CHI VUOLE LO SCONTRO E QUALI RISCHI SI CORRONO
di FLAVIO BAROZZI
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Foto Flavio Barozzi - Articolo uscito in origine su www.spigolatureagronomiche.it |
In un Convegno organizzato qualche settimana fa da una associazione di industriali del settore agroalimentare il prof. Riccardo Puglisi, economista dell’Università degli Studi di Pavia, ha svolto una interessante relazione sul “Dialogo strategico sul futuro dell’agricoltura nell’UE”. Essa ha consentito di analizzare i punti di interesse e le criticità del documento recentemente licenziato dall’apposito gruppo di lavoro coordinato dal prof. Peter Strohschneider su incarico dalla Presidenza della Commissione UE.
Non è questa la sede per entrare nel dettaglio del documento in questione. Un aspetto tuttavia ne emerge con estrema chiarezza, ed il prof. Puglisi lo ha acutamente segnalato: oggi “l’agricoltura europea è stretta in una situazione lose-lose che oppone produttività e tutela ambientale” (sic). Colpisce in specie l’uso dell’espressione “lose-lose”, che identifica una situazione senza via d’uscita, in cui il conflitto che si genera non porta ad alcun vantaggio, tanto a livello generale che a livello di singoli “contendenti”, ma anzi conduce in ultima analisi ad una perdita globale ed a una “sconfitta” generale. Per questi motivi la strategia di contrapposizione stigmatizzata dal prof. Puglisi è destinata a rivelarsi perdente su tutti i fronti e dannosa tanto per l’economia e la società, quanto per la sicurezza alimentare e per la stessa salvaguardia dell’ambiente.
Servirebbe un rapido cambiamento di mentalità che individui e proponga un approccio integrato, razionale e non ideologico, finalizