sabato 5 febbraio 2022

RESIDUI DI PESTICIDI SINTETICI NEGLI ALIMENTI E NELL’AMBIENTE


 di ALBERTO GUIDORZI



Clostridium botulinum produce una tossina potenzialmente letale. La tossina iniettata in loco, in soluzione molto diluita, combatte alcuni disturbi del tono e dell’attività muscolare, trovando applicazione anche in medicina estetica.

 
Su questo argomento gli agronomi da tempo si trovano di fronte ad attivisti ideologizzati ai quali, tra l’altro, è dato molto spazio nei media perché diffondano i loro slogan incutenti paure, seppure privi in gran parte di ancoraggi scientifici. Sono messaggi purtroppo che hanno facile presa su una maggioritaria moltitudine di persone che sono totalmente digiuni in scienze biologiche e fisiologia delle piante coltivate. È tipico l’esempio di quando si chiede se un prodotto naturale è chimico o no e la risposta è sempre no! E’ bene allora far notare a queste persone che per la difesa delle loro piante d’appartamento o dei loro animali da compagnia usano a dismisura gli stessi prodotti criminalizzati nell’impiego agricolo, non riuscendo a capire che nel primo caso il prodotto fito o zoosanitario permane alle stesse concentrazioni più tempo negli spazi in cui si vive con più continuazione, mentre nell’uso agricolo si tratta di distribuzione in piena aria con grande capacità di dispersione e conseguenti concentrazioni, per unità di volume, in subitanea diminuzione. Insomma assistiamo ad una incoerenza eclatante e misconosciuta. Un’altra caratteristica è l’ignoranza sulla massima paracelsiana che “è la dose che fa il veleno”. 
A poco vale che si spieghi loro, specialmente ad attrici o gente di spettacolo (convinti vettori di credenze bislacche), che la massima è da loro sperimentata abitualmente quando usano il “botox” per abbellirsi. A queste persone, che tra l’altro si atteggiano a importanti “influencer”, è inutile dire che si iniettano nel loro corpo una delle tossine più velenose esistenti sulla terra e che non muoiono solo perché le dosi di tossina botulinica nel prodotto di bellezza sono bassissime.
Non vale neppure dire loro che da sempre l’uomo ingerisce con il cibo pesticidi naturali. Uno studio (Ames et al.¹) pubblicato nel 1990 ci dice addirittura che il "il 99,99% dei pesticidi negli alimenti sono di origine naturale", cioè quelli che la pianta produce per difendersi dagli aggressori e per giunta essa ne aumenta le dosi prodotte per adeguare la difesa all’importanza dell’inoculo parassitario, al punto che ci troviamo di fronte a piante notoriamente velenose. Nello stesso studio l’autore americano ha dimostrato che i suoi compatrioti mangiano ben 1.5 g di pesticidi naturali ogni giorno e che sono una quantità 10.000 volte maggiore degli eventuali pesticidi sintetici che s’ingerisce normalmente. Non solo, ma ben 52 di queste sostanze di difesa naturali (ma si crede che solo le sostanze sintetiche, le sole che molti credono “chimiche”, abbiano tali effetti) sono state testate sugli animali e ben la metà si sono rivelate, a dosi elevate, cancerogeni per i roditori. Studi comparativi sulla tossicità tra pesticidi naturali e pesticidi sintetici hanno dimostrato che a dosi elevate tra il 30 ed il 50% per ciascun gruppo si è rivelato cancerogeno, mutageno, teratogeno e clastogenico. A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi: perché allora il pianeta non si è spopolato della fauna visti tutti i veleni che ci sono in natura? La risposta è la seguente: "Gli animali (compreso l’uomo) si sono evoluti con le piante e hanno gradualmente acquisito difese contro i composti vegetali tossici (pesticidi naturali)". Queste difese agiscono tanto contro i composti tossici naturali quanto contro i pesticidi sintetici: gli enzimi di disintossicazione, come i citocromi P450, conoscono solo i modelli chimici e non la distinzione tra naturali e sintetici. Inoltre non esistono a questo riguardo medicamenti e tanto meno alimenti disintossicanti, come certa propaganda vuol far credere.
