lunedì 16 gennaio 2023

COSA SI SA DELL’IMPATTO AMBIENTALE DELLA CARNE ARTIFICIALE?

 di GIANLUIGI  MAZZOLARI

 

carne artificiale



Ogni affermazione dell'impatto ambientale della carne artificiale sconta la mancanza di dati oggettivi, si può ragionare su ipotesi e proiezioni, stante la maggior parte delle attività nella fase da laboratorio a pre-industriale.
Tuttavia, la minore emissione di gas serra (GHG -greenhouse gas) è fortemente proposta come uno dei maggiori vantaggi potenziali della carne artificiale rispetto ai sistemi tradizionali di allevamento, oltre a quelli etici e sanitari.
Il che potrebbe trovare una intuitiva giustificazione nella migliore efficienza di processo, essendo basato sulla cellula anziché sull’intero organismo, quindi minor dispendio metabolico, minori fabbisogni e minori sprechi ma parrebbe non essere proprio così.
Sovente si leggono numeri e percentuali diversamente impattanti, dipendendo dall’obiettivo perseguito, pro o contro.
In realtà i lavori scientifici dedicati non sono tantissimi, basati su modelli predittivi e con il limite delle inesattezze che ne possono derivare: purtuttavia rappresentano una solida base per perseguire una ragionata riflessione sul tema.
La quale può anche, correttamente, far tesoro dell’esortazione (…) che ogni attore reciti il suo ruolo per costruire con urgenza sistemi alimentari che soddisfino le esigenze degli agricoltori, dei consumatori e del pianeta, sorvolando però sul paventato scenario che (…) le più grandi aziende di carne e latticini del mondo possano superare Exxon, Shell e BP come maggiori inquinatori climatici entro i prossimi decenni (GRAIN and the Institute for Agriculture and Trade Policy (IATP), 2018)¹.
 
Corretto che agricoltori e allevatori soppesino le affermazioni di chi intende emulare le loro produzioni, perseguire la già richiamata “ragionata riflessione sul tema” vuol dire migliorarsi e migliorare, anche, le proprie performances ambientali.
Lasciando alle associazioni di categoria di atteggiarsi ostentando opinioni di bandiera, sensibilizzando a (s)proposito le istituzioni in favore di proclami, purtroppo vacui (Pascale, 2022)².

Approccio al tema

Il Il 26% della terra libera dai ghiacci del pianeta è utilizzata per il pascolo del bestiame e il 33% di tutte le terre coltivate è utilizzato per le produzioni destinate agli animali. La filiera dell’alimentazione animale è responsabile del 14,5% di tutte le emissioni di gas serra antropogeniche e i bovini (sia da carne sia da latte) partecipano per il 65% di tale valore di cui il 44 % sotto forma di metano (FAO, 2018) ³.
Ne consegue che il settore globale dell'allevamento contribuisce in misura significativa ai gas serra di origine antropica ma allo stesso tempo è capace di fornire un apporto importante al necessario sforzo di mitigazione, con interventi che si basano in larga misura sulla tecnologia, sul miglioramento dell’efficienza produttiva e della gestione degli effluenti (FAO, 2013)⁴.
In effetti, se la carbon footprint della produzione di latte era nel 2007 il 37 % della equivalente produzione del 1944 (sistema intensivo vs sistema estensivo) e, espressa per litro di latte, rispettivamente 1,35 contro 3,66 (Capper et al., 2009)⁵, plausibilmente molto è stato fatto e il percorso dell’agro-zootecnia è da considerarsi corretto e tutt’ora in divenire, stante i risultati di nuove strategie nutrizionali, come ad esempio la riduzione del 30% delle emissioni giornaliere di metano in vacche da latte (Hristov et al., 2022)⁶.
Una conferma delle perplessità che suscita l’evocato (da alcuni) ritorno ad una agricoltura retrograda ed il ripristino di un ambiente “naturale”, scaturisce dal confronto fra le emissioni dei ruminanti selvatici (bisonti, alci, cervi) in US nel periodo pre-insediamento europeo (quindi prima del 15º secolo) con le attuali emissioni dei ruminanti allevati: pur con tutte le riserve per le oggettive difficoltà di tempi e metodi, tali emissioni sono stimate essere poco difformi (dall’86 % al 123 %) (Hristov, 2011)⁷. Come dire che, invertendo il percorso, favorire cioè il riappropriarsi del territorio da parte degli animali selvatici a discapito degli animali allevati, parrebbe non rappresentare, riguardo alle emissioni di GHG, una scelta di successo.
Per inquadrare correttamente la necessità di proteggere l’ambiente in cui viviamo, partendo dalla conoscenza del contesto, viene in soccorso la NASA (U.S. National Aeronautics and Space Administration)⁸ quando afferma

