sabato 28 giugno 2025

BREVE EXCURSUS SULL’ORIGINE DELL’ARATRO NELL’EPOCA DELL’AGRICOLTURA CONSERVATIVA

 di OSVALDO FAILLA


Foto MULSA - Articolo uscito in origine su: www.spigolatureagronomiche.it


Premessa 

Per millenni, l’aratro è stato lo strumento per eccellenza dell’agricoltura. Oggi, tuttavia, sembra destinato a un inevitabile declino, soppiantato da tecniche di lavorazione del suolo considerate più sostenibili, sia dal punto di vista ambientale che economico. I sistemi colturali a minima o nulla lavorazione stanno guadagnando consenso, dando vita a nuove correnti agronomiche, come l’Agricoltura conservativa e, più recentemente, l’Agricoltura rigenerativa, entrambe accomunate dall’abbandono dell’aratura tradizionale.

Secondo i principi dell’Agricoltura conservativa, “la superficie del suolo lavorata meccanicamente deve essere rappresentata da strisce larghe meno di 15 centimetri e comunque inferiori al 25% dell'appezzamento coltivato” (FAO, 2025). L’Agricoltura rigenerativa, invece, si spinge oltre, mirando a ridurre al minimo le lavorazioni del suolo o addirittura ad eliminarle del tutto. In questo contesto, l’aratro viene escluso dai cantieri colturali a favore di macchinari alternativi, come i cosiddetti “coltivatori”, dotati di organi di lavoro superficiali – ancore, dischi, rulli, molle – progettati per sminuzzare e interrare residui colturali e flora spontanea, preparando il letto di semina in un unico passaggio. 

Le finalità di queste pratiche sono sia ambientali che economiche. I sostenitori della minima e della non lavorazione del suolo sostengono che tali approcci possano contribuire a migliorare la “salute” del terreno, preservandone e arricchendone il contenuto di sostanza organica, favorendo lo sviluppo radicale delle colture grazie a una migliore struttura fisica e a condizioni microbiologiche più favorevoli, oltre a proteggerlo dall'erosione superficiale. Dal punto di vista energetico, questi sistemi risultano meno dispendiosi e, di conseguenza, riducono le emissioni di gas serra (Schreefel et al., 2020; Khangura et al., 2023). 

Non intendo addentrarmi nel dibattito tecnico e scientifico sulla validità di queste teorie, né sulle implicazioni di una transizione globale verso un’agricoltura meno intensiva, policolturale e fortemente integrata con l’allevamento. Non è mia intenzione neppure soffermarmi sulla reale sostenibilità economica, ambientale e sociale di tali modelli. Tuttavia, prima di considerare definitivamente l’aratro un reperto del passato, ritengo sia importante riflettere sulla sua origine e sull’impatto che ha avuto nella storia dell’agricoltura e delle civiltà. 

 

Dove nacque l’aratro? 

In un breve saggio etnoarcheologico basato sullo studio di 68 società agricole contadine e tribali di Europa, Asia e Africa, tratte dallo Standard Cross-Cultural Sample database, l’economista americano Frederic Pryor (1985) dimostrò che l'aratro fosse presente laddove vi erano le seguenti condizioni: un’alimentazione basata su colture particolarmente adatte all’uso dell’aratro, come grano, orzo, segale e riso; la presenza di bovini atti al traino; condizioni del terreno sufficientemente idonee all'aratura; e un’intensificazione colturale che riducesse o escludesse il riposo temporaneo del terreno (maggese), correlata a sua volta ad una densità di popolazione di almeno 10 individui per chilometro quadrato. 

Questo studio appare coerente e rafforza l’ipotesi che l’aratro sia stato messo a punto nell’ambito delle popolazioni di agricoltori delle aree settentrionali del Levante e della Mesopotamia, territori degli attuali Libano settentrionale, Siria, Turchia sud-orientale, Iraq settentrionale, Iran nord-occidentale. Come è noto, in questa ampia regione, a partire dal X millennio a.C., iniziò a consolidarsi progressivamente un’economia basata sulla coltivazione dei cereali e sull'allevamento di ovicaprini e bovini, che, nel VII millennio a.C., sfociò nella piena neolitizzazione del Vicino Oriente, includendo anche l’Altopiano Anatolico, i Monti Zagros centrali e la Bassa Mesopotamia. Fenomeno che successivamente, nella Mesopotamia dell’Età del Bronzo (IV millennio a.C.), diede luogo alla cosiddetta “rivoluzione urbana”. Come ora vedremo, in questultima lunga ed epocale transizione, l’aratro fu un protagonista indiscusso. 