Potremmo citare anche altri esempi come ad esempio far conoscere che: “La cottura degli alimenti produce materiale bruciato - circa 2 mg per persona al giorno - che contiene anche molte sostanze classificate come cancerogene per i roditori. In confronto, i residui delle 200 sostanze chimiche artificiali ritenute più importanti, come misurato dalla Food and Drug Administration, sono solo 0,09 mg per persona al giorno, il che è venti volte meno.” Oppure che: “in una tazzina di caffè la quantità di composti cancerogeni naturali per i roditori è all'incirca uguale in peso alla dose di residui di pesticidi sintetici assorbiti da un individuo in un anno? E questo, anche se appena il 3% delle sostanze naturali presenti nel caffè è stato adeguatamente testato per la cancerogenicità.” Perché poi non citare l’alcol sicuramente cancerogeno e ingerito in grandi quantità da una buona parte della popolazione mondiale?
Inutile pure cercar di spiegare la differenza tra pericolo e rischio, cioè tra la proprietà di una cosa o di un fattore di costituire pericolo e la probabilità delle stesse (rischio) del raggiungimento del potenziale di arrecar danno. Il serpente cobra è pericolosissimo, ma le probabilità alle nostre latitudini di incontrarne uno è insignificante.
Come si evince da quanto detto il rischio che i residui di pesticidi sintetici presenti nel nostro cibo, sia reale ha una probabilità bassissima anche per il semplice fatto che ogni pesticida sintetico viene testato a priori e in base a ciò se ne determinano l’ammontare di residui ammessi e, soprattutto, se privo di qualsiasi rischio.
E’ doveroso credo che un lettore un po’ profano sappia come vengono fissati i tassi massimi di residui di pesticidi ammessi negli alimenti immessi sul mercato. Si parte dalla dose che non ha nessun effetto negativo (DSE) sugli animali di sperimentazione di un pesticida; su questa quantità viene applicato il divisore 100 o anche 1000 a seconda dei casi. Il quoziente rappresenta la dose giornaliera ammissibile (DGA) che può essere ingerita. Dato che un pesticida può essere presente in più alimenti allora si calcola l’ AGMT, ossia l’apporto giornaliero massimo teorico di un principio attivo fitofarmaceutico. Esso è calcolato basandosi sull’insieme di alimenti consumati quotidianamente e dei residui che esso contiene per un virtuale consumatore medio (60 kg di peso) e rappresentativo di una popolazione data. Esso è espresso come un % della DGA e deve essere sempre inferiore al 100. Per gli alimenti frutto di trasformazione che possa comportare una diminuzione di residui (lavaggio, pelatura, cottura precedente alla consumazione) si calcola sia il tasso di residui sul prodotto tal quale e anche l’ AGS, ossia l’apporto giornaliero stimato sul prodotto trasformato. In altre parole si misura il tasso di presenza sulla cariosside del grano , ma poi anche sulla farina, si misura la presenza sulle mele, ma poi anche sull’eventuale succo di mela. Alla fine di tutto ciò è fissato l’LMR, ossia il limite massimo dei residui che possono essere presenti per quel principio attivo fitofarmaceutico e che in quantità è il dato più basso di tutti i precedenti. In mancanza di tutti questi dati un pesticida nuovo che richieda l’AMM (ammissione di messa sul mercato) è accantonato.
 

