lunedì 8 gennaio 2024

NUOVI MODELLI DI ORGANIZZAZIONE DELL' AZIENDA AGRICOLA

di ERMANNO COMEGNA

Relazione presentata al Convegno “Gestione aziendale e programmazione territoriale in agricoltura”

Accademia dei Georgofili

Firenze, 21 novembre 2023
(Uscito in origine: FIDAF)
 



L’elemento comune presente in tutte le relazioni del convegno di oggi è il tema dell’interazione dell’azienda agricola in forme nuove, originali, mutevoli con l’ambiente esterno e con altri agenti economici ed istituzionali.
Diversi studi hanno affrontato l’argomento, partendo dalla constatazione che negli ultimi 20 anni stanno emergendo nuove modalità di organizzare la gestione dell’azienda agricola, come risposta a fenomeni di diversa natura ed origine come il declino della classica azienda agricola famigliare nel fornire risorse umane in quantità e qualità adeguate alle esigenze; la complessità del funzionamento dei sistemi agro-alimentari che implica una accentuata interdipendenza tecnologica; i processi di transizione ecologica e digitale, la cui implementazione esige cambiamenti sostanziali.

Il processo di interazione incide sul funzionamento del sistema agricolo che oggi presenta fenomeni ed elementi peculiari come:l’accentuata esternalizzazione delle funzioni, come ad esempio l’utilizzo dei cantieri per la produzione, la raccolta e la conservazione dei foraggi; la gestione degli effluenti zootecnici; le operazioni per attuare le tecniche di agricoltura di precisione; 
la condivisione di dati ed informazioni realizzata su scala territoriale per ottimizzare le operazioni di gestione corrente (si pensi all’utilizzo dei bollettini agrometeorologici e alle informazioni sulla diffusione di malattie delle piante) e a livello di filiera per la tracciabilità dei prodotti, la garanzia d’origine e la certificazione dei processi;
la partnership in modalità orizzontale tra aziende agricole con diverse, ma complementari specializzazioni, come avviene nelle aree ad elevata intensità zootecnica, tra le imprese che producono materie prime mangimistiche e gli allevamenti. La collaborazione si manifesta anche attraverso reti di imprese e forme sempre più originali di coordinamento verticale;
l’aggregazione delle aziende agricole in cooperative, organizzazioni di produttori e loro associazioni che talvolta sfocia nella costituzione di organismi interprofessionali, sebbene tali strumenti risultano ad oggi diffusi in maniera non uniforme a livello settoriale e territoriale. In tale contesto emerge – tra le altre cose – un modello di funzionamento del sistema agricolo basato su scala territoriale, di cui sono state fornite diverse testimonianze dagli altri relatori.

L’argomento che mi è stato affidato è di indagare se e in che modo la politica agricola comunitaria (PAC) tenga conto di tali dinamiche.La risposta è articolata considerando un doppio livello di analisi: il primo riguarda le regole che sono formulate a livello di Unione europea; mentre il secondo attiene alla declinazione eseguita a livello italiano, tenendo conto del nuovo modello di gestione inaugurato con l’ultima riforma del 2021, dove è previsto l’affidamento alle autorità nazionali delle scelte di programmazione strategica, in aggiunta alle responsabilità gestionali ed esecutive tradizionalmente ricoperte in passato.

Gli strumenti per l’agricoltura su base territoriale nei regolamenti Ue

Sul primo punto il mio personale parere è il seguente: l’architettura della PAC nei regolamenti di base dell’Unione europea è tale da tenere conto delle dinamiche organizzative su base territoriale del sistema agricolo.