La zappa prima dell’aratro 

La transizione dall'economia basata sulla semplice raccolta dei cereali selvatici a quella fondata sulla coltivazione delle loro forme domestiche si avvalse di due strumenti essenziali: il fuoco e la zappa (Forni, 1981; 1987 e 2011). Il fuoco favoriva la crescita dei cereali selvatici (frumenti, orzo, avena e segale) liberando le praterie dalla vegetazione erbacea perenne e ampliando le radure nei boschi. La zappa completava poi l’azione del fuoco, ripulendo il terreno dai residui di vegetazione bruciata, eliminando le piante indesiderate e favorendo così lo sviluppo dei cereali. Inoltre, quando la crescita spontanea dei cereali risultava insufficiente, la zappa permetteva di interrare nuova semente prelevata dai granai. I primi agricoltori praticavano dunque l’ignicoltura (agricoltura a debbio o "slash-and-burn agriculture"), un sistema che esauriva rapidamente la fertilità del suolo, consentendo solo pochi cicli di coltivazione sulla stessa superficie, prima che questa venisse abbandonata per essere eventualmente riutilizzata anni dopo. Di conseguenza, le prime comunità neolitiche erano organizzate in piccoli nuclei familiari seminomadi, che sfruttavano ampie superfici di terreno. Con l’espansione del nucleo familiare, una parte di esso era costretta a separarsi per colonizzare nuove aree (Frangipane, 2007). Qualora questa possibilità fosse limitata o impraticabile, si rendeva necessaria un’intensificazione colturale, riducendo i tempi di riposo della terra coltivabile. In queste condizioni, tuttavia, la zappa, adatta solo a una lavorazione superficiale del suolo, divenne progressivamente insufficiente a garantire una produttività adeguata. Si rese quindi necessario sviluppare metodi di lavorazione del suolo più efficaci. 


I Bovini: forza di traino per l’aratro e non solo 

I bovini furono verosimilmente impiegati per il trasporto sin dall’inizio della loro domesticazione. Modificazioni nelle ossa degli arti, riconducibili agli sforzi legati al traino o al trasporto di pesi come animali da soma, sono attestate fin dal IX millennio a.C. nella Mesopotamia settentrionale. Tali evidenze divennero via via più frequenti nei millenni successivi, in tutto l’areale di diffusione dei bovini (Price et al., 2021). Le prime forme di traino potrebbero essere state legate al trasporto di tronchi d’albero dalle foreste. Le più antiche testimonianze indirette dell’uso dei bovini per il traino provengono dall’Anatolia, dove sono stati rinvenuti inserti in selce di trebbiatoi databili alla prima metà del VI millennio a.C. (Rosenstock, 2022). Per le prime prove archeologiche di aratura, invece, bisogna attendere l’inizio del V millennio: si tratta di tracce di solchi rinvenute in Mesopotamia meridionale, nei pressi della città di Susa, in Khuzistan, nell’attuale Iran. Allo stesso periodo risalgono anche i più antichi solchi fossili rinvenuti in Europa, suggerendo che l’aratro possa essere stato introdotto nel continente contestualmente all’inizio del processo di neolitizzazione, dunque nel corso del VI millennio a.C. Se questa ipotesi fosse corretta, si dovrebbe supporre che nella Mezzaluna Fertile l’aratro fosse già in uso almeno dalla fine del VII millennio a.C. 