  •  (…) Che l'atmosfera terrestre è resistente a molti dei cambiamenti che gli esseri umani le hanno imposto nel tempo ma ciò non significa necessariamente che la nostra società lo sia altrettanto.
  •  (…) È dimostrato che le alterazioni della composizione dell’atmosfera sono in accelerazione dagli ultimi decenni e principalmente per attività antropica, stante l’"impronta digitale" che contraddistingue il carbonio prodotto dall’utilizzo di combustibili fossili e misurabile dal diverso rapporto tra isotopi.
  •  (…) L’anidride carbonica si caratterizza per elevata stabilità perdurando nell’atmosfera, una volta immessa, per svariati secoli, al contrario dei gas reattivi come ad esempio gli ossidi di azoto di relativamente breve durata.
  •  (…) Dalle misurazioni risulta altresì evidente l’effetto di assorbitore netto di CO₂ delle colture agrarie nel corso della stagione vegetativa (n.d.r. aspetto rilevante nel Life Cycle Assessment), come pure le foreste boreali settentrionali, un tempo considerate di svolgere un ruolo secondario, diventano, sempre più, migliori assorbitori di anidride carbonica, presumibilmente a motivo dell’allungamento della stagione vegetativa. Fenomeno specularmente opposto a quanto riscontrato nelle foreste pluviali tropicali, da sempre considerate “polmoni del nostro pianeta”, in cui la respirazione delle piante, per motivi ancora inspiegabili, sta superando la loro capacità di assorbire anidride carbonica, almeno dal 2009. 


Genesi della carne artificiale

Premesso che l’etimologia è recente e che anche nelle comunicazioni scientifiche il lessico non è unanime, vige che, in assenza di denominazione legale di un alimento, subentri la denominazione usuale e, ove mancante, la denominazione descrittiva (Reg. UE 1169/2011). (L’appropriata denominazione è un punto imprescindibile della corretta comunicazione al consumatore, ma questa è un’altra storia).Le aggettivazioni coltivata e artificiale parrebbero le più frequentemente utilizzate, rimarcando, fra l’altro, due diverse sfumature: la prima (coltivata) più propositiva e ammiccante alla tradizionalità e alla naturalità, la seconda (artificiale) evoca la fabbrica.Poi c’è la carne Frankestein ma è approccio nel cui stile non ci riconosciamo.

Considerato che i processi regolatori sono da venire ed il consumatore sarà a districarsi fra le lusinghe più o meno articolate del marketing, non sarebbe male che la comunità scientifica identificasse e utilizzasse una denominazione comune quale base autorevole in favore di legislatore e di consumatore.

(Proponimento disatteso, in questo elaborato, a conferma della tesi!).

Opportunità di business, preoccupazioni ambientali, benefici per la salute e benessere degli animali hanno stimolato l’esplorazione di nuove e innovative fonti di cibo, fra cui un prodotto alimentare che non è carne tradizionale ma con valore nutritivo e gusto simili.Il termine carne artificiale è apparso nei primi anni 2000 e si riferiva originariamente al cibo prodotto con essenze vegetali (plant based) che, dopo la trasformazione, assumerebbero sembianze e sapore simili alla carne tradizionale. In Europa, questa tendenza si è diffusa con l'aumento del vegetarianismo e veganismo (Hancox, 2018)¹⁰ e loro evoluzione da dieta a identità sociale (Nezlek et al.,2020)¹¹Oggi, invece, per carne artificiale ci si riferisce sempre più alla carne prodotta da un processo di moltiplicazione in bioreattori di cellule staminali della vera carne di animali vivi. Altri nomi usati sono carne in vitro, carne in provetta, carne allevata, carne coltivata, carne allevata in laboratorio, carne sintetica, carne pulita, ecc., ecc., ecc. Rimane da dirimere se trattasi di nuovo cibo o di nuova metodica di produzione e, ovviamente, l’aspetto non è di poco conto: affermare che l’ambiguità di tali definizioni non sta negli aggettivi ma nel sostantivo è un assist alla prima ipotesi!

