Leaf area index) sono rispettivamente espresse in g di glucosio prodotti dalla fotosintesi per MJ m-2 di radiazione assorbita e in m2 di foglie per m2 di superficie. |
Dalle variabili atmosferiche dipendono poi la virulenza di parassiti e patogeni, l’entità della competizione delle malerbe e il verificarsi o meno di avversità abiotiche come grandine, gelo, vento forte, siccità, eccesso idrico nei suoli, ecc.
Da non trascurare inoltre il fatto che le attività agricole - preparazione del letto di semina, semina, operazioni colturali (concimazioni, diserbi, difesa fitosanitaria, ecc.), raccolta - sono condizionate dalle variabili meteorologiche. Si pensi ad esempio alla pioggia che impedisce l’effettuazione di molte attività colturali in pieno campo oppure al vento e al profilo termico verticale che condizionano i trattamenti fitosanitari provocando indesiderati effetti di deriva.
I bollettini agrometeorologici – alcuni elementi peculiari
Idealmente i bollettini agrometeorologici si fondano su un’analisi dell’andamento pregresso, attuale e previsto delle variabili atmosferiche e dello stato delle colture (stato generale, stadio fenologico, biomassa, avversità, interventi agronomici effettuati, ecc.). A seconda poi della coltura considerata e della fase del ciclo colturale, i bollettini potranno vedere il prevalere di informazioni relative alla difesa fitosanitarie, all’irrigazione, alla concimazione, ecc. La preponderanza di un certo tipo d’informazione può peraltro giustificare i nomi attribuiti a specifici bollettini (es: bollettini fitosanitari, bollettini irrigui, bollettini di supporto dello spandimento dei liquami).
Una caratteristica peculiare dei diversi bollettini agrometeorologici è costituita dalle tempistiche di emissione. Si pensi ad esempio ad un bollettino per la difesa dalle gelate tardive, eventi estremi che comportano un’estrema tempestività nell’emissione, nel senso che il frutticoltore deve disporre di informazioni in tempo reale. In termini più generali abbiamo prodotti a emissione oraria, giornaliera, settimanale o mensile. Possibili sono inoltre prodotti di sintesi destinati ad effettuare un bilancio di un’intera annata agraria in funzione dell’andamento delle diverse variabili atmosferiche.
Da segnalare infine che la produzione di un bollettino agrometeorologico comporta per chi lo redige la necessità di acquisire e accentrare per le diverse variabili atmosferiche e colturali informazioni aggiornate e rappresentative del territorio cui il bollettino è riferito.
I bollettini meteorologici – alcune riflessioni in chiave storica
Affrontando tale tematica in una prospettiva storica ampia, possiamo partire da un ragionamento solo all’apparenza ozioso, domandandoci perché mai i romani antichi non realizzarono mai un bollettino meteorologico. Al riguardo occorre anzitutto notare che già all’epoca di Roma antica sarebbe stato in teoria possibile realizzare un accentramento delle informazioni sui fenomeni atmosferici grazie a un sistema postale molto efficiente e che trasferiva con rapidità informazioni da un capo all’altro dell’impero. Si consideri inoltre che grazie in particolare al pensiero greco si era già venuta affermando quella visione meccanicistica dei fenomeni che portava ad esempio San Luca a scrivere nel suo Vangelo (12, 54-55): Quando vedete una nube che sale da ponente, voi dite subito: presto pioverà, e così accade. Quando invece sentite lo scirocco, dite: farà caldo, e così accade. Ipocriti! siete capaci di capire l'aspetto del cielo e della terra, e allora come mai non sapete capire quel che accade in questo tempo?