Laratro: la neolitizzazione e la proto-urbanizzazione 

Dobbiamo quindi ritenere che già nel VI millennio a.C. il “pacchetto tecnologiconeolitico disponesse dell’aratro e che grazie ad esso la produttività del lavoro umano e della terra fossero decisamente aumentate. L’aratro infatti, rispetto alla zappa, incide il suolo più profondamente, consente un migliore interramento delle infestanti e dei residui colturali, crea condizioni di sofficità del suolo, che favoriscono a loro volta gli scambi gassosi e quindi la mineralizzazione della sostanza organica e il conseguente rilascio delle forme minerali di azoto. Tutto ciò consentiva una maggiore produttività dei cereali, affrancando anche le comunità di agricoltori da un impegnativo lavoro manuale di zappatura dei campi, prima per preparare il letto di semina e successivamente per eliminare la flora avventizia. Certamente l’introduzione dell’aratro non eliminò completamente la necessità degli interventi di zappatura ma senz’altro li ridusse in modo significativo. Ciò consentì al contempo una maggiore produzione di cereali ed un aumento del tempo disponibile per le attività non strettamente coltivatorie, favorendo una prima suddivisione del lavoro nell’ambito delle comunità umane a favore delle attività artigianali e di accudimento della prole. 

L’aumento della produttività del lavoro e della terra determinò un aumento demografico che innescò al contempo il processo di neolitizzazione dell’Europa e quello della progressiva sedentarizzazione ed urbanizzazione della Mesopotamia settentrionale e meridionale (Mc Mahon, 2020). Nella Mesopotamia meridionale l’aratro poté manifestare tutta la sua potenza. 


La zappa e l’aratro bonificano le pianure della Bassa Mesopotamia 

La città di Uruk nella Bassa Mesopotamia rappresenta verosimilmente il primo esempio assoluto di urbanizzazione. A differenza degli insediamenti neolitici proto-urbani, Uruk era organizzata sulla base di un articolato piano urbanistico e la sua popolazione sottostava ad un’organizzazione politica e amministrativa. L’insediamento sorse nel IV millennio a.C. come risultato dellintensificazione dell’aratrocoltura, frutto di una progressiva opera di bonifica e irrigazione della piana paludosa dell’Eufrate. La sua ricchezza proveniva da una cerealicoltura intensiva, praticata in lunghi campi rettangolari irrigati per scorrimento, per mezzo di una rete di canali che prelevavano l’acqua dall’Eufrate e la distribuivano nel territorio agricolo. Inizialmente si trattava di reti irrigue locali di modeste dimensioni ed estensione, che progressivamente si ampliarono ed integrarono per assumere tra il III e il II millennio a.C. una dimensione regionale, parallelamente al procedere del processo di urbanizzazione dell’intera Bassa Mesopotamia (Liverani, 2018). 

Quale fu il ruolo della zappa e dell’aratro in questo processo epocale ce lo spiegano gli attrezzi stessi nella celebre Disputa tra la zappa e l’aratro. Si tratta di un poema sumerico risalente alla metà del III millennio a.C. Le “Dispute” rappresentano un genere letterario caratteristico della cultura Sumeri, che segue un canone specifico. Due soggetti si confrontano, elogiando sé stessi e denigrando il contendente, al cospetto di una divinità che dovrà sentenziare circa la superiorità dell’uno o dell’altro. 

In questa disputa l’aratro si presenta così: “Io sono l'Aratro, forgiato con grande forza, assemblato da mani possenti, il potente scriba del padre Enlil (dio mesopotamico del vento, dell'aria, del tempo meteorologico e delle tempeste). Sono il fedele agricoltore dell'umanità. Per celebrare la mia festa nei campi nel mese del raccolto, il re sacrifica bovini e offre pecore in sacrificio, e versa birra in una coppa. Il re offre la libagione. I tamburi ub e ala risuonano. Il re afferra i miei manici e attacca i miei buoi al giogo. Tutte le grandi personalità di alto rango camminano al mio fianco. Tutte le terre mi osservano con grande ammirazione. Il popolo mi guarda con gioia. Quindi l’Aratro ricorda come “Il solco arato da me adorna la pianura. Davanti agli steli eretti da me nei campi, le abbondanti mandrie di Cakkan (dio degli armenti e degli animali selvatici) si inginocchiano. […] Dopo il raccolto, il burro del pastore migliora. Con i miei covoni sparsi nei prati, le pecore di Dumuzid (il dio pastore) prosperano. […] Le mie aie, che punteggiano la pianura, sono collinette dorate che irradiano bellezza. Accumulo covoni e mucchi per Enlil. Raccolgo farro e grano per lui. Riempio i magazzini dell’umanità con l’orzo. Gli orfani, le vedove e i bisognosi prendono i loro cesti di giunco e raccolgono le mie spighe sparse. La gente viene a trascinare via la mia paglia, ammucchiata nei campi. Le abbondanti mandrie di Cakkan prosperano. 

