Trascrizione di Sergio Salvi
Tra le attività svolte da Nazareno Strampelli a Camerino subito dopo il conseguimento della laurea in Agraria (1891) e prima del suo trasferimento a Rieti (1903) vi fu anche quella di redattore e direttore del Bollettino del Comizio Agrario Camerinese. Su questo periodico Strampelli scrisse oltre 60 articoli, prevalentemente a carattere tecnico-divulgativo, otto dei quali dedicati alla vite e al vino. Insieme ad altre due brevi note, pubblicate sempre in quegli anni su L’Agricoltura Italiana, vi proponiamo, in dieci puntate, uno Strampelli nella veste inedita di cultore della materia vitivinicola, sperando che i contenuti di questi articoli, scritti tra il 1896 e il 1901, siano utili a fornire qualche spunto di riflessione e di confronto rispetto alla realtà vitivinicola odierna.
(Bollettino del Comizio Agrario Camerinese, anno XXXII, 1899, Luglio, n. 7, pp. 53-55).
«Il vino può, e non molto raramente, perdere le proprietà che lo rendono pregevole, salubre e durevole: può insomma acquistare dei difetti o delle vere e proprie malattie.
Premettendo che ogni enologo, piuttosto che trovarsi costretto a dover ricorrere ai rimedi, non sempre efficaci quando specialmente le malattie sono già avanzate, deve cercare sempre di prevenire le possibili alterazioni col correggere i mosti delle uve maturate malamente, col guidare i processi della fermentazione secondo le più razionali norme e col ben trattare e ben conservare i vini già fatti (dei quali argomenti ci riserbiamo parlare a tempo opportuno), pure troviamo essere importante sapere come correggere o curare dei vini alterati e cercheremo, quindi, enumerare qui sotto i rimedi ai difetti ed alle malattie più comuni.
Il girato o subbollimento.
È comune nei vini giovani e deboli: il vino colto da questa particolare putrefazione perde la limpidezza, prende odore e sapore sgradevoli e quando la malattia ha progredito, in esso si trovano più o meno frequenti bollicine di acido carbonico, l’intorbidamento aumenta e diviene caratteristico, perché agitando il vino si vedono in esso delle nuvole od onde di lucentezza sericea che si muovono e si aggiran in vario senso.
Chi possiede un enoterma può risanare il suo vino praticando la pastorizzazione o riscaldamento a 60°; altrimenti, per uccidere i germi del girato, si dovrà ricorrere all’anidride solforosa, che possiamo immettere nel vino aggiungendo in questo 100 cc di alcol solforoso, oppure 35 a 40 gr di solfito di calcio (corpo solido e di facile conservazione) più 40 gr di acido tartarico per ettolitro. Dopo ciò, potendolo, si filtri oppure si chiarifichi od almeno si lasci in riposo perché torni limpido, quindi si travasi in botte ben solforata e vi si aggiunga altro acido tartarico in ragione di gr 130 a 150 per ettolitro.
Quando si ha un vino in cui la malattia è giunta ad uno stadio tanto avanzato che cioè anche annerisce stando all’aria, allora i trattamenti indicati non sono sufficienti a togliere il gusto sgradevole e, per ripristinare il sapore e l’odore proprii a buon vino, occorre fare la rifermentazione.
Spunto od acescenza.
Tra le attività svolte da Nazareno Strampelli a Camerino subito dopo il conseguimento della laurea in Agraria (1891) e prima del suo trasferimento a Rieti (1903) vi fu anche quella di redattore e direttore del Bollettino del Comizio Agrario Camerinese. Su questo periodico Strampelli scrisse oltre 60 articoli, prevalentemente a carattere tecnico-divulgativo, otto dei quali dedicati alla vite e al vino. Insieme ad altre due brevi note, pubblicate sempre in quegli anni su L’Agricoltura Italiana, vi proponiamo, in dieci puntate, uno Strampelli nella veste inedita di cultore della materia vitivinicola, sperando che i contenuti di questi articoli, scritti tra il 1896 e il 1901, siano utili a fornire qualche spunto di riflessione e di confronto rispetto alla realtà vitivinicola odierna.
(Bollettino del Comizio Agrario Camerinese, anno XXXII, 1899, Luglio, n. 7, pp. 53-55).
«Il vino può, e non molto raramente, perdere le proprietà che lo rendono pregevole, salubre e durevole: può insomma acquistare dei difetti o delle vere e proprie malattie.
Premettendo che ogni enologo, piuttosto che trovarsi costretto a dover ricorrere ai rimedi, non sempre efficaci quando specialmente le malattie sono già avanzate, deve cercare sempre di prevenire le possibili alterazioni col correggere i mosti delle uve maturate malamente, col guidare i processi della fermentazione secondo le più razionali norme e col ben trattare e ben conservare i vini già fatti (dei quali argomenti ci riserbiamo parlare a tempo opportuno), pure troviamo essere importante sapere come correggere o curare dei vini alterati e cercheremo, quindi, enumerare qui sotto i rimedi ai difetti ed alle malattie più comuni.