Tuttavia, nonostante ciò e nonostante il fatto che l’economia dell’Impero Romano dipendesse in misura strettissima dall’agricoltura e dai trasporti marittimi, settori sui quali i fattori meteorologici hanno influenza determinante, gli antichi romani non furono, a quanto pare, mai sfiorati dall’idea di raccogliere informazioni meteorologiche sullo sterminato territorio su cui estendevano il loro dominio per realizzare dei bollettini. Ciò dipendeva anzitutto dalle limitazioni esistenti negli strumenti interpretativi disponibili a quei tempi: si pensi ad esempio che la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo fu resa possibile dalla conoscenza del regime dei venti ai tropici (alisei) ed alle medie latitudini (grandi correnti occidentali), conoscenza che fu raggiunta solo nel medioevo grazie alle osservazioni dei navigatori che si erano spinti oltre le Colonne d’Ercole. A ciò si aggiunga che nel mondo romano era del tutto assente lo strumentario e cioè quell’insieme di apparati di misura che consente di indagare un sistema complesso come quello atmosferico. Per disporre di un tale strumentario si dovrà infatti attendere il XVII secolo con la messa a punto dei primi strumenti meteorologici da parte della scuola galileiana. In particolare, nel 1593 Galileo Galilei (1564-1642) inventa il termoscopio, antenato del termometro, nel 1639 Padre Benedetto Castelli (1577-1643) inventa il pluviometro e infine, nel 1643, Evangelista Torricelli (1608-1647) inventa il barometro. Da ricordare che l’inventiva degli scienziati sarebbe stata del tutto vanificata senza la presenza di abili artigiani in grado di tradurre in esemplari funzionanti le nuove idee scientifiche. I nuovi strumenti ebbero rapida diffusione in ambito scientifico e trovarono ben presto le prime applicazioni operative: dal 1657 e per circa un decennio operò infatti la rete toscana (rete dell’Accademia del Cimento), sorta per volontà del Granduca Ferdinando II de’ Medici (1610-1670), il quale fece riprodurre in molti esemplari gli strumenti termometrici sviluppati dalla scuola di Galileo, distribuendoli ad osservatori italiani e stranieri affinché eseguissero misure regolari; a ciò seguì l’invio di barometri, igrometri ed anemoscopi, dando origine alla prima rete internazionale di misure meteorologiche.
Per affrontare poi in termini concreti il problema dell’accentramento delle osservazioni per giungere a una lettura “sinottica” (e cioè d’insieme) dei fenomeni occorrerà invece attendere il XIX secolo. Tale secolo si aprì infatti con la realizzazione della prima carta mondiale delle isoterme, tracciata nel 1816 da Alexander von Humboldt (1769-1859). A ciò segui nel 1832 l’intuizione dell’ufficiale britannico William Reid (1791-1858), che dopo aver osservato i devastanti effetti di un ciclone tropicale che aveva colpito le isole Barbados, ebbe l’idea di un servizio di preannuncio dei cicloni basato su osservatori in grado di effettuare misure meteorologiche in diverse aree del globo. In seguito, Mattew Fontaine Maury (1806-1873) promosse la conferenza internazionale per unire gli sforzi osservativi che si tenne a Bruxelles nel 1853 e da cui prese le mosse l’idea di costituire un ufficio meteorologico presso il dipartimento del commercio britannico, la cui direzione fu affidata a Robert FitzRoy (1805-1865), già comandante del Beagle, nave inglese che il 1831 al 1836 era stata impegnata nella circumnavigazione del globo e aveva avuto a bordo come naturalista il ventiduenne Charles Darwin. Fitzroy orientò l’ufficio meteorologico da lui diretto in senso eminentemente previsionale, offrendo prioritariamente avvisi di maltempo ai marinai: barometri furono infatti distribuiti lungo le coste britanniche e i loro dati vennero telegrafati ogni mattina all'ufficio di FitzRoy insieme ai dati di vento e temperatura. Come risposta, entro poche ore veniva diramata per via telegrafica la previsione e se questa indicava come imminente una tempesta, appositi simboli di preavviso venivano collocati su apposite antenne che li rendevano visibili da lontano ai marinai. A Fitzroy si deve anche il bollettino pubblicato sul Times il primo agosto 1861 che è da considerare a tutti gli effetti il primo bollettino meteorologico oggetto di vasta diffusione.
Da segnalare inoltre che nel 1854 Urban Leverrier (1811-1857), direttore dell’Osservatorio di Parigi, evidenziò che la tempesta che aveva messo in seria difficoltà la flotta franco-britannica impegnata nella guerra di Crimea era frutto di una intensa perturbazione che nei giorni precedenti aveva interessato l’area centro – europea, per cui sarebbe bastato un collegamento telegrafico fra Vienna e la Crimea per scongiurare il disastro. Tutto ciò portò ad apprezzare l’importanza di prodotti operativi che, partendo da osservazioni meteorologiche sistematiche, fossero in grado di svolgere attività di preannuncio di eventi potenzialmente dannosi.