Nella sua presentazione e nelle argomentazioni a suo favore, l’Aratro ci offre uno sguardo su diversi aspetti dell’agricoltura sumerica. Innanzitutto, sottolinea come questa attività fosse direttamente al servizio della classe dominante e come il sovrano, attraverso la sua organizzazione amministrativa, fosse il principale promotore dell'aratrocoltura. Quest’ultima peraltro era strettamente connessa alla rete irrigua, la cui realizzazione e manutenzione non potevano che essere un’impresa governativa. L’Aratro, inoltre, oltre a evidenziare le abbondanti produzioni di granaglie, pone l’accento sull’utilizzo di paglia e stoppie per l’alimentazione del bestiame e per la produzione non solo di carne, ma anche di latte. Significativo è anche il riferimento alla spigolatura praticata dai poveri dopo il raccolto, un aspetto che mette in evidenza le forti disuguaglianze sociali, conseguenza del processo congiunto di stratificazione sociale e urbanizzazione. Aspetti che, come vedremo in seguito, sono anch’essi strettamente legati all’affermazione dell’aratrocoltura. 

La Zappa, che alla fine vincerà la disputa, ci fornisce altre informazioni preziose per comprendere la realizzazione e la gestione della rete dei canali irrigui, nonché la messa a coltura dei terreni. Ecco come si presenta e come attacca l’Aratro:Costruisco argini, scavo fossati. […] Quando si scava un canale o un fossato, quando l’acqua si precipita fuori per il rigonfiarsi di un possente fiume, creando lagune tutt’intorno, io, la Zappa, la contengo. Né il vento del sud né quello del nord possono disperderla. […] Dopo che l’acqua è stata deviata dai prati e si è iniziato a lavorare le zone umide, Aratro, io scendo nei campi prima di te. Inizio ad aprire il campo per te. Pulisco gli angoli dell’argine per te. Rimuovo le erbacce nel campo per te. Ammasso i ceppi e le radici nel campo per te. Ma quando tu lavori il campo, c’è una vera processione: i tuoi buoi sono sei, la tua gente è quattro - tu stesso sei l’undicesimo - nei lavori preparatori del campo. E vuoi paragonarti a me? 

Da questi versi emerge un altro quadro veramente informativo, non solo sull’organizzazione dei lavori di costruzione e manutenzione dei canali e sulla messa a coltura delle aree paludose, ma anche sull’organizzazione del lavoro di aratura, che prevedeva una vera e propria squadra composta da quattro operatori il cui compito era quello di guidare l’aratro, condurre un tiro di sei buoi, nonché seminare, perché, come la stessa Zappa dice nella Disputa, l’aratro era dotato di un imbuto atto alla deposizione della semente nel solco appena aperto. Inoltre, è interessante il fatto che, attraverso una sineddoche, tutto il complesso di uomini, buoi, gioghi e aratro venisse denominato Aratro, a dimostrazione della centralità di questo strumento per l’agricoltura sumerica (Liverani, 2018). 


Iconografia, mitologia e simbologia sumerica dell’aratro  

Le prime rappresentazioni grafiche dell’aratro sono quelle dei pittogrammi del sumerico antico, risalenti all’inizio del IV millennio a.C. . Si tratta di rappresentazioni stilizzate dalle quali si può comunque desumere la struttura dell’attrezzo. Dal III millennio disponiamo di rappresentazioni più particolareggiate dell’aratro basso mesopotamico grazie ad alcuni sigilli cilindrici che lo rappresentano . Tutti questi aratri, secondo la classificazione di František Šach (1967) rientrano nella tipologia degli aratri a stiva o di tipo mesopotamico. Si tratta di aratri senza ceppo, costituti da stive (le stanghe in legno impugnate dell’operatore per la guida dell’aratro) la cui estremità inferiore fungeva da vomere. Le stive si raccordavano con la bure e quest’ultima con l'aiuto di legature al timone. Nelle raffigurazioni più recenti, la rottura del terreno veniva effettuata da un vomere allargato, o da ali in legno, e le stive erano ancorate nella bure. Tipicamente, l’aratro basso mesopotamico era un aratro seminatore, poiché comprendeva anche una sorta di imbuto lungo e stretto che consentiva di depositare la semente nel solco appena aperto. 