Ecco di seguito qualche testimonianza. Nel regolamento sui piani strategici della PAC (Reg. 2021/2115) troviamo strumenti quali:gli interventi settoriali per l’ortofrutta, l’olio di oliva e le olive da mensa, il vino, l’apicoltura ed eventualmente altri settori scelti dagli Stati membri. Tranne che nel caso del vino, tali strumenti sono attuati attraverso le organizzazioni dei produttori e le loro associazioni e quando non è previsto l’azione di tali organismi, sono presenti misure attivabili anche da aggregazioni formali o informali di imprese. Si pensi a tale riguardo, ad esempio, alla promozione dei vini sul mercato dei Paesi terzi;
ci sono i cosiddetti regimi collettivi per gli impegni in materia di ambiente, di clima e di biodiversità che gli Stati membri possono promuovere nei loro piani strategici, in modo da produrre un significativo miglioramento delle prestazioni ambientali su scala ampia e misurabile (si veda l’articolo 70, paragrafo 5 del regolamento). In pratica, sono necessari accordi tra imprese attive in un determinato territorio che collettivamente assumono impegni di gestione, come possono essere ad esempio quelli per la costituzione ed il mantenimento di corridoi ecologici per la biodiversità;
sono previsti inoltre i fondi di mutualizzazione per la condivisione dei rischi agricoli, il sostegno alle strategie di sviluppo locale partecipativo, l’intervento della cooperazione, nell’ambito del quale opera il partenariato europeo per l’innovazione (PEI). Tutti questi strumenti esigono la compartecipazione di diversi soggetti, con le più diversificate forme di aggregazione, di tipo orizzontale o verticale che magari si creano per un singolo specifico obiettivo, ma poi si allargano verso altre forme di relazione tra le imprese partecipanti. Un esempio è dato dai fondi di mutualità per coprire eventuali rischi di mercato (volatilità dei prezzi di vendita dei prodotti agricoli e dei costi dei fattori tecnici) e le perdite di produzione conseguenti ad eventi climatici o fitopatie. La collaborazione tra imprese non si limita a costituire un fondo da utilizzare in caso di evento avverso, ma si estende alla definizione di buone pratiche che i partecipanti si impegnano a mettere in atto, in modo da circoscrivere il rischio e favorire la diffusione di comportamenti collettivi virtuosi.

Nel regolamento sull’organizzazione comune di mercato (l’OCM unica disciplinata nel Reg. 1308/2013) si trovano una pluralità di strumenti funzionali alla gestione condivisa delle attività nell’ambito del sistema agro-alimentare, alcuni attraverso una collaborazione su scala territoriale. Ecco di seguito alcuni esempi:uno strumento introdotto con la recente riforma della PAC del 2021, operativo a partire dall’8 dicembre 2023, riguarda le iniziative per la sostenibilità, con accordi verticali o orizzontali tra agenti economici che decidono di applicare requisiti più rigorosi rispetto a quelli obbligatori, la cui finalità è di migliorare la sostenibilità e le prestazioni ambientali (art. 210 bis). Tali accordi o pratiche sono ammessi in deroga alle norme sulla concorrenza e perseguono anche l’obiettivo di rafforzare la posizione sul mercato e accrescere il potere negoziale dei produttori agricoli. Nel concreto, una pluralità di agricoltori e di imprese della filiera di un determinato territorio potrebbero cooperare alla realizzazione di un progetto di certificazione di sostenibilità ambientale del prodotto o di un paniere di prodotti, cercando in questo modo di conseguire sia obiettivi di natura ambientale che economici, attraverso la segmentazione e la differenziazione del mercato;
sempre nell’ambito dell’ultima riforma della PAC è consentita la possibilità per gli operatori della filiera alimentare di sottoscrivere clausole di ripartizione del valore, attraverso accordi tra produttori agricoli, anche rappresentati dalle loro associazioni e primi acquirenti ed altri agenti economici che operano a valle del sistema produttivo (art. 172 bis). Con tale strumento si formalizzano intese per determinare la ripartizione di utili e perdite di mercato tra i diversi operatori della catena del valore e stabilire modalità di condivisione di eventuali evoluzioni dei prezzi di mercato dei prodotti finiti o delle materie prime;
di sicuro interesse è anche il riconoscimento di deroghe all’applicazione delle norme comunitarie in materia di concorrenza che possono essere applicate in caso di accordi e pratiche concordate da parte di organizzazioni interprofessionali riconosciute, alla condizione che le operazioni messe in campo siano finalizzate al conseguimento degli obiettivi della PAC, così come stabiliti nel Trattato dell’Unione europea (art. 210, così come revisionato con la riforma del 2021). Ci sono due tipologie di deroghe alle norme di concorrenza. La prima si applica ad accordi e pratiche concordate da parte di agricoltori, organizzazioni di produttori e relative associazioni che riguardano aspetti relativi alla produzione o alla vendita di prodotti o all’utilizzo di impianti comuni per lo stoccaggio, la manipolazione o la trasformazione delle materie prime agricole, fatta esclusione per le decisioni che comportano l’obbligo di applicare prezzi identici o tali da escludere la concorrenza (art. 209). La seconda tipologia riguarda gli accordi, le decisioni e le pratiche concordate dalle organizzazioni interprofessionali. In questo caso però è necessario notificare preventivamente l’operazione ai servizi della Commissione europea, cui spetta un parere sulla compatibilità con le disposizioni del Trattato. Tale possibilità non è consentita per accordi che implicano la compartimentazione del mercato interno dell’Unione europea; sfociano nella fissazione di prezzi o di quote; sono discriminatori, tendono ad eliminare la concorrenza e nuocciono al funzionamento del mercato comune;
da ultimo, si segnala l’estensione a tutti i prodotti con il riconoscimento della denominazione di origine protetta e della indicazione geografica protetta delle disposizioni sulla regolazione del mercato e sulla gestione dell’offerta. Fino ad oggi, tale opzione è stata consentita limitatamente ai formaggi ed ai prosciutti stagionati (artt. da 166 a 167 bis).