E qui si noti che un’innovazione tecnologica chiave per l’evoluzione in chiave sinottica delle osservazioni meteorologiche fu il telegrafo, brevettato da Samuel Morse nel 1837 e grazie alla quale divenne per la prima volta possibile accentrare informazioni meteorologiche in tempo reale.
Il contesto italiano
Spostando poi la nostra attenzione al contesto italiano, in modo del tutto sommario è possibile evidenziare che l’unità d’Italia fu segnata da un notevole attivismo nel settore delle osservazioni meteorologiche: nel 1868 nacque infatti l’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica, alle dipendenze del Ministero dell’Agricoltura e dell’Industria, il che individuava con decisione una finalizzazione agricola e più in generale “civile” delle attività meteorologiche nel nostro Paese. Da tale temperie nacquero originali lavori d’indagine sui legami fra tempo atmosferico e clima fra cui ricordiamo lo scritto “Relazioni tra alcuni elementi meteorici ed i prodotti della campagna in Italia negli anni 1875-1879 e 1880-1882” a firma di Ciro Ferrari, assistente dell’Ufficio Centrale di Meteorologia. A testimonianza dell’interesse per la materia, nel 1911 la casa editrice Hoepli pubblicò in Milano un Manuale di Meteorologia Agraria mentre nel 1920 Girolamo Azzi creava l’Ecologia Agraria, che tanti legami ha con l’agrometeorologia.
Nel 1925 l'Ufficio Presagi del Ministero dell'Agricoltura venne posto alle dipendenze del Commissariato per l'Aeronautica con la nascita del Servizio Meteorologico dell'Aeronautica. Le attività di meteorologa agricola vennero tuttavia proseguite dall’Ufficio Centrale di Meteorologia ed Ecologia Agraria (UCMEA), che in seguito cambierà nome per assumere quello di Ufficio Centrale di Ecologia Agraria (UCEA) al quale si devono varie attività in ambito nazionale e internazionale, fra cui ricordo la partecipazione al progetto Grossversuch IV legato alla difesa attiva dalla grandine (1977-1981). Per inciso ricordo che più di recente l’UCEA è entrato a far parte del CREA come struttura specialistica dedicata all’agrometeorologia.
E siamo così giunti agli anni ’70 del XX secolo, allorché fanno la loro comparsa i primi bollettini agrometeorologici diffusi con regolarità ed in tal senso sono in grado di citare le esperienze pionieristiche delle provincie di Trento e di Piacenza.
Circa l’esperienza trentina, ricordo che visitai il centro di San Michele nel 1983 e lì incontrai il responsabile, Pietro Ferrari, da cui appresi fra l’altro che era attiva una rete di stazioni agrometerologiche che comprendeva fra l'altro 4 stazioni automatiche, della stessa tecnologia di quelle allora in uso presso Meteosvizzera. Inoltre, già dagli anni ’70 venivano emessi bollettini agrometeorologici a servizio dei frutticoltori e dei viticoltori.
L’esperienza della rete agrometeorologica piacentina (promossa dalla Provincia di Piacenza e gestita da colleghi come Donato de Falcis, Albino Libé e Paolo Lega) è documentata dai bollettini prodotti e raccolti annualmente in apposite pubblicazioni. Tale esperienza si rivelò per me particolarmente istruttiva in quanto proponeva un approccio interdisciplinare che vedeva strati informativi pedologici, meteo-climatici e colturali-agronomici integrati in tempo reale per produrre informazioni utili all’utenza agricola, soprattutto impegnata su vite, frumento, mais, barbabietola da zucchero e pomodoro (figura 2).
Figura 2 - La rete agrometeorologica di Piacenza nel 1981 (De Falcis et al., 1982) |
Tutto ciò era realizzato grazie a una rete osservativa di stazioni agrometeorologiche e ad una rete osservativa agro-fenologica e alla disponibilità di un laboratorio d’analisi del suolo che funzionava con grande efficienza. Di grande interesse culturale trovai allora la tendenza in atto a Piacenza a sviluppare modelli matematici interpretativi e predittivi attingendo in particolare all’esperienza dei modellisti che all’università di Wageningen operavano facendo capo a C.T. De Wit (1924-1993). Questo ci dà modo di osservare che chi redige bollettini agrometeorologici si avvale sempre più di modelli interpretativi e predittivi ed in tal senso un ruolo importante lo giocano i modelli fitosanitari che descrivono i cicli di parassiti e patogeni, i modelli di bilancio idrico che stimano le necessità idriche delle colture e le esigenze irrigue, i modelli di produzione delle colture e i modelli nutrizionali, ecc..