Il girato o subbollimento.
È comune nei vini giovani e deboli: il vino colto da questa particolare putrefazione perde la limpidezza, prende odore e sapore sgradevoli e quando la malattia ha progredito, in esso si trovano più o meno frequenti bollicine di acido carbonico, l’intorbidamento aumenta e diviene caratteristico, perché agitando il vino si vedono in esso delle nuvole od onde di lucentezza sericea che si muovono e si aggiran in vario senso.
Chi possiede un enoterma può risanare il suo vino praticando la pastorizzazione o riscaldamento a 60°; altrimenti, per uccidere i germi del girato, si dovrà ricorrere all’anidride solforosa, che possiamo immettere nel vino aggiungendo in questo 100 cc di alcol solforoso, oppure 35 a 40 gr di solfito di calcio (corpo solido e di facile conservazione) più 40 gr di acido tartarico per ettolitro. Dopo ciò, potendolo, si filtri oppure si chiarifichi od almeno si lasci in riposo perché torni limpido, quindi si travasi in botte ben solforata e vi si aggiunga altro acido tartarico in ragione di gr 130 a 150 per ettolitro.
Quando si ha un vino in cui la malattia è giunta ad uno stadio tanto avanzato che cioè anche annerisce stando all’aria, allora i trattamenti indicati non sono sufficienti a togliere il gusto sgradevole e, per ripristinare il sapore e l’odore proprii a buon vino, occorre fare la rifermentazione.
Spunto od acescenza.
Tale malattia, dovuta ad un fermento detto “mycoderma vini”, è molto comune e si presenta dando al vino odore e sapore di acido acetico, corpo che abbonda nell’aceto. Siccome l’acescenza del vino ha luogo alla superficie dello stesso, bisogna separare la parte superiore dalla inferiore per un terzo circa (più o meno a seconda di quanto si è avvantaggiato lo spunto), e ciò si fa togliendo per mezzo della spina di fondo il vino ancora sano. Il resto si può curare neutralizzando l’acido acetico con tartrato neutro di potassio.
La dose precisa si fissa con una prova in piccolo in bottiglie da un litro, alla prima si aggiungono gr 1,50 di tartrato neutro, alla seconda gr 2,00, alla terza gr 2,50, alla quarta gr 3,00 alla quinta gr 3,50. Si lasciano queste bottiglie ben chiuse per due o tre giorni, quindi si assaggia il vino, si vede quale sia stata la dose minore che corrispose perfettamente allo scopo e quella si adotta in pratica, ragguagliando naturalmente la quantità di un litro (moltiplicando per 100) a quella corrispondente ad un ettolitro e questa ultima al numero degli ettolitri di vino da correggere. Tanto per il vino così curato, come per quello che si cavò dalla botte è raccomandabilissimo il riscaldamento a 60° con enoterma per almeno due minuti, a fine di distruggere i germi dell’acetificazione, ma, siccome il detto apparecchio non è alla portata di tutte le cantine, sarà cosa non mai raccomandata abbastanza quella di travasarlo in botte ben solforata e di consumarlo quanto prima è possibile.
Il filante o grassume.
Per questo male, al quale a preferenza vanno soggetti i vini bianchi, poveri di tannino e di alcool, il vino intorbida, perde la densità propria per acquistare la densità dell’olio e come questo cola e fila.
Molte volte il grassume scompare da sé. Se persiste, si travasi il vino in botte ben solforata dopo averlo ben bene sbattuto all’aria, inoltre, se il male è molto accentuato, si tannizzi con gr 10 a 12 di tannino e si chiarifichi con 15 gr di gelatina per ettolitro, non trascurando poi di travasare ancora in recipiente ben solforato.
L’amaro od amarore.
Il vino che è colto da questo male, al principio della malattia stessa ha un odore particolare, colore meno vivo, ed un sapore vuoto: più tardi vi compare il sapore amaro ed a misura che questo aumenta s’intorbida, va depositando molta materia colorante ed acquista colore volgente all’arancio. Se la malattia non è molto avanzata, se cioè il vino non si è ancora intorbidato si può guarirla aggiungendo 100 a 150 grammi di acido tartarico per ettolitro e travasando, dopo due o tre giorni, in botte solforata. Se il vino non ritorna limpido si tenti allora la rifermentazione con vinaccia non torchiata e con un po’ di uva fresca.La pastorizzazione è efficacissima anche per la malattia dell’amaro.