Ci sono altre disposizioni legislative europee dove si ritrovano dispositivi che implicano una gestione integrata, interdipendente ed armonica del settore agro-alimentare. Tra quelli più importanti, si menziona la direttiva europea sulle pratiche sleali, varata come strumento di regolazione dei rapporti nella filiera, tesa a prevenire e contrastare i comportamenti opportunistici, dominanti e squilibrati, da parte di agenti economici con maggiore potere negoziale.

Degno di nota è pure il regime di sostegno per la promozione dei prodotti agricoli nel mercato dei Paesi terzi, per il quale l’Unione europea destina una dotazione finanziaria di circa 200 milioni di euro per anno, da utilizzare per progetti presentati da singole imprese, da organismi aggregati e istituzionali e per programmi attuati direttamente dalla Commissione europea.


L’attuazione della PAC a livello nazionale

Più articolato diventa il discorso quando si esamina in che modo la PAC è calata nella realtà nazionale e come i diversi strumenti contenuti nei dispositivi legislativi comunitari sono interpretati ed attuati in Italia.

Con la riforma del 2021, la PAC è basata su un approccio diverso rispetto al passato, con una accresciuta autonomia decisionale dei Paesi membri, i quali non sono più valutati dalle istituzioni europee comunitarie per la conformità alle regole comuni, ma in funzione degli obiettivi da essi stabiliti ex ante, della coerenza del piano strategico pluriennale e dei risultati conseguiti durante la fase di applicazione degli interventi.

L’Unione europea si limita a definire regole su elementi essenziali e di validità comune per i 27 Stati membri; individuare un pacchetto di interventi tra i quali le autorità nazionali scelgono quelli più aderenti alle proprie specificità; stabilire regole per il corretto utilizzo delle risorse e per il monitoraggio e la valutazione dei piani nazionali. Il resto è di competenza delle autorità dello Stato membro.

La conseguenza di ciò è il considerevole aumento della responsabilità degli Stati membri che, a seguito della riforma del 2021, hanno compiti di natura strategica, con la possibilità di svolgere funzioni sensibili, con circoscritti vincoli e condizionamenti da parte della Commissione europea.

L’azione a livello nazionale parte dalla selezione delle necessità e dei fabbisogni del settore, individuati a seguito di una analisi del contesto e classificati secondo una scala di priorità. Si passa quindi alla selezione degli obiettivi da perseguire ed alla scelta di quali interventi attivare, decidendo le modalità, l’impostazione ed il funzionamento.

In tale ambito, gli Stati membri con i propri piani strategici pluriennali individuano i beneficiari del sostegno pubblico; delimitano le tipologie di territori nei quali gli interventi sono attuati; determinano i criteri di selezione che entrano in azione quando i fondi disponibili risultano inferiori rispetto alle richieste considerate ammissibili.

Come si può intuire, sono scelte rilevanti politicamente che però in Italia sono state formulate talvolta in maniera stereotipata, rinunciando ad esercitare l’azione di discrezionalità politica consentita dalle regole concepite dall’Unione europea. Il risultato è che spesso si è preferito mantenere lo status quo in termini di interventi, piuttosto che mettere in campo soluzioni selettive, innovative e mirate.