 


Sulla base di tutto ciò alcuni divulgatori americani si sono sbizzarriti a mostrare quante porzioni di alcuni ortaggi e frutti (definita “quella sporca dozzina”, parafrasando il titolo di un noto film) un consumatore dovrebbero ingerire in un giorno per superare le LMR fissate dall’USDA degli USA. La quantità di porzioni è indicato dal numero in neretto sotto ogni ortaggio o frutto.
 


 



Due sono le contestazioni che si sentono fare: 
  1. l’eventuale sinergica pericolosità dovuta alla combinazione di diverse sostanze; 
  2. la crescita esponenziale del numero di residui di molecole sintetiche e ciò senza tener conto delle quantità effettivamente presenti. 
Nel primo caso è sufficiente dire che nessuno studio ha messo in evidenza questa sinergia, inoltre ammesso e non concesso che ciò sia valido per le molecole sintetiche (solo 200 quelle più presenti) a maggior ragione dovrebbe essere valido per i pesticidi naturali molto più presenti e soprattutto in numero maggiore. La mancanza di sinergie è frutto di millenni di esperienze. Per il secondo caso tutti sottacciono che nello spazio di 20/30 anni la capacità analitica di messa in evidenza di una molecola è passato da un rapporto di 1 su 1 milione a 1 su 1 miliardo. Per forza, quindi, che il numero svelato è aumentato, solo che non sono aumentate le quantità di residui presenti, anzi sono di gran lunga diminuite anche in funzione della diminuita persistenza. Addirittura si assiste al paradosso che è passato il messaggio secondo il quale i pesticidi usati in agricoltura biologica, essendo naturali (non per questo ne viene meno però la pericolosità!) non vale la pena testarli, anzi, addirittura, non si sono messe a punto nemmeno le metodologie per svelarli e misurarli. Ecco spiegato perché i residui nei cibi biologici sono minori di numero ed in quantità; non li si misurano!!!
Comunque sia ecco le risultanze accademiche sugli studi eseguiti sui pesticidi usati in agricoltura biologica: “nonostante questi insetticidi siano propagandati come composti poco tossici e facilmente degradabili, valutando i valori di tossicità riportati si evince che non si differenziano molto dai pesticidi di sintesi. Molti valori riguardanti la loro degradabilità ambientale non sono documentati così come quelli riguardanti i residui negli alimenti. Carenti sono anche gli studi sui rapporti dose/efficacia per cui non si è in grado di documentarne la reale efficacia sui diversi insetti; questo è riconducibile al fatto che le formulazioni non sono adeguatamente studiate.
L’ agribashing, ossia la denigrazione sistematica del settore agricolo, ha avuto il sopravvento perché è riuscito ad inculcare la paura di essere avvelenati lentamente ed è riuscito a trovare molti adepti per portare avanti un ambientalismo radicale, che ha fatto presa anche perché porta avanti lo spauracchio dell’amoralità del “grande capitale”. L’accoppiata paura e radicalismo ambientale ha permeato la società occidentale a tal punto da influenzare profondamente le decisioni politiche in ciò che concerne il fare agricoltura oggi. Ecco che è più semplice angariare gli agricoltori, visto che ormai è una categoria economica che rappresenta un’infima minoranza di elettori, con divieti e regolamentazioni generanti una pletora di burocrazia, ma che poi a consuntivo non raggiungono lo scopo prefissato. Per esemplificare riporto solo due esempi con le relative conseguenze di una rincorsa allo zero residui di pesticidi demenziale.

Caso del Glyphosate

Questo diserbante rischia di essere bandito dopo più di 40 anni d’uso perché un solo ente al mondo (sulla base, tra l’altro, di alcuni studi selezionati appositamente) ne ha decretato la probabile cancerogenicità, quando successivamente ben 23 autorità sanitarie di altrettante nazioni hanno negato (sulla base di tutta la letteratura disponibile e non solo di una parte) che esistano evidenze scientifiche tali da suffragare questo rischio. È evidente, e visto che non sono all’orizzonte prodotti sostitutivi, che ciò impatta il modo di fare agricoltura nel senso che impedisce l’uso di tecniche agronomiche più rispettose dell’ambiente, come l’agricoltura conservativa e le semine su sodo. Non solo ma le soluzioni proposte sono tali da essere inapplicabili e ecologicamente peggiori, vedi l’esempio della miscela di sale da cucina e acido acetico che, se usati in agricoltura e riferiti ad ettaro, comporterebbero la distribuzione di tonnellate dei due prodotti (una ricetta per il diserbo di giardini o cortili parla di usare 140 g di sale da cucina per metro quadro, moltiplicateli per 10000 e potrete verificare), oppure si è proposto l’acido pelargonico enormemente meno efficace e con costi insopportabili per la competitività dell’agricoltura nazionale. Tra l’altro il glyphosate ha il DL50 (dose data in una sola volta che fa morire il 50% degli animali di sperimentazione) più elevato (quindi è meno tossico) dell’acido acetico e del sale da cucina come mostra questa immagine.