Gas serra e CO equivalente

È già stato riportato del vapore acqueo (HO), dell’anidride carbonica (CO), del protossido di azoto (NO), del metano (CH). Oltre a questi gas esiste un'ampia gamma di gas serra di origine prevalentemente antropica e molte altre sostanze di varia composizione. I diversi gas non contribuiscono in egual misura all’effetto serra e rimangono nell’atmosfera per periodi diversi: per poter confrontare l’effetto dei diversi gas serra, convenzionalmente (IPCC - Intergovernmental Panel on Climate Change) è definito il Global Warming Potential (potenziale di riscaldamento globale) che indica l’effetto del riscaldamento di una determinata quantità di un gas serra, in un periodo definito (per lo più 100 anni), rispetto a quello della COIl metano per esempio ha un impatto climatico 25 volte superiore rispetto alla CO, ma rimane nell’atmosfera considerevolmente meno a lungo. L’effetto sul clima del protossido di azoto supera quello della CO di quasi 300 volte. Le emissioni di gas serra sono così convertite ed espresse in CO equivalenti (CO₂-e)¹²:

 

 

Impatto ambientale della carne artificiale

È condivisibile che, (…) a causa dei dati limitati, gli studi sono scarsi e basati su processi di produzione ipotetici, con conseguente diminuzione del livello di accuratezza di ogni studio. La mancanza del profilo ambientale del processo, delle fasi di proliferazione e differenziazione nei bioreattori, della conoscenza di ingredienti chiave come fattori di crescita e altre proteine ricombinanti, aumentano la difficoltà di raggiungere conclusioni affidabili: il futuro delle valutazioni ambientali della carne coltivata dipenderà da quanti dati attendibili verranno sviluppati in futuro. (Rodriguez Escobar, 2021)¹³.