Da ultimo le autorità nazionali devono provvedere a ripartire i fondi disponibili tra i diversi interventi, per poi procedere ad un’ulteriore suddivisione a favore dei singoli settori, delle aree geografiche, delle tipologie di beneficiari.

Una volta terminato il processo di programmazione strategica, si passa all’attuazione e al monitoraggio degli interventi, con la possibilità di eseguire adattamenti e modifiche concordate con la Commissione europea.

In Italia, questo processo è soggetto ad alcune limitazioni e condizionamenti. Salvo le dovute eccezioni, non c’è, ad oggi, un dialogo strutturato ed efficace tra operatori economici e responsabili della programmazione. Non sono mancate, invero, naturalmente le consultazioni pubbliche e le occasioni di confronto a livello nazionale e sul territorio. Il problema non è la frequenza del dialogo, ma la qualità dei relativi esiti.

I risultati paiono, in genere, al di sotto delle aspettative e tali da non generare un processo virtuoso, capace di concentrare l’attenzione sugli elementi critici del settore e trovare soluzioni mirate, avendo l’ambizione di agire in maniera discontinua rispetto al passato e di individuare politiche originali.

Le scelte formulate nell’ambito del Piano strategico nazionale riflettono la preoccupazione di scongiurare la redistribuzione delle risorse finanziarie della PAC tra settori produttivi, aree geografiche e tipologie di beneficiari. Le poche innovazioni che hanno lasciato il segno sono perlopiù dovute a obblighi stabiliti nella normativa europea, com’è il caso, ad esempio, dell’introduzione del valore massimo dei titoli disaccoppiati e dell’obbligo di attuare i pagamenti redistributivi, per favorire le piccole e medie aziende.

Si avverte una evidente propensione a privilegiare la spesa, piuttosto che disegnare interventi suscettibili di risolvere gli aspetti critici evidenziati nella fase di analisi del contesto.

È evidente che un approccio di questo tipo favorisce scelte conservative: si va sul sicuro e si punta sugli interventi a basso rischio, semplici, standardizzati, conosciuti perché attuati da diversi anni e per i quali la velocità di spesa si consegue in maniera certa e quasi automatica.

Un altro aspetto che condiziona l’applicazione della PAC in Italia e su cui, finalmente, negli ultimi tempi, si è cominciato a riflettere è la carenza di personale nella pubblica amministrazione, per effetto della concentrazione in pochi anni del pensionamento di una parte cospicua delle risorse professionali attive. Di conseguenza, quelle che rimangono in servizio sono nella condizione di concentrare quasi esclusivamente l’azione nell’ordinaria gestione, in modo così intenso da sottrarre energie per cogliere le dinamiche del settore agricolo, dalle quali è possibile individuare strumenti e interventi innovativi e più coerenti con i fabbisogni.

Si avverte anche la mancanza di scelte politiche coraggiose e chiare in termini di priorità, di obiettivi e criteri per indirizzare in modo mirato le scarse risorse disponibili e per imprimere una accelerazione al processo di adeguamento della politica agricola.

Durante la fase di programmazione strategica della PAC in Italia che è durata oltre 4 anni, anche se la maggior parte del lavoro si è concentrata in pochi mesi, non c’è stata alcuna presa di posizione del Parlamento e non sono stati individuati in modo formale e pubblico indirizzi politici ed orientamenti tali da guidare il processo di costruzione del programma pluriennale.

Infine, in Italia abbiamo una radicata propensione a complicare eccessivamente il funzionamento della politica agraria, in rapporto a quanto sarebbe necessario e soprattutto sostenibile per il nostro apparato amministrativo. Nel periodo di programmazione 2023-2027 è stata persa l’occasione di ridurre il numero di interventi del primo e del secondo pilastro e concentrare così le risorse disponibili su operazioni con il più elevato potenziale di affrontare i nodi critici del settore. In aggiunta, ci sono alcuni interventi programmati in modo insoddisfacente e complicato. Si pensi, a puro titolo di esempio, all’eco-schema sul benessere animale che andrà a regime con due anni di ritardo e all’eco-schema 4 sull’impegno della rotazione che genera evidenti difficoltà di comprensione, nonostante i ripetuti chiarimenti e interpretazioni da parte del Ministero.