Alla fase pioneristica sommariamente delineata è seguita una fase di sviluppo di servizi agrometeorologici regionali e locali che ha visto gran parte delle regioni italiane dotarsi di strutture per ognuna delle quali sarebbe oggi possibile e auspicabile tracciare un profilo storico. Tale fase ha coinvolto molti colleghi, alcuni dei quali sono tutt’ora in servizio e partecipano agli incontri annuali dell'Associazione italiana di agrometeorologia.
L’attualità e le prospettive
Frutto dell’evoluzione sommariamente delineata nel paragrafo precedente è un’attualità che vede svariati servizi emettere prodotti agrometeorologici operativi (bollettini e altri supporti informativi) a livello regionale, provinciale o territoriale. A puro titolo di esempio rimando alla homepage del sito della regione Piemonte da cui è possibile apprezzare la varietà dei prodotti operativi (agrometeorologici e non) offerti all’utenza agricola di quella regione .
Segnalo inoltre che l’elenco dei servizi operativi delle diverse regioni è disponibile sul sito della rete rurale nazionale alla pagina https://www.reterurale.it/agrometeo¹. Occorre tuttavia ricordare che l’elenco di Reterurale non esaurisce la ricchezza dell’agrometeorologia italiana, nel senso che prodotti agrometeorologici vengono oggi realizzati e diramati da associazioni dei produttori, consorzi di difesa, consorzi di irrigazione e bonifica e varie altre organizzazioni che operano a livello locale. Si consideri anche che i prodotti agrometeorologici operativi oggi emessi possono essere non solo al servizio dei produttori agricoli ma anche di organismi nazionali, regionali e locali con finalità programmatorie.
Circa le prospettive delle attività agrometeorologiche in Italia, penso che, alla luce della centralità delle variabili atmosferiche nella gestione delle colture agrarie e degli allevamenti una base informativa agrometeorologica è e sarà sempre necessaria per l’agricoltore. In tal senso ricordo che il primo ad attivarsi dovrebbe in ogni caso essere l’imprenditore agricolo, con misure meteorologiche e schemi interpretativi e predittivi mirati alla propria realtà aziendale e funzionali da un lato agli aspetti micrometeorologici caratteristici della stessa e dall’altro alle problematiche tipiche delle colture praticate. Alla luce di ciò si delinea una sfida culturale che è quella di sviluppare una cultura agrometeorologica di base negli imprenditori agricoli italiani e rendere loro disponibili sistemi di supporto alle decisioni che siano gestibili con i dati meteorologici, agronomici e colturali raccolti a livello aziendale. Una tale prospettiva dovrebbe a mio avviso vedere coinvolti non solo gli enti pubblici ma anche gli imprenditori che operano del settore della meteorologia applicata e dell’agrometeorologia.
Un invito a raccogliere testimonianze sulla storia dell’agrometeorologia in Italia
Oltre a ringraziare quanti sono giunti fino a questo punto nella lettura, ci tengo a segnalare che in questo scritto mi sono provato a raccogliere una serie di riflessioni parziali e senza pretesa di esaustività. In particolare, mi rendo conto dei molti limiti che presenta la documentazione riferita alle attività agrometeorologiche italiane dagli anni ’70 ad oggi. Al riguardo sarebbe oggi importante che chi ha operato nel settore negli scorsi decenni mettesse per iscritto la propria testimonianza per evitare che la stessa venga dispersa. In tal senso qualunque contributo informativo da parte di colleghi è ben accetto e mi impegno fin d’ora ad integrarlo in questa mia nota.
Bibliografia
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Luigi Mariani
È Professore Associato di Agronomia e coltivazioni erbacee presso il Dipartimento Dicatam dell'Università degli Studi di Brescia. Direttore del Museo di Storia dell'Agricoltura e Vicepresidente della Società Agraria di Lombardia.
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