La dose precisa si fissa con una prova in piccolo in bottiglie da un litro, alla prima si aggiungono gr 1,50 di tartrato neutro, alla seconda gr 2,00, alla terza gr 2,50, alla quarta gr 3,00 alla quinta gr 3,50. Si lasciano queste bottiglie ben chiuse per due o tre giorni, quindi si assaggia il vino, si vede quale sia stata la dose minore che corrispose perfettamente allo scopo e quella si adotta in pratica, ragguagliando naturalmente la quantità di un litro (moltiplicando per 100) a quella corrispondente ad un ettolitro e questa ultima al numero degli ettolitri di vino da correggere. Tanto per il vino così curato, come per quello che si cavò dalla botte è raccomandabilissimo il riscaldamento a 60° con enoterma per almeno due minuti, a fine di distruggere i germi dell’acetificazione, ma, siccome il detto apparecchio non è alla portata di tutte le cantine, sarà cosa non mai raccomandata abbastanza quella di travasarlo in botte ben solforata e di consumarlo quanto prima è possibile.
Il filante o grassume.
Per questo male, al quale a preferenza vanno soggetti i vini bianchi, poveri di tannino e di alcool, il vino intorbida, perde la densità propria per acquistare la densità dell’olio e come questo cola e fila.
Molte volte il grassume scompare da sé. Se persiste, si travasi il vino in botte ben solforata dopo averlo ben bene sbattuto all’aria, inoltre, se il male è molto accentuato, si tannizzi con gr 10 a 12 di tannino e si chiarifichi con 15 gr di gelatina per ettolitro, non trascurando poi di travasare ancora in recipiente ben solforato.
L’amaro od amarore.
Il vino che è colto da questo male, al principio della malattia stessa ha un odore particolare, colore meno vivo, ed un sapore vuoto: più tardi vi compare il sapore amaro ed a misura che questo aumenta s’intorbida, va depositando molta materia colorante ed acquista colore volgente all’arancio. Se la malattia non è molto avanzata, se cioè il vino non si è ancora intorbidato si può guarirla aggiungendo 100 a 150 grammi di acido tartarico per ettolitro e travasando, dopo due o tre giorni, in botte solforata. Se il vino non ritorna limpido si tenti allora la rifermentazione con vinaccia non torchiata e con un po’ di uva fresca.La pastorizzazione è efficacissima anche per la malattia dell’amaro.
La rottura o casse.
Tutti i vini preparati con uve ammuffite, vanno soggetti alla casse, in grado vario, secondo l’intensità dell’ammuffimento delle uve e secondo il modo di fare la fermentazione.
Il vino, bianco o rosso, rotto, allorchè viene esposto all’aria acquista colore gialliccio, poi intorbida e, più tardi, presenta, sul fondo del vaso, un deposito di una polvere rosso mattone più o meno bruna, ed alla superficie del liquido una pellicola di lucentezza metallica ed iridescente.
Mentre le altre malattie sopra ricordate sono dovute all’azione di microorganismi la casse è dovuta ad una diastasi ossidante, per la quale in presenza di aria si effettua l’ossidazione del tannino e delle materie coloranti, fenomeno identico a quello che si osserva sulle frutta sbucciate, che imbruniscono alla superficie. La detta diastasi (ossidasi) è prodotto dal fungo della muffa.
Fra i rimedi proposti è di efficacia indiscutibile il riscaldamento del vino a 70° o 80°. Ma siamo sempre lì: occorre avere a disposizione un enoterma, e quindi a molti converrà contentarsi della pratica della solforazione che è sempre un ottimo rimedio. Si introduce nel vino una quantità di anidride solforosa (minore di quella necessaria per il girato) sufficiente ad arrestare la casse: bastano 40 a 50 cc di alcool solforoso o 10 a 15 gr di solfato di calcio per ettolitro. Compiuta la solforazione si filtra o si chiarifica per ridare al vino la limpidezza perduta. La chiarificazione si può fare con gelatina od altro chiarificante, badando, però, di far precedere il necessario tannaggio, qualora il vino fosse povero di tannino.
L’annerimento.
Tutti i vini preparati con uve ammuffite, vanno soggetti alla casse, in grado vario, secondo l’intensità dell’ammuffimento delle uve e secondo il modo di fare la fermentazione.
Il vino, bianco o rosso, rotto, allorchè viene esposto all’aria acquista colore gialliccio, poi intorbida e, più tardi, presenta, sul fondo del vaso, un deposito di una polvere rosso mattone più o meno bruna, ed alla superficie del liquido una pellicola di lucentezza metallica ed iridescente.
Mentre le altre malattie sopra ricordate sono dovute all’azione di microorganismi la casse è dovuta ad una diastasi ossidante, per la quale in presenza di aria si effettua l’ossidazione del tannino e delle materie coloranti, fenomeno identico a quello che si osserva sulle frutta sbucciate, che imbruniscono alla superficie. La detta diastasi (ossidasi) è prodotto dal fungo della muffa.
