giovedì 4 gennaio 2024

ANIDRIDE CARBONICA E AGRICOLTURA

Una politica che si concentra sulle emissioni di gas serra ignorando quasi totalmente il gigantesco assorbimento fotosintetico di CO operato dall’agricoltura conduce paradossalmente a scelte poco rispettose del clima


di LUIGI MARIANI

 

Fotosintesi

La vita sul nostro pianeta si fonda sul carbonio, il quale è oggetto di un ciclo molto complesso¹ di cui la CO₂ atmosferica costituisce un anello fondamentale in quanto ingrediente chiave della fotosintesi, la quale alimenta tutte le catene alimentari del pianeta². Alla luce di ciò il concetto secondo cui “l’anidride carbonica è un pericoloso inquinante”, da anni inculcato in modo acritico nella popolazione mondiale è da considerare secondo la tassonomia degli idoli di Francis Bacon³ come un “idolo del teatro” che danneggia la collettività impedendole di prendere atto della duplice natura della CO, al contempo gas serra e mattone fondamentale della vita sulla Terra, e di assumere decisioni coerenti con tale realtà.

La COcome gas a effetto serra

La CO e gli altri gas a effetto serra agiscono sul clima intercettando i fotoni emessi dalla superficie del pianeta e reirraggiando parte dell’energia così ricevuta verso terra, sempre in forma di fotoni. Tale fenomeno provoca un aumento della temperatura media di superficie della Terra di circa 33°C, portandola dai gelidi -18°C che si avrebbero in assenza di effetto serra e che impedirebbero la vita nelle forme attuali ai +15°C odierni, il che pone in luce un ulteriore idolo del teatro, quello della “lotta contro l’effetto serra”: se non vi fosse effetto serra il pianeta non sarebbe abitabile e dunque quel che si dovrebbe oggi contrastare non è tanto il fenomeno in sé quanto il suo potenziamento da parte dell’uomo. Da considerare inoltre che dei 33°C di effetto serra terrestre il 73% (24°C) si deve all’acqua in forma di vapore o di nubi e il 20% (6°C) alla CO (Lacis et al., 2010).
Oggi i livelli di CO atmosferici sono in aumento (figura 1) con un rilevante contributo antropico e gli effetti sulle temperature globali sono stimabili con l’equazione di Myhre (2018) e la legge di Stefan Boltzmann applicate allo strato emittente (atmospheric emission layer) posto in atmosfera a un’altitudine di circa 5 km (Held e Soden, 2000). 
 
Figura 1 - Emissioni e assorbimenti totali di CO2 da parte di una coltura di frumento coltivata nel sud della Svezia e nutrita con livelli crescenti di azoto.


L’equazione di Myhre indica che nel passaggio di CO dai livelli pre-industriali (anno 1750 - 280 ppmv) al raddoppio (560 ppm, atteso per il 2090 circa) l’irraggiamento dell’atmosfera verso la superficie dovrebbe aumentare di 5.35*(560/280)= 3.71 W m-², il che secondo la legge di Stefan e Boltzmann si traduce in un aumento delle temperature di circa 1°C. Tale effetto termico primario della CO è modificato dai feed-back, e cioè dai processi (incremento del vapore acqueo atmosferico, calo delle coperture nevose e glaciali, variazione nei tipi di copertura del suolo e nella copertura nuvolosa, accentuazione nell’effetto Planck, ecc.) che sono in grado di rafforzare o indebolire l’effetto termico di CO e che dovrebbero portare a +1.5/+4.5°C l’effetto termico finale atteso al raddoppio di COrispetto ai livelli pre-industriali, con valori più probabili di +2.6/+3.9°C (Shervood et al., 2020). Il più incerto fra tutti i feed-back è quello dovuto alle nubi, i relazione al quale si può grossomodo affermare che il pianeta si riscalderà se aumenteranno le nubi alte (cirri) mentre si raffredderà se aumenteranno le nubi basse (cumuli, strati). Al riguardo si deve tuttavia sottolineare che la previsione del feed-back radiattivo da nubi è soggetta a una sensibile incertezza che costituisce la più rilevante fonte di errore nelle previsioni di global warming eseguite con modelli matematici a base fisica come gli EBM e i GCM (Wang et al., 2021).

