venerdì 10 giugno 2016

FAO: cento interrogativi, nessuna riposta

di Agrarian Sciences

 

Il fondatore di Slow Food Carlo Petrini, Ambasciatore Speciale della FAO in Europa per Fame Zero, 2016 .
L’introduzione più propria del tema può essere un omaggio a Ugo La Malfa, la Cassandra che pretendeva che l’Italia si convertisse, con una titanica sfida al proprio passato, in autentico stato di diritto, o, prevedeva, quel passato l’avrebbe risucchiata nella palude secolare di plebi ignoranti e di avide cosche di potere, la condanna che hanno suggellato, in assoluta connivenza, gli ultimi inquilini di Palazzo Chigi. Per operare la grande metamorfosi il profeta delle patrie sventure poneva, tra le condizioni essenziali, la soppressione degli “enti inutili”, la pletora di enti che assicuravano sicuri scrittoi e pensione a chi tutelava i diritti degli eredi dei garibaldini, delle vittime di remote guerre e alluvioni.
Per chi osserva la crisi che sta scardinando la convivenza planetaria il parallelismo è pressoché perfetto: uscita dalla catastrofe della seconda Guerra mondiale, la comunità internazionale costituì una serie di organismi che avrebbero dovuto coordinare lo sforzo comune per la pace e il benessere. Quegli organismi attenuarono, può riconoscersi, le fasi più acute della “guerra fredda”, promossero conferenze che appianarono le rivalità economiche più dirompenti, favorirono accordi sullo stato delle persone, scambi scientifici e culturali. Di fronte alla cruda competizione attuale per la spartizione delle superstiti risorse del Pianeta stanno dimostrando, sempre più inequivocabilmente, la propria impotenza, stanno divenendo “enti inutili”. Nella loro pletora quello la cui utilità si rivela sempre più incerta è l’organismo che avrebbe dovuto sospingere il progresso delle produzioni agricole fino ad adeguarle alle necessità alimentari di tutti i cittadini del Pianeta.
E’ innegabile che l’organismo abbia assolto, nella propria storia sessantennale, a funzioni di rilievo, è altrettanto vero che la violenza assunta, nell’ultimo decennio, dalla rissa internazionale, l’ha sospinto ad una deriva che appare sempre più incontrollabile, verso un orizzonte che appare, irreparabilmente, quello del perfetto “ente inutile.
La prima causa: non esiste più un grande paese che disponga di un assoluto primato agricolo e che, seppure imponendo la propria preminenza, quella preminenza accompagni con una reale capacità di indirizzo scientifico e tecnologico. La guida sono stati, per quarant’anni, gli Stati Uniti, un paese aduso alla prepotenza fino alla prevaricazione, che può vantare, comunque il contributo determinante che le sue fondazioni scientifiche ed i suoi genetisti hanno assicurato a interi continenti, primo tra tutti l’Asia, dove la quadruplicazione delle produzioni è frutto indiscutibile della genetica a stelle e strisce.
Nella confusa mischia per il potere sul planisfero i contendenti più spregiudicati non sono più oggi, Stati Uniti e Unione Sovietica: il loro numero è consistentemente cresciuto: si misurano tra loro Cina, India, Brasile e Russia (entità significativamente deversa dall’antica URSS), verso gli USA tutti potenziali alleati e sicuri avversari. Che di un ente, quale la Fao, che sugli Stati Uniti non esercita più alcuna attrazione hanno stabilito una sorta di condominio in cui ciascuno ricerca la preminenza che gli altri pretendono, ciascuno, per sé.
La prima conseguenza: se gli Usa dominavano la Fao assicurando una fonte inestinguibile di risorse scientifiche, C., I., B. e R. non hanno risorse scientifiche da condividere con nessuno, le loro agricolture sono, fondamentalmente, agricolture arretrate (tranne il cuore risicolo di quella cinese) hanno popolazioni in parte cospicua languenti nella fame, e, nonostante la fame in casa pretendono di esportare, dovunque e a condizioni di favore. Pretendendo che dei morti di fame a casa loro nessuno sappia nulla.