Purtroppo, ancora oggi risultano accreditate, e corposamente citate, affermazioni fuorvianti del tipo (…) rispetto alla carne europea prodotta in modo convenzionale, la carne coltivata comporta un consumo energetico inferiore dal 7 al 45%, emissioni di gas serra inferiori dal 78 al 96%, uso del suolo inferiore del 99% e riduce il consumo di acqua fra l'82–96%. Anche se dietro lo scudo dell'elevata incertezza, (…) gli impatti ambientali complessivi della produzione di carne coltivata sono sostanzialmente inferiori a quelli della carne prodotta in modo convenzionale (Tuomisto, 2011)¹⁴.
Incertezza talmente probante che questi dati sono stati rettificati dagli stessi autori (Tuomisto, 2014)¹⁵, (ri)affermando (…) come i risultati delle loro analisi ambientali abbiano ancora un livello di incertezza elevato, e ancora (Tuomisto, 2022)¹⁶, suggerendo nuove aree di ricerca per aiutare a migliorare le prestazioni ambientali dei sistemi di produzione di carne coltivata.
In verità è il consumo di energia che appare evidente quale punto critico della produzione di biomassa in vitro che potrebbe richiedere, inconfutabilmente, (…) quantità minori di input agricoli e terra rispetto al bestiame, tuttavia, questi benefici potrebbero essere annullati da un uso più intensivo di energia, non fosse altro per la necessità di sostituire le funzioni biologiche come la digestione e la circolazione dei nutrienti con equivalenti processi industriali. In base al calcolo dell’LCA (Life Cycle Analysis), per kg di carne edibile o di biomassa, la carne coltivata avrebbe un maggiore potenziale di riscaldamento globale (7,5 Kg CO₂e) rispetto alla carne suina (4,1) e al pollame (2,3), ma sarebbe comunque inferiore a quella bovina (30,5), pur mantenendo significativi (e ovvi) risparmi nell’uso del suolo, mentre il consumo energetico è nettamente sfavorevole alla carne coltivata (106 MJ) contro quella bovina (78,6), suina (16) e pollame (26,6) (Mattick et al., 2015) ¹⁷.
Sempre riguardo i GHG, pare corretto non imputarli di uguali effetti avendo, si, il metano, a parità di tonnellate emesse, un impatto sul clima molto più elevato dell'anidride carbonica, tuttavia permane in atmosfera soltanto per poco più di un decennio, mentre la CO₂ persiste e si accumula per svariati secoli o millenni. Gli ossidi di azoto si collocano in una posizione intermedia: molto più impattanti rispetto sia al metano sia all'anidride carbonica e una durata atmosferica di poco più di 100 anni.
Ora, i sistemi bovini sono associati alla produzione di tutti e tre i gas serra (CH₄, NO₂, CO₂) ed in particolare alle emissioni significative di CH₄, mentre le emissioni di carne artificiale sono quasi interamente rappresentate da CO₂, generata dagli impieghi energetici in misura dipendente dalla loro fonte.
(…) Con un consumo globale elevato e continuo, la carne coltivata provoca inizialmente un riscaldamento inferiore rispetto al bestiame, ma questo divario si riduce nel lungo periodo od addirittura può invertirsi, poiché le emissioni di CH₄ non si accumulano, a differenza della CO₂. In un modello sperimentale a ridotti consumi di carne, sebbene i sistemi bovini generalmente determinino un picco di riscaldamento maggiore rispetto alla carne coltivata, l'effetto del riscaldamento diminuisce e si stabilizza, mentre il riscaldamento determinato dalla CO₂ della carne coltivata persiste e si accumula anche con un consumo ridotto, superando nuovamente la produzione di bestiame in alcuni scenari (Lynch, 2019)¹⁸.
In un sistema energivoro, va da sé che l’utilizzo di energia decarbonizzata si rifletta positivamente sugli impatti climatici della carne artificiale, rimodulando il confronto con l’allevamento alla luce dei suoi evolutivi output ambientali.
Altro fattore ancora poco interpretabile sono le specifiche impronte ambientali dei vari fattori di produzione, in primis i nutrienti costituenti il substrato di crescita delle cellule ed il loro destino a fine ciclo.
In tale ambito si inserisce il discusso impiego di siero fetale bovino (FBS) quale stimolatore della crescita cellulare e apportatore di molecole essenziali (ormoni, vitamine, proteine ​​di trasporto, ecc.) (Van der Valk J., 2018)¹⁹, sollevando problemi di ordine etico e legali da cui la pressante corsa alla ricerca di soluzioni FBS free.
 

Conclusioni

Ci si limita a prendere atto di come il marketing dei produttori delle nuove carni, qualunque esse siano, si rivolga sistematicamente contro l’allevamento, proponga un prodotto simile chiamandolo arbitrariamente carne e dichiarandolo meno impattante dal punto di vista ambientale, vanti, per lo meno auspichi, un prezzo competitivo e, evidenziando salubrità, sottenda libertà di consumo.
Considerazioni tutte che meriterebbero più ponderazione, in risposta alle quali, realisticamente, non giova contrarietà precostituita bensì iniziative per sollecitare una robusta attività regolatoria.
In estrema sintesi, in ottemperanza al titolo, la produzione di carne sostitutiva di quella proveniente dagli allevamenti, non parrebbe supportarne un consumo elevato.
Tradotto: non rappresenta una panacea per il pianeta e l’umanità, bensì uno strumento tecnologico, con i suoi limiti e le sue potenzialità, che si affianca all’allevamento per una mission comune.
In effetti, motivi di riflessione non mancano e se il lettore vorrà visionare il recente video FAO ²⁰ in tema di procedure produttive, potrà farsi una propria opinione.