La CO come gas della vita

Per cogliere in termini quantitativi il ruolo chiave della CO come gas della vita sul nostro pianeta, si deve anzitutto ricordare che il carbonio costituisce all’incirca il 45% della sostanza secca dei vegetali (Linderholm et al, 2020), il 50% di quella degli animali (Bar-on et al, 2018, Supplementary material, pag. 61) e il 58% di quella dell’humus, per cui considerando i pesi atomici (44 per la CO e 12 per il carbonio) si ricava che per produrre 100 grammi di sostanza secca vegetale occorrono 45*44/12=165 grammi di CO e analogamente ne occorrono 183 per produrre 100 grammi di sostanza secca animale e 213 per produrre 100 grammi di sostanza secca dell’humus.
La tabella 1 riporta la distribuzione del carbonio nei 6 grandi regni in cui si suddividono gli esseri viventi: si noti da un lato l’incertezza esistente nelle stime e dall’altro la netta preponderanza della materia vivente vegetale e batterica (rispettivamente l’82.6% e il 12.8%) rispetto a quella degli altri regni. Verrebbe da dire che gli organismi autotrofi (attori della fotosintesi) e i batteri (da cui dipende la chiusura dei cicli degli elementi) sono di gran lunga gli azionisti di maggioranza della biosfera e che gli animali hanno il ruolo di comparse (0,4%) ed è in tale peculiarità che andrebbe forse ricercata la chiave per stabilizzare i livelli di CO atmosferici, come tempo fa suggerì il grande fisico Freeman Dyson, il quale sosteneva che la regolazione dei livelli atmosferici di CO è un problema di gestione dell’uso del suolo (Dyson, 1999).
La tabella 2 fornisce alcuni ulteriori dettagli per esseri umani, piante coltivate, animali domestici, ecc.

 


La sottovalutazione della rilevanza del processo fotosintetico

Anni fa fui inviato a una trasmissione televisiva del mattino di RAI3 e lì ebbi a affermare che l’agricoltura - in quanto governo del ciclo del carbonio da parte dell’uomo tramite la gestione della fotosintesi e dei processi catabolici conseguenti - potrebbe rivelarsi uno strumento decisivo per contenere l’aumento di CO in atmosfera. Al riguardo ricordo che un fisico presente in sala affermò che un problema tanto grave non si gestisce certo con i fiorellini… affermazione questa che la dice lunga su come il maistream valuti oggi la rilevanza ecosistemica dell’attività agricola. Su tale tema la mia linea di pensiero si sostanzia nel fatto che le emissioni agricole di gas a effetto serra (CO, metano, protossido d’azoto) interessa carbonio in precedenza assimilato con la fotosintesi, il che si presta a 3 deduzioni principali:
  1. l'agricoltura emette solo una piccola parte di quanto ha in precedenza assorbito con la fotosintesi e con ciò si rivela del tutto peculiare rispetto agli altri settori socio-economici: la pubblicità di una grande casa automobilistica, per quanto accattivante essa sia, non potrà mai raccontarci che le auto assorbono CO
  2. l’agricoltura è in grado di contenere l’aumento dei livelli atmosferici di CO potenziando la funzione fotosintetica e accumulando CO sia nei prodotti che genera sia, in misura minore, nel terreno. Al riguardo si rifletta sul fatto che l’agricoltura produce polimeri del carbonio (amidi, lignina, cellulosa, ecc.) che potrebbero trovare un sempre più largo impiego in luogo dei polimeri di origine fossile (idrocarburi) che secondo la teoria più accerditata sono il frutto della attività fotosintetica di organismi che vissero sulla Terra milioni di anni orsono
  3. anche per ragioni educative, ogni settore dovrebbe essere responsabilizzato rispetto al segmento del ciclo di CO che esso domina. In tal senso l’agricoltura dovrebbe essere ritenuta responsabile degli assorbimenti e delle emissioni che realizza fino al cancello dell’azienda mentre i prodotti che escono dall’azienda dovrebbero essere di competenza degli operatori a valle come l’agroindustria, il commercio, le filiere dell’energia e giù giù fino al consumatore finale (Frankelius, 2020; Linderholm et al, 2020)

L'agricoltura emette una piccola parte di quanto ha in precedenza assorbito

A livello globale, secondo stime riferite al 2005 di Krausmann et al. (2013), l’umanità si appropria ogni anno di 49 Gt di CO atmosferica di cui 7.2 Gt per mezzo dell’agricoltura, 4.4 Gt per mezzo dei pascoli e 1.8 Gt per mezzo delle foreste gestite. Tali dati sono stati da me attualizzati considerando prudenzialmente un incremento annuo del 2% nelle produzioni agricole e dell’1% nell’appropriazione da pascoli e foreste gestite, il che porta per il 2018 a una appropriazione complessiva di 59.5 Gt. Secondo FAO (2020) le emissioni agricole globali per il 2018 assommerebbero dal canto loro a 9.3 Gt di CO (di cui 5.3 legate alle attività zootecniche e 4 legate ai cambiamenti nell’uso del suolo) e sarebbero dunque pari al 15.6% dell’appropriazione della CO atmosferica a parte del settore agricolo-forestale (tabella 3).