Fra i rimedi proposti è di efficacia indiscutibile il riscaldamento del vino a 70° o 80°. Ma siamo sempre lì: occorre avere a disposizione un enoterma, e quindi a molti converrà contentarsi della pratica della solforazione che è sempre un ottimo rimedio. Si introduce nel vino una quantità di anidride solforosa (minore di quella necessaria per il girato) sufficiente ad arrestare la casse: bastano 40 a 50 cc di alcool solforoso o 10 a 15 gr di solfato di calcio per ettolitro. Compiuta la solforazione si filtra o si chiarifica per ridare al vino la limpidezza perduta. La chiarificazione si può fare con gelatina od altro chiarificante, badando, però, di far precedere il necessario tannaggio, qualora il vino fosse povero di tannino.
L’annerimento.
È dovuto al ferro ed al tannino che si trovano disciolti nel vino. La quantità di ferro necessaria perché si produca tale annerimento può trovarsi naturalmente nel vino, se le uve provengono da terreni ferraginosi, oppure può esservi stato portato con la cattiva pratica di mantenere lungamente del ferro metallico a contatto del vino, permettendo che gli acidi di questo lo attacchino e lo disciolgano.
Il ferro nel vino v’è sotto forma di tartrato o tannato ferroso e tale rimane fino a che non si trova in presenza di ossigeno, ma a contatto dell’aria si ossida convertendosi in tannato ferrico ossia in inchiostro, ed il vino diviene nero ed acquista anche il sapore del detto composto.
Con l’aeramento e la chiarificazione si guarisce sempre il vino che va soggetto ad annerire.
L’aeramento è necessario perché avvenga e si completi la formazione del tannato ferrico, e si può ottenere travasando all’aria almeno per due volte, o facendo gorgogliare aria sterilizzata nella massa del vino, servendosi di una pompa da travaso.
La chiarificazione serve a precipitare e portar via il detto tannato perché il vino riacquisti la sua limpidezza e perda il sapore ferruginoso».
S. (Continua)
Il ferro nel vino v’è sotto forma di tartrato o tannato ferroso e tale rimane fino a che non si trova in presenza di ossigeno, ma a contatto dell’aria si ossida convertendosi in tannato ferrico ossia in inchiostro, ed il vino diviene nero ed acquista anche il sapore del detto composto.
Con l’aeramento e la chiarificazione si guarisce sempre il vino che va soggetto ad annerire.
L’aeramento è necessario perché avvenga e si completi la formazione del tannato ferrico, e si può ottenere travasando all’aria almeno per due volte, o facendo gorgogliare aria sterilizzata nella massa del vino, servendosi di una pompa da travaso.
La chiarificazione serve a precipitare e portar via il detto tannato perché il vino riacquisti la sua limpidezza e perda il sapore ferruginoso».
S. (Continua)
Sergio Salvi
Laureato in Scienze Biologiche presso l’Università di Camerino, nel corso della sua attività di ricercatore si è occupato di genetica lavorando presso Enti di ricerca pubblici e privati. Attualmente svolge attività di ricerca e divulgazione storico-scientifica su tematiche riguardanti il settore agroalimentare e la genetica agraria in particolare (biografia storico-scientifica di Nazareno Strampelli, origine ed evoluzione delle varietà tradizionali di frumento e del concetto di prodotto tipico, recupero di varietà agrarie d’interesse storico).
Laureato in Scienze Biologiche presso l’Università di Camerino, nel corso della sua attività di ricercatore si è occupato di genetica lavorando presso Enti di ricerca pubblici e privati. Attualmente svolge attività di ricerca e divulgazione storico-scientifica su tematiche riguardanti il settore agroalimentare e la genetica agraria in particolare (biografia storico-scientifica di Nazareno Strampelli, origine ed evoluzione delle varietà tradizionali di frumento e del concetto di prodotto tipico, recupero di varietà agrarie d’interesse storico).
Professore Strampelli complimenti per i vari articoli che ho letto! Molto semplici ed esaurienti anche per un neofita
RispondiEliminaSalve!Volevo chiedere siccome l anno scorso ho fatto 300 lt di vino ed è di spunto volevo chiedere se quest anno lo farei rifermentare con uve sane se si toglie il difetto?e se si quale proporzioni uva/vino .grazie
RispondiEliminaMeglio non far rifermentare il suo vino spunto, rischierebbe di rovinare la sua nuova partita di uve sana. Le consiglio di usare una quantità maggiore di anidride solforosa per la nuova vendemmia e di usare recipienti sanizzati.Tenere il futuro vino lontano da quello spunto.
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