Mentre nei pittogrammi, l’aratro rappresentava i verbi “arare” ecoltivare, nell’iconografia dei sigilli a cilindro invece è inserito in scene di cerimonie celebrative della fertilità della terra. È rappresentato impugnato come scettro da una divinità seduta su di un trono, come offerta votiva, sempre nelle mani di figure mitologiche, e in scene di aratura simbolico-celebrative con traini equini (asini), bovini e felini (leone). Si tratta di rappresentazioni che celebrano l’aratro quale fonte della prosperità delle civiltà basso mesopotamiche. L’aratro nella mitologia sumerica è sempre associato alle massime divinità: “fu Enlil, il dio dell'aria, che "fece sorgere il bel giorno"; che si proponeva di "far germogliare il seme dalla terra" e di stabilire l'hegal, cioè la copiosità, l'abbondanza e la prosperità nel paese.  Fu lo stesso Enlil a modellare la zappa e probabilmente l'aratro come prototipi degli attrezzi agricoli destinati all'uso da parte dell'uomo; che nominò Enten, il dio contadino, come suo costante e affidabile lavoratore sul campo (brano tradotto da Kramer, 1972, pag. 42). E ancora: “L'aratro e il giogo da lui diretti, / Il grande principe Enki , / Ha aperto i sacri solchi, / Ha fatto crescere il grano nel campo perenne / Il signore, il gioiello e l'ornamento della pianura, / Equipaggiato con la sua forza, il contadino di Enlil, / a Enkimdu, il dio dei canali e dei fossati, / Enki ne affidò la loro cura(brano tradotto da Kramer, 1981, pag. 97). 


L’aratro e il traino bovino alla base della prosperità e della disuguaglianza 

L’aratro fu dunque lo strumento centrale, nelle comunità di agricoltori la cui alimentazione si basava sulle colture cerealicole a produttività relativamente bassa. Il suo impiego consentì quel salto nella resa della terra e del lavoro, decisivo per linnesco del processo di urbanizzazione, a sua volta legato all’enorme sviluppo culturale della civiltà basso mesopotamica. Al contrario i processi di urbanizzazione e sviluppo culturale in Meso e Sudamerica, non poterono beneficiare della potenza dell’aratro, per la mancanza di animali domestici atti al traino. Nel continente americano però, l’elevata produttività di mais e patata, di molto superiore a quella dei cereali del Vecchio Mondo, consentirono anche all’agricoltura basata solo sulla zappa e la vanga di raggiungere una prosperità alimentare analoga a quella basso mesopotamica. 

L’aumento di produttività dell’aratrocoltura innescò nel VI-V millennio a.C., nella Bassa Mesopotamia, un progressivo passaggio da società egualitarie a società gerarchizzate e stratificate in classi sociali con ruoli, poteri, ricchezza e tenori di vita molto differenti. Al contempo anche il rapporto di genere verosimilmente si modificò. Mentre nelle comunità di cacciatori raccoglitori e dei proto-agricoltori, la reale differenza di ruoli tra uomini e donne è argomento di discussione (Anderson et al., 2023; Matteu, 2002), così non è per le società basate sull’aratrocoltura. 

Nella Bassa Mesopotamia, laratrocoltura associata alla prima rudimentale rete di canali irrigui, portò alla sedentarizzazione delle comunità di agricoltori, che si specializzarono nella cerealicoltura intensiva. Sul piano dei rapporti comunitari si innescarono però processi di competizione tra i gruppi familiari, rispetto ai comportamenti di cooperazione, che avevano caratterizzato fino ad allora le comunità seminomadi di agricoltori allevatori del nord della Mesopotamia, nonc di quelle dei territori collinari a piedi dei Monti Zagros, dai quali specificatamente provenivano i nuovi abitanti della piana alluvionale dell’Eufrate. Ebbe inizio così un percorso sociale ed economico che portò ad un progressivo rafforzamento di alcuni gruppi familiari, che via via assunsero posizioni sempre più dominanti, in relazione al controllo della terra e degli spazi urbani. Tale processo sfociò nel IV millennio nella prima vera e propria urbanizzazione (Periodo di Uruk) e si completò nel III millennio a.C. (Periodo Protodinastico), estendersi dalla Mesopotamia meridionale anche a quella settentrionale (Frangipane, 2007; Liverani, 2018). 

Prima ancora di avere innescato il processo di disuguaglianza sociale, l’introduzione dell’aratro si ritiene abbia ridotto il ruolo della donna sia in agricoltura che più in generale nella società, relegando il lavoro e il ruolo femminile all’ambito domestico. La coltivazione con la zappa richiedeva molto lavoro e tutti i membri delle comunità di proto-agricoltori dovevano dare il loro contributo. L’aratro, oltre a ridurre la necessità di tanta forza lavoro nei campi, richiedendo uno sforzo fisico di molto maggiore rispetto a quello della zappa, era più adatto al lavoro maschile. Il contributo del lavoro femminile, soprattutto nell’operazione coltivatoria fondamentale, divenne quindi meno importante. 

A proposito dell’origine delle disuguaglianze di genere nelle società dedite all’aratrocoltura, sulla base di unampia ed accurata analisi etnografica a livello globale, Alesina et al. (2013) così concludevano: Le nostre scoperte forniscono evidenza del fatto che le attuali differenze nelle attitudini di genere e nei comportamenti femminili siano effettivamente influenzate dalle pratiche agricole tradizionali. In particolare, abbiamo dimostrato che individui, gruppi etnici e paesi i cui antenati praticavano l’agricoltura con l’aratro mostrano oggi credenze caratterizzate da una maggiore disuguaglianza di genere e una minore partecipazione femminile ad attività non domestiche, come l’occupazione nel mercato del lavoro, la proprietà di imprese e la politica. Al fine di identificare meglio un canale di persistenza culturale, abbiamo analizzato i figli degli immigrati. Abbiamo riscontrato che, anche tra questi individui che si confrontano con gli stessi mercati del lavoro, istituzioni e politiche, un’eredità di agricoltura tradizionale con l’aratro è ancora associata a atteggiamenti di genere più diseguali e a una minore partecipazione femminile alla forza lavoro. 


Riflessione conclusiva 

Abbiamo visto come nel Vecchio Mondo l’introduzione dell’aratro abbia rappresentato un fattore “rivoluzionario” nella storia dell’umanità. Messo a punto nel settentrione della Mesopotamia e del Levante alla fine del VII millennio a.C., l’aratro è stato decisivo nella trasformazione agraria della Bassa Mesopotamia, ove nel IV millennio, per la sinergia tra l’aratrocoltura e l’irrigazione, è aumentata la produttività della terra e del lavoro umano, e si è così innescata la “rivoluzione urbana”. Con il processo di neolitizzazione, o poco dopo, l’aratro si è poi diffuso verso l’Europa, così come si è diffusa la cultura mesopotamica che è alla base dell’intera cultura del Vecchio Continente (Dalley, 2016). In Europa la consapevolezza del valore fondante dell’aratro per la civiltà è testimoniata, fin dall’antichità, dalle arature sacre nelle aree ove venivano edificati i templi, o in quelle sepolcrali (Rowley-Conwy, 1987; De Gattis et al., 2018), nonché da quelle di fondazione delle nuove città (Jellonek, 2018).  

Forse lagricoltura conservativa e quella rigenerativa ora potranno sostenere la popolazione mondiale come ha fatto l’aratrocoltura per millenni, ma certamente non potranno cancellare il ruolo che ha avuto questo strumento nella storia dell’Umanità. 

 

Letteratura citata 

Alesina A., Giuliano P., Nunn N. 2013 On the origins of gender roles: women and the plough. The Quarterly Journal of Economics, 128, 2: 469–530.  

Anderson, A., Chilczuk, S., Nelson, K., Ruther, R., Wall-Scheffler, C. 2023 The Myth of Man the Hunter: Women’s contribution to the hunt across ethnographic contexts. PLoS one, 18(6), e0287101. 

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Osvaldo Failla 

È Professore Ordinario di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree, presso il Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università degli Studi di Milano, e Presidente del Museo di Storia dell'Agricoltura (MULSA).




 


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