Dati analoghi emergono se si approccia il problema a livello di singolo campo, come dimostrano ad esempio i dati di Linderholm et al. (2020) riportati in tabella 4 e figura 2 e che sono riferiti ad una coltura di frumento tenero in Svezia ottenuta apportando livelli crescenti di azoto: in rosso sono indicate le emissioni totali, in verde l’assorbimento totale e in blu l’assorbimento netto (assorbimento totale meno emissioni totali). Si noti che l’assorbimento totale di CO viene massimizzato con una concimazione azotata di 160 kg ha-1 , quantitativo prossimo a quello necessario per restituire l’azoto asportato da 80 q di granella al 13% di umidità e con un tenore proteico del 13% sul peso secco. 
 
Figura 2 – Emissione e assorbimento totale di CO₂ equivalente d un ettaro di frumento coltivato nel Sud della Svezia e soggetto a dosi crescenti di concimazione azotata (dati da Linderholm et al, 2020).




 

L’agricoltura e il contenimento dei livelli atmosferici di CO

Il pianeta è soggetto da oltre un secolo a un progressivo incremento della biomassa per effetto della concimazione carbonica causata dai crescenti livelli di CO atmosferica. Tale fenomeno, noto come global greening, ha portato secondo i dati di Haverd et al. (2020) ad un sensibile aumento dell’assorbimento fotosintetico globale di CO da parte dei vegetali, passato da 105 Gt del 1905 alle 142 Gt del 2016 (+35%). Tale incremento è confermato da Campbell et al. (2017) e di esso beneficiano in modo rilevante gli ecosistemi naturali (foreste praterie, ecc.) e la stessa agricoltura, il cui sensibile incremento delle rese (+3/+5% l’anno per le grandi colture – mais frumento, riso e soia – oggi responsabili del soddisfacimento del 64% del fabbisogno calorico umano) si deve in parte al global greening mente la parte più rilevante è dovuta al progresso nella genetica e nelle tecniche colturali. La rilevanza dell’assorbimento di CO da parte di vegetazione naturale e colture è attestata dal caratteristico andamento a denti di sega dei livelli di CO (figura 1), la quale ogni anno nel nostro emisfero manifesta un calo di 6-8 ppmv in coincidenza con il periodo estivo, allorché le piante coltivate e spontanee sono in piena attività (Zeng et al., 2014).
La CO atmosferica è facilmente assorbita dalle piante e dalle acque oceaniche fintanto che permane all’interno dello strato limite planetario, strato che alle medie latitudini interessa mediamente i primi 1-2 km al di sopra del suolo e che è soggetto al rimescolamento diurno indotto dalla turbolenza termica (Stull, 1997; Charlson, 2000). Se dallo strato limite la CO viene trasferita nella libera atmosfera (strato compreso fra 1-2 e 10-12 km di quota)¹ l’attingimento da parte dei vegetali o degli oceani si fa assai più difficile, per cui la CO vi persiste a lungo, anche perché le temperature che incontra non sono sufficientemente basse per produrne la condensazione. Per tale ragione la metavita di CO nella libera atmosfera è stimabile in circa 120 anni (https://meteor.geol.iastate.edu/gccourse/forcing/lifetimes.html). Da ciò deriva l’importanza del fatto che la CO venga assorbita dalla vegetazione fintanto che si trova nello strato limite planetario, il che spiega l’utilità di mantenere nei campi una copertura vegetale continua (colture da reddito e cover crops) in grado di intercettare CO.

Un gigantesco equivoco sul ruolo dell’agricoltura

Fra gli “idoli del teatro” ricade senz’ombra di dubbio lo schema adottato in sede IPCC¹¹ (Linderholm et al, 2020), secondo il quale l’impatto climatico della produzione agricola viene contabilizzato in base alle emissioni, dovute soprattutto agli animali domestici (in primis i ruminanti), alla produzione dei concimi di sintesi di cui in agricoltura si fa ampio uso e ai cambiamenti di uso del suolo. Tale schema considera solo una piccola frazione del carbonio catturato in agricoltura e cioè quello stoccato nel suolo (Soil organic carbon SOC) mentre sono del tutto trascurate le enormi quantità di carbonio stoccate negli alimenti e in altri beni di consumo (fibre tessili, legname, materie plastiche di origine agricola, ecc.) e nelle energie rinnovabili, frutto ad esempio di biodigestione o gassificazione. Da ciò deriva che la produzione agricola, per quanto essenziale per la popolazione, sia sempre più percepita dai governi come un peso, in quanto generatore di emissioni di CO e di altri gas serra. Ciò, specie nei paesi più sviluppati, si traduce in politiche miranti a deprimere la produzione agricola interna e ad esternalizzare l’approvvigionamento di cibo e beni di consumo (Linderholm et al, 2020).
Per cogliere la fenomenologia sopra descritta basta considerare che nelle attività regolatorie delle emissioni antropiche dei gas a effetto serra l’impatto climatico della produzione agricola viene oggi valutato ricorrendo a metodologie di tipo LCA (Life Cycle Asssessement) che considerano le emissioni e non l’assorbimento fotosintetico, fenomeno questo che viene costantemente ignorato dalla legislazione mentre dovrebbe oggi essere collocato al centro dell’impianto normativo. Si tratta di un dato di fatto deteriore e che è stato giustamente stigmatizzato da Frankelius (2020) e Linderholm et al. (2020), i quali sottolineano che la linea stabilita in sede IPCC si traduce da un lato in un’avversione preconcetta ai concimi di sintesi e alla zootecnia e dall’altro nell’espansione delle aree coltivate.
Più nello specifico i concimi di sintesi sono ritenuti dannosi al clima in virtù dell’elevato fabbisogno energetico per la loro produzione, il che è miope in quanto solo nutrendo adeguatamente le colture esse ci ripagano assorbendo quantità rilevanti di CO atmosferica. Alla demonizzazione non sfuggono poi le attività zootecniche, le quali sono viste solo come grandi emettitori mentre dovrebbero invece essere viste come parte di un ciclo che le vede emettere quantitativi di gas a effetto serra che costituiscono solo una parte dell’anidride carbonica assorbita dall’agricoltura con la fotosintesi, come sottolineano Rotz e Hristov in un loro scritto del 2019 dal significativo titolo “Cattle are part of the nature's carbon cycle” (figura 3).
Figura 3 – Il ruolo della zootecnia nel ciclo del carbonio in agricoltura (Rotz e Hristov, 2019 (b)).


Con uno schema che tiene conto solo dei costi (emissioni) e non del reddito (assorbimento fotosintetico), la conclusione inevitabile è che le attività agricole dovrebbero esser ridotte, il che si tradurrebbe nella diminuzione della produzione alimentare globale. Al riguardo l’articolo 2 dell’UNFCCC avverte che la produzione alimentare non dovrebbe essere minacciata dalle misure di mitigazione del clima, ma nel dibattito politico questo richiamo viene sempre più spesso ignorato.
Si tenga peraltro conto che la linea di pensiero che domina in sede IPCC tende a favorire l’espansione delle agricolture biologiche, a bassa efficienza in quanto richiedono il doppio o il triplo della terra rispetto all’agricoltura convenzionale per produrre la stessa quantità di beni e dunque per assimilare la stessa quantità di CO. Ferma restando la libertà degli agricoltori di produrre nel modo in cui meglio credono (a patto che ciò avvenga nel pieno rispetto delle leggi e offrendo al consumatore quanto pattuito) i governi dovrebbero contenere l’espansione delle agricolture bio per i seguenti motivi strategici (Ferrero et al., 2021):
  1. la scarsità di terreni coltivabili rappresenta il principale fattore limitante per la futura sicurezza alimentare
  2. l’espansione dell’agricoltura biologica, auspicata ad esempio dalla Commissione Europea nelle politiche del green deal (farm to fork, ripristino della natura), condurrà inevitabilmente all’espansione dei terreni coltivati con cambiamenti di uso del suolo forieri di grandi emissioni di gas serra
  3. nel caso specifico dell’Europa la contrarietà di molti cittadini, da sempre avversi all’agricoltura e amanti dei boschi (che pure negli ultimi decenni stanno crescendo a dismisura), porterà presumibilmente all’espansione delle aree coltivate in altre parti del mondo, dando luogo ad un caso esemplare di “green washing”, denunciato ad esempio da Fuchs et al. (2020).

 Conclusioni

Il compito principale dell’agricoltura è produrre cibo, beni di consumo ed energia sfruttando il processo di fotosintesi. Alla luce di ciò il fatto che il sequestro del carbonio operato tramite la fotosintesi non sia considerato nei calcoli d’impatto dell’agricoltura sul clima costituisce un grave vulnus non solo per l’agricoltura stessa ma per l’intera collettività, in quanto l’agricoltura non può dispiegare appieno il proprio potenziale di mitigazione del cambiamento climatico e la propria azione a favore delle sicurezza alimentare globale.
In sintesi dunque una politica che si concentra esclusivamente sulle emissioni di gas serra ignorando quasi del tutto il gigantesco assorbimento fotosintetico operato dalle colture sta paradossalmente portando la collettività a decisioni sempre meno rispettose del clima.



