giovedì 19 maggio 2016

Quando il grano di Strampelli spaventò l’Australia


di Sergio Salvi


La “Wheat Belt” australiana oggi (qui)
Nel corso delle mie ricerche su Nazareno Strampelli ho avuto modo di recuperare numerose testimonianze della fama che accompagnava il nome del genetista nella stampa straniera, sia in quella specializzata sia in quella generica.
Ad esempio, il nome di Strampelli è di frequente riscontro in diverse testate di agricoltura in lingua spagnola, come “El Progreso agrícola y pecuario”, in cui lo scienziato è molto citato soprattutto in relazione alle sue varietà di frumento e alla possibilità di introdurne la coltivazione in Spagna.


I riferimenti a Strampelli quale protagonista della rivoluzione agricola italiana sono pure molto numerosi nei quotidiani australiani (consultabili sul sito della National Library of Australia,
qui ), sui quali - tra il 1919 e il 1936 - uscirono diversi articoli che rilanciavano le notizie relative ad alcuni fondamentali traguardi raggiunti dalla granicoltura italiana grazie soprattutto alle innovazioni introdotte da Strampelli attraverso le sue creazioni cerealicole.
Nel 1919 la notizia principale presente sui quotidiani australiani riguardava il Premio Santoro dell’Accademia Nazionale dei Lincei vinto da Strampelli per aver costituito il frumento “Carlotta”, capace di produrre 37 bushels per acro (corrispondenti a circa 25 quintali per ettaro). Nel 1934, invece, circolava la notizia che il record mondiale per la resa del frumento era stato battuto dalla varietà “Damiano Chiesa”, creata dal nostro “Italy’s wheat wizard” (Il “mago del grano” italiano), che nel Cremonese aveva raggiunto i 110 bushels per acro (oltre 73 quintali per ettaro!).
Fu però nel 1935 che in numerosi giornali stampati nella terra dei canguri rimbalzò un articolo dai toni alquanto preoccupati, scritto dal deputato J. N. Lawson, membro della House of Representatives australiana. Questi, di ritorno da un viaggio in Italia nel corso del quale aveva conosciuto Strampelli e visitato la Stazione Sperimentale di Granicoltura di Rieti e l’Istituto Nazionale di Genetica per la Cerealicoltura di Roma, era rimasto sbigottito da quanto aveva visto con i propri occhi in merito alle conseguenze pratiche della politica agraria nazionale, soprattutto nella produzione di frumento. Strampelli - descritto come “a picturesque gentleman” e “the William Farrer of Italy” (per l’Australia, Farrer è stato l’equivalente di Strampelli per l’Italia) - aveva illustrato a Lawson i due punti cardinali sui quali si era basata la politica cerealicola dell’epoca: l’aumento della superficie seminata a frumento e il miglioramento della produttività delle terre unitamente all’incremento delle rese del cereale, soprattutto mediante l’impiego delle nuove varietà precoci da lui costituite.
In relazione al frumento italiano, Lawson riferì alcuni dati da lui ritenuti particolarmente eloquenti: l’incremento della resa media - rispetto agli otto anni precedenti - da 13.5 a 21 bushels per acro (ossia da 10 a 14 quintali per ettaro circa); la resa media nel Nord Italia prossima a 33 bushels per acro (circa 22 quintali per ettaro); il già menzionato nuovo record del mondo di 110 bushels per acro. Dati certamente imbarazzanti per gli australiani, ancora fermi - nonostante il contributo dato da Farrer - ad appena 13 bushels per acro. Un altro dato che aveva lasciato allibito il visitatore australiano era stato quello della resa stimata a 52 bushels per acro (circa 35 quintali per ettaro) per un nuovo frumento strampelliano coltivato su di un terreno che da quattro mesi non riceveva acqua piovana!
Secondo Lawson, l’esempio italiano ben rappresentava la dilagante tendenza europea dell’epoca (manifestata anche da Francia e Germania) al perseguimento dell’autosufficienza alimentare, che avrebbe certamente comportato la contrazione delle esportazioni australiane verso l’Europa in relazione non solo al frumento, ma anche ad altri generi alimentari come la carne, il burro e la frutta. Alla stessa maniera, anche le esportazioni statunitensi, canadesi e argentine avrebbero subito una simile contrazione.
Usando toni alquanto allarmistici, Lawson sosteneva che l’economia australiana sarebbe stata costretta a rivedere completamente il proprio ruolo e i propri obiettivi, orientandosi verso il mercato dell’Impero Britannico, perché ormai “Europe is becoming one vast farm”. Per Lawson, tutto questo sarebbe durato finché l’Impero Britannico avrebbe permesso all’Europa di competere nei confronti dei beni prodotti dai suoi Dominions (che includevano la stessa Australia).
“Who will eat our wheat?” - Chi mangerà il nostro grano? - titolava sconsolato, in quei giorni, uno dei quotidiani recanti il resoconto del deputato Lawson. Appena dieci anni dopo, con le velleità autarchiche agroalimentari rimaste stritolate sotto le macerie della Seconda guerra mondiale, l’allarme lanciato dalla stampa australiana sarebbe definitivamente rientrato e il nostro Paese, per tornare a vivere, avrebbe ripreso ad importare ingenti quantitativi di frumento dall’estero. Anche dall’Australia.
 
Sergio Salvi
Laureato in Scienze Biologiche presso l’Università di Camerino, nel corso della sua attività di ricercatore si è occupato di genetica lavorando presso Enti di ricerca pubblici e privati. Attualmente svolge attività di ricerca e divulgazione storico-scientifica su tematiche riguardanti il settore agroalimentare e la genetica agraria in particolare (biografia storico-scientifica di Nazareno Strampelli, origine ed evoluzione delle varietà tradizionali di frumento e del concetto di prodotto tipico, recupero di varietà agrarie d’interesse storico).
 
 

1 commento:

  1. Io sono convinto che se Lawson ritornasse in Italia oggi, al suo rientro scriverebbe: "rallegriamoci amici perchè gli italiani sono dei fessi in quanto importano il 60% del frumento tenero ed il 40% del frumento duro".

    Sono andato a vedere questa manifestazione http://www.peritiagrarirovigo.it/sites/default/files/pagina_volantino_evento_p.pdf

    Vi erano parcelle di varietà di frumento tenero presentate da tre sementieri in tutto: SIS, Syngenta (con la Produttori Sementi di Bologna passato nelle mani della multinazionale che a sua volta è di proprietà cinese)e Caussade semences (francese). Quindi una sola con una visione esclusivamente italiana, ma dotata di mezzi che per i costi raggiunti dal miglioramento vegetale, sono sempre più insufficienti e soprattutto i diminuzione per quanto riguarda i diritti di licenza provenienti dalla varietà costituite ed usate dagli agricoltori. Per il resto le altre due ditte presenti non hanno sicuramente come strategia quella di creare appositamente delle varietà adatte all'ambiente italiano. Solo il caso potrà fare in modo che dalla loro selezione esca qualcosa di seminabile in Italia.

    Inoltre vi posso dire che non ho proprio visto nulla di trascenentale tra le varietà proposte, specialmente a livello di resistenze alle malattie.

    Domenica 9 maggio mi è venuto a trovare il Sig. François Desprez proprietario dell'omonima ditta francese di creazione varietale(Florimond DESPREZ)divenuta la tredicesima ditta, in ordine di fatturato, al mondo; ditta per cui ho lavorato per 40 anni. Ebbene mi ha detto che ha preferito cedere la sua succursale che ha cominciato ad operare in Italia con le varietà che io avevo individuato adattarsi più o meno alla pianura padana. Infatti per lui il mercato italiano permette di incassare solo una minima parte delle royalties del seme usato dagli agricoltori italiani eappartenente alle sue varietà , è un mercato pieno di contenziosi ed il livello di royalties è troppo basso.

    Credete voi che con una simile situazione si possa pensare di migliorare la nostra bilancia alimentare. Il Ministro Martina dice che non gli interessa la produzione delle derrate, ma solo le nicchie del Made in Italy, ma poi non ci si lamenti se il debito pubblico aumenta.

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