***

Bibliografia

1) Emissions impossible: How big meat and dairy are heating up the planet. By GRAIN and the Institute for Agriculture and Trade Policy (IATP) | 18 Jul 2018 https://grain.org/article/entries/5976-emissions-impossible-how-big-meat-and-dairy-are-heating-up-the-planet2)

2) Pascale A. 2022. La santa armata unita contro le innovazioni alimentari. Olioofficina Magazine, 29 novembre 2022. https://www.olioofficina.it/magazine/culture/visioni/la-santa-armata-unita-contro-le-innovazioni-alimentari.htm 
 
3) FAO. 2018. World Livestock: Transforming the livestock sector through the Sustainable Development Goals. Rome. 222 pp. https://doi.org/10.4060/ca1201en
 
4) FAO, 2013.Tackling Climate Change Through Livestock, A Global Assessment Of Emissions And Mitigation Opportunities https://www.fao.org/3/i3437e/i3437e.pdf

5) Capper J L et al., 2009. The environmental impact of dairy production: 1944 compared with 2007.
Journal of Animal Science, Volume 87, Issue 6, June 2009, Pages 2160–2167, https://doi.org/10.2527/jas.2009-1781

6) Hristov A.N. et al. 2022, Symposium review: Effective nutritional strategies to mitigate enteric methane in dairy cattle. Journal of Dairy Sciences, Volume 105, ISSUE 10, P8543-8557, October 01, 2022. https://doi.org/10.3168/jds.2021-21398 
 
7) Hristov A. N., 2012. Historie, pre-European settlement, and present-day contribution of wild ruminants to enteric methane emissions in the United States. Journal of Animal Science, 90 (4), 1371-1375. doi: 10.2527/jas.2011-4539 https://www.sci-hub.ru/10.2527/jas.2011-4539

10) Hancox D., (2018). The Unstoppable Rise of Veganism: How a Fringe Movement Went Mainstream. The Guardian, Sun 1 Apr 2018. https://www.theguardian.com/lifeandstyle/2018/apr/01/vegans-are-coming-millennials-health-climate-change-animal-welfare

11) Nezlek J. et al., 2020. Vegetarianism as a social identity. Current Opinion in Food Science 2020, 33:45–51. https://doi.org/10.1016/j.cofs.2019.12.005
 

13) Rodriguez Escobar M. et al., 2021. Analysis of the Cultured Meat Production System in Function
of Its Environmental Footprint: Current Status, Gaps and Recommendations. Foods 2021, 10(12), 2941. https://doi.org/10.3390/foods10122941

14) Tuomisto H.et al., 2011. Environmental Impacts of Cultured Meat Production. Environ. Sci. Technol. 2011, 45, 14, 6117–6123 https://doi.org/10.1021/es200130u

15) Tuomisto H.et al., 2014. Environmental impacts of cultured meat: alternative production scenarios. Proceedings of the 9th International Conference on Life Cycle Assessment in the Agri-Food Sector. https://core.ac.uk/download/pdf/38629617.pdf

16) Tuomisto H.et al., 2022. Environmental Impacts of Cultured Meat Production. Science of The Total Environment, Volume 851, Part 1, 10 December 2022, https://doi.org/10.1016/j.scitotenv.2022.158051

17) Mattick c. et al., 2015. Anticipatory Life Cycle Analysis of In Vitro Biomass Cultivation for Cultured Meat Production in the United States. Environ. Sci. Technol. 2015, 49, 19, 11941–11949. https://doi.org/10.1021/acs.est.5b01614

18) Lynch J. Et al., 2019. Climate Impacts of Cultured Meat and Beef Cattle. Frontiers in Sustainable Food Systems, 19. https://doi.org/10.3389/fsufs.2019.00005

19) Van der Valk J. Et al., 2018. Fetal Bovine Serum (FBS): Past – Present – Future. ALTEX - Alternatives to animal experimentation, 35(1), pp. 99–118. DOI: https://doi.org/10.14573/altex.1705101


GIANLUIGI MAZZOLARI


Agronomo, laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC di Piacenza. Ha percorso la propria carriera professionale presso aziende multinazionali nel settore alimentare. Ora esercita attività di consulenza agro-alimentare.


1 commento:

  1. Ottimo! uno dei pochissimi articoli sull'argomento non inficiati da pregiudizio ideologico in un senso o nell'altro. Congratulazioni!

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