 

Caso dei neonicotinoidi

Questa classe di insetticidi è stata introdotta trent’anni fa per sostituire esteri fosforici e prodotti clorurati troppo impattanti sull’ambiente e specialmente per le api. Ora anche questa classe di pesticidi per i media è divenuta in assoluto facente strage di api, e per questo le tre molecole più usate sono state proibite nel 2018, seppure mancassero rispondenze scientifiche sicure dell’effettiva letalità alle dosi e alle modalità prescritte nella scheda di sicurezza. Tra l’altro se ne è inventato un uso particolare volto a disinfettare il seme (concia delle sementi) prima della semina al fine di proteggere le piante nei giovani stadi di sviluppo, il che ha diminuito le dosi d’uso di pesticidi prima usate sulle bietole in pieno campo e riferite ad ettaro di ben 27 volte. I neonicotinoidi erano usate per tenere a bada gli afidi portatori di virosi su molte piante in particolare la bietola da zucchero. È utile ricordare che già un secolo fa si usava irrorare emulsioni di sapone nero ed estratto di nicotina senza far morire le api. Le soluzioni proposte sono state delle irrorazioni di pieno campo di bietole allo stadio di 2 foglie vere, il che significa irrorare 10.000 mq di superficie per distribuire il principio attivo ( ricordo: in quantità 27 volte maggiore per ottenere una difesa conveniente) su una superficie di foglie di bietola pari a 40 metri quadri, perché tale è la superficie totale delle foglie di bietola allo stadio di 2 foglie vere ammettendo una popolazione di 80000 piantine di bietola per ettaro. Mi pare lapalissiano che distribuire in ambiente una tale quantità di principio attivo e in più volte non è anodino per le api e tutti gli altri organismi viventi, purtroppo però è ciò che l’agricoltore è stato obbligato a fare. È molto meno pericoloso deporre un seme conciato e involucrato da sostanze inerti in guisa di confetto nel terreno a una profondità che impedisce il contatto con le api. D’altronde non credo che gli agricoltori dello Stato dell’Alberta in Canada (grosso produttore di semi di colza) siano dei “tafazzi” a portare i loro alveari di api in mezzo ai campi di colza, tutti seminati con seme conciato con i neonicotinoidi, per favorire l’impollinazione e ricavare miele! Altra proposta alternativa è stata la pratica del biocontrollo tramite organismi antagonisti degli afidi, ma per farlo la spesa saliva a 1200 €/ha. In Francia per due anni (2018 e 2019), seppure spendendo ed irrorando di più, il propagarsi delle virosi aumentò ma occorse far buon viso a cattiva sorte. Nel 2020 invece gli afidi comparvero molto precocemente e non si poterono fare le irrorazioni di lotta tempestivamente e quindi le virosi assursero ad una gravità tale da diminuire la produzione bieticola nazionale del 30%. L’impatto fu tale che il governo si sentì colpevole di avere provocato un tale danno ai bieticoltori e quindi decise di indennizzarli (evidentemente con soldi di tutti i cittadini francesi), ma nel contempo, per non rischiare di rivedere un tale disastro, pensò bene di derogare dalle sue decisioni e riautorizzare l’uso dei neonicotinoidi nella concia della sementi.



¹Bruce Ames, Margie Profet e Lois S. Gold, “Dietary pesticides (99,99% all natural)”, Proceedings of the National Academy of Sciences degli USA (vol. 87, pp. 7777-7781, ottobre 1990).

 

 

ALBERTO GUIDORZI  

Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.

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