Sulla gestione della Fao queste attitudini fondamentali paiono esercitare un peso devastante: siccome la prima funzione dell’organismo consisterebbe nel fedele aggiornamento delle statistiche agricole mondiali non è difficile percepire le conseguenze della preminenza, in consiglio di amministrazione, di soci che pretendono che nessuno sappia esattamente di quanto cibo disponga il proprio cittadino medio, che la propria produzione vogliono vantare con orgoglio (e senza controlli), e negare, categoricamente, le importazioni.
Il risultato di pressioni e espediente per appagare i desiderata dei nuovi padroni pare trasparire dalla contabilità dei cereali (riso + grano + mais + specie minori) per l’Asia, senza dubbio il più rilevante, per gli equilibri planetari, di tutti i dati di un annuario Fao. Ebbene, se nel triennio 2007-2009 l’organismo attribuiva al continente una produzione annua totale di 972, 8 milioni di tonnellate, la somma, alla calcolatrice, dei dati nazionali da cui si presume ricavato il totale porta a un totale di 925,9, con una differenza di 46,9 milioni di tonnellate. L’errore di un computo annuale? Singolarmente la differenza si ripete, negli anni successivi crescendo, progressivamente, fino di 52,4 (1095,2 – 1042,8) che l’organismo registra nel triennio 2011-2013.
Esiste un accordo, paiono suggerire le cifre, tra nuovi padroni e alti funzionari preposti alla statistica (pura simpatia, legami nazionali, cortesie generosamente ricambiate?) per occultare importazioni asiatiche per 50 milioni di tonnellate, equivalenti all’intera produzione del Canada, uno dei grandi esportatori planetari, dirette dove, come avveniva in Unione Sovietica negli anni ’80, per scongiurare rivolte popolari, si importavano quantità il cui valore in oro corrispondeva a 20 tonnellate (in lingotti consegnati in Svizzera).
Se un accordo è stato assunto, dai soci “di riferimento” del sodalizio, per il dato più rilevante dell’economia agricola mondiale, qualunque persona ragionevole può immaginare che per falsificazioni minori sia sufficiente una colazione di lavoro, facendo scivolare, tra gli ultimi convenevoli, una pannocchietta d’oro nella mano del commensale (una cortesia comune tra i grandi traders), e la girandola di orzo, carne, pesce e lana prende a ruotare arrestandosi all’oggetto e al numero che richieda il postulante.
Perché, è la regola di tutti gli organismi internazionali, ove non sussista un accordo politico che attribuisca tutti i poteri a un comitato di suprema competenza e prestigio, gli alti funzionari si convertono in merce di scambio. Se la Russia concede alla Cina un direttore generale in cambio di due vice in posizioni di suo interesse, chi dipenda da quel direttore, o da quei due vice, capirà immediatamente di essere suddito sovietico, o cinese, e che la sola cosa che gli si chiederà, condizione di vita e lavoro, sarà la più assoluta fedeltà.

 
Una prova? La stampa, in queste circostanze sempre scrupolosa, propone, con frequenza crescente, la notizia dell’incontro di un alto funzionario Fao con un gastronomo famoso per la ricetta di rifondazione dell’agricoltura planetaria, o la presidentessa di un movimento mondiale di stregoneria agraria. Chi sia pervenuto, superando scoglie e tempeste, a una direzione generale tra i colli cari a Romolo e a Caligola, ne può essere, legittimamente orgoglioso, ma se il nostro funzionario prodigio ha studiato a Harvard falsificare dati per ordine di un lustrastivali di Putin può risultare avvilente: invita la maga di moda per proclamare, nella successiva conferenza-stampa che l’incontro ha partorito il piano infallibile per la palingenesi dell’agricoltura mondiale, i giornalisti trascrivono, unanimi, inghiottendo pasticcini e deglutendoli con Champagne, che aiuterà anche il nostro funzionario top a dimenticare gli stivali di Putin.


 


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