Note
 
¹ E’ il più complesso ciclo biogeochimico presente sul nostro pianeta.
² a tale regola sfuggono solo gli organismi chemio-autotrofi.
³ Fancis Bacon fu uno strenuo oppositore dell’autorità di Aristotele nella scienza, il che lo accumuna a Galileo. Nel 1620 Bacon pubblica il Novum Organum sive indicia vera de interpretatione naturae in cui traccia un nuovo metodo mediante il quale dev’essere condotta la costruzione del sapere e come alternativa alla logica aristotelica (i cui scritti costituivano l’Organon) propone una logica fondata sull’induzione e volta all’ottenimento di assiomi mediante progressive generalizzazioni fondate sulla sistematica interrogazione sperimentale della natura. 
Gli idoli sono i pregiudizi che minano il sapere impedendo un’interpretazione realistica della natura (Dizionario di filosofia Treccani, 2009). In particolare gli idoli del teatro sono definiti da Bacon come “concetti che penetrano negli animi degli uomini dai vari sistemi filosofici e dalle errate leggi delle dimostrazioni. Li chiamiamo idoli del teatro perché consideriamo tutte le filosofie che sono state ricevute o create come tante favole presentate sulla scena e recitate che hanno prodotto mondi fittizi da palcoscenico. Non parliamo solo dei sistemi filosofici che già abbiamo o delle antiche filosofie e delle antiche sètte perché è sempre possibile comporre e combinare moltissime altre favole dello stesso tipo: le cause di errori diversissimi possono essere infatti comuni. Né abbiamo queste opinioni solo intorno alle filosofie universali, ma anche intorno a molti princípi e assiomi delle scienze che sono invalsi per tradizione, credulità e trascuratezza” (Bacon, 1620 - XLIV).
Una recentissima stima eseguita con modelli indica che sarebbe di origine antropica il 52% della CO oggi presente in atmosfera mentre del rimanente 48% di origine naturale il 33% proverrebbe dagli oceani e il 15% dalle terre emerse (Pressburger et al., 2023). Sempre secondo Pressburger et al. nel periodo 1961-2020 la quota antropica ha presetnato un lievissimo trend negativo (-0.01/decade).
Si tratta dell’equazione logaritmica DeltaE=5.35*ln(C/C0) ove DeltaE è la variazione nell’energia emessa dall’atmosfera verso terra (forcing radiattivo), C'è il contenuto atmosferico in CO in un dato istante espresso in parti per milione (es: attualmente siamo a 425 ppmv) e C0 è il livello di CO pre-industriale (280 ppmv). 
Per un corpo nero cui può essere assimilata l’atmosfera tale legge è: E=sigma*T^4 ove E è l’energia emessa, T è la temperatura assoluta e sigma è una costante.
Vari batteri sono altresì attori del processo di fotosintesi. E’ questo il caso dei cianobatteri che sono ritenuti i più antichi organismi foto sintetici del pianeta: le loro più antiche tracce in rocce organogene risalgono a 3450 milioni di anni fa (Allwood et al., 2009).
Processi di degradazione della sostanza organica che hanno luogo in primis nel suolo.
¹ Il trasferimento nella libera atmosfera si verifica ad esempio ad opera della convezione profonda (deep convection) che porta allo sviluppo delle grandi nubi convettive (cumuli congesti e cumulonembi). 
¹¹L’IPCC è l’Intergovernamental Panel on Climate Change.
 


Bibliografia


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Luigi Mariani
 
Professore Associato di Agronomia presso l'Università degli Studi di Brescia. E' Direttore del Museo Lombardo di Storia dell’Agricoltura e vicepresidente della Società Agraria di Lombardia. E’ ordinario dell'Accademia della vite e del vino e membro corrispondente dell'Accademia dei Georgofili.

 

1 commento:

  1. L’alternativa all’agricoltura sarebbe un terreno naturale dove cresce naturalmente una vegetazione spontanea per cui rispetto ai terreni utilizzati per l’agricoltura assorbono co2 e fissano carbonio. I terreni utilizzati per le coltivazioni, solitamente, restano scoperti di vegetazione per lunghi periodi , dai 4 agli 8 mesi all’anno in tale lasso di tempo vengono lavorati regolarmente per affinarli ed impedire di far crescere la vegetazione spontanea.le continue lavorazioni non fanno si che molta co2 si liberi nell’aria?

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