Gli strumenti per l’agricoltura su base territoriale in Italia

Oltre ad una valutazione complessiva dell’approccio seguito in Italia per la programmazione strategica della PAC 2023-2027, si è proceduto ad una ricognizione degli strumenti attivati per favorire il modello di agricoltura basato sulle relazioni tra agenti economici e istituzionali, con particolare riferimento a quelli per la gestione dei processi produttivi su base territoriale.

Senza dubbio sono presenti interventi finalizzati a sostenere, incoraggiare e accompagnare tali approcci organizzativi, ma nel complesso pare che tale fabbisogno non sia ritenuto prioritario.

Il programma pluriennale nazionale della PAC conferma il sostegno ai gruppi operativi (PEI AGRI), con una dotazione finanziaria di 132 milioni di euro nel corso del quinquennio. Inoltre presenta qualche novità come l’intervento della cooperazione per lo sviluppo rurale, locale e smart villages, attivato da 10 regioni, le quali hanno dedicato uno stanziamento di 69 milioni di euro ed il sostegno ad azioni pilota e di collaudo dell’innovazione con 45 milioni di euro.

Ci sono però anche delle carenze e delle occasioni mancate, sulle quali si intende di seguito soffermarsi. Uno degli interventi previsti nella politica di sviluppo rurale ha lo scopo di promuovere la costituzione di nuove imprese sul territorio che siano attive su comparti diversi da quello agricolo. Questa operazione è importante per favorire la costituzione di una rete di operatori a servizio del sistema agroalimentare, comprendente, ad esempio, le imprese agro-meccaniche, quelle attive nella commercializzazione e trasformazione delle materie prime agricole, le società specializzate nel fornire servizi materiali e immateriali alle aziende agricole.

Un territorio rurale dove esiste una rete vitale di agenti economici tra di loro integrati assicura alle imprese agricole la messa a disposizione di attività essenziali per organizzare il processo produttivo e per garantire il funzionamento efficace delle catene del valore, come è stato di recente evidenziato dalla comunicazione della Commissione europea sulla visione a lungo termine nelle aree rurali dell’UE.

Questa raccomandazione però è stata fatta propria solo da qualche regione italiana che ha deciso conseguentemente di attivare l’intervento per sostenere le start up non agricole, prevedendo peraltro stanziamenti poco consistenti. Il sostegno per favorire l’installazione di nuove imprese sui territori rurali è stato attivato soltanto da tre regioni, con una dotazione finanziaria di appena 6,4 milioni di euro per l’intero periodo di programmazione.

Si è preferito puntare sul collaudato intervento per l’insediamento dei giovani agricoltori, sottovalutando la necessità di incentivare gli altri attori economici, perdendo così l’occasione di affiancare alle imprese agricole attività essenziali per conferire vitalità e prospettive di sviluppo ai territori rurali.

Un secondo esempio di intervento sottoutilizzato è l’agricoltura di precisione che esige un dialogo serrato tra i diversi attori che compongono il sistema agroalimentare e richiede la necessità di raccogliere, elaborare e mettere a disposizione degli operatori un sistema di dati e di osservazioni del territorio.

La programmazione 2023-2027 non sembra aver riconosciuto a questa innovativa pratica agricola il peso che meriterebbe. Meno della metà delle Regioni e delle Province autonome italiane ha deciso di attivare nei propri complementi di programmazione dello sviluppo rurale l’intervento a favore dell’agricoltura di precisione, con uno stanziamento di 33,9 milioni di euro per l’intero quinquennio di programmazione.

Altri Paesi membri dell’Unione europea hanno incentivato in maniera più consistente la diffusione delle tecniche dell’agricoltura di precisione. Interessante è il caso della Francia che ha previsto un sostegno specifico a tale tecnica di produzione nell’ambito del regime ecologico.

Un terzo esempio di carenze rilevate nella programmazione 2023-2027 è la poca attenzione mostrata verso il fenomeno della esternalizzazione. Tale pratica, come emerso da alcune relazioni presentate nel corso del convegno di oggi, risulta necessaria e utile per l’ammodernamento dei sistemi produttivi agricoli ed in molti casi rappresenta un fattore critico di successo.

Ciò nonostante, in Italia, si continua ad incentivare l’acquisto delle macchine e delle attrezzature per l’agricoltura sulla base delle loro prestazioni potenziali, ignorando l’effettivo utilizzo in efficienza di tali strumenti da parte del beneficiario.

Piuttosto che concedere aiuti a fondo perduto per l’acquisto di macchinari destinati alla sottoutilizzazione, si potrebbe valutare ad esempio la possibilità di introdurre dei voucher da assegnare alle imprese agricole che si affidano a ditte specializzate, in grado di assicurare prestazioni di elevata qualità ed a costi competitivi ed inferiori rispetto alla spesa da sostenere in caso di esecuzione con risorse interne.

Da ultimo si menziona il caso degli interventi settoriali della PAC, la cui impostazione favorisce intrinsecamente l’aggregazione e la collaborazione tra imprese. L’Italia utilizza questo strumento in maniera consistente, in importanti comparti produttivi (ortofrutta, vino, olio d’oliva). Ci sarebbero tuttavia ulteriori spazi di manovra per estendere il sostegno settoriale a produzioni agricole fino ad oggi escluse, come potrebbero essere ad esempio i seminativi ed alcuni segmenti zootecnici.

In base alle regole europee, c’è ancora spazio in Italia per destinare circa 100 milioni di euro all’anno per nuovi interventi settoriali, alla condizione però di ridurre gli stanziamenti oggi disponibili per finanziare il regime dei pagamenti diretti. Una valutazione sulla opportunità di procedere in tale direzione potrebbe risultare proficua per rilanciare comparti che negli ultimi tempi hanno perso una parte consistente del potenziale produttivo, pur essendo fondamentali per il sistema agro-alimentare nazionale (è il caso, tra gli altri, del mais).


Considerazioni e riflessioni finali

L’agricoltura e la catena del valore alimentare evolvono in forme nuove e variamente articolate. L’azienda agricola tende ad organizzarsi secondo modelli basati sulla esternalizzazione, sull’interazione con altri agenti economici, con le istituzioni e con gli organismi territoriali, sulla contrattualizzazione con fornitori e clienti, sulla partecipazione ad aggregazioni orizzontali (cooperative e organizzazioni di produttori) e verticali (organismi interprofessionali, progetti di filiera).

Tra le nuove forme di organizzazione e strutturazione dell’attività delle aziende agricole una parte di rilievo è coperta dalle forme di interazione su base territoriale, incoraggiate anche nell’ambito della PAC.

L’analisi seguita ha indagato sugli strumenti di sostegno contenuti nell’ambito dei regolamenti europei e sulle scelte formulate a livello nazionale, con il Piano strategico 2023-2027.

Il legislatore europeo manifesta una certa sensibilità nel considerare e assecondare il funzionamento dei modelli organizzativi complessi nell’ambito del sistema agroalimentare, con strumenti di sostegno e interventi regolatori diversificati e tali da considerare un’ampia gamma di situazioni.

Le scelte nazionali per l’applicazione della PAC 2023-2027 contemplano interventi vecchi e nuovi che incoraggiano la collaborazione e l’interazione tra agenti economici e istituzionali, ma evidenziano anche delle carenze, qualche disattenzione e una certa resistenza ad utilizzare strumenti disponibili che andrebbero solo declinati in base alle necessità nazionali.

Una meditata riflessione su come intervenire efficacemente per accompagnare la diffusione di nuovi modelli organizzativi in agricoltura e nella catena del valore alimentare è opportuna e può portare a scelte politiche tali da assicurare ricadute positive sul settore, garantendo altresì un razionale utilizzo delle risorse pubbliche.




                           ERMANNO COMEGNA
E’ consulente e libero professionista, attivo nel campo agro-alimentare ed è giornalista pubblicista. E’ stato assistente universitario e professore a contratto presso l’Università Cattolica di Piacenza e Cremona, l’Università del Molise, l’Università di Udine. Ha lavorato per l’Associazione Italiana Allevatori (AIA), la Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana (Confagricoltura), la Provincia di Mantova e la Libera Associazione Agricoltori Cremonesi. E’ presidente dell’Associazione Nazionale dei Dirigenti di Aziende Agricole (ANDAA) e vice presidente della Federazione Nazionale dei Dirigenti e Alte Professionalità dell’Agricoltura e dell’Ambiente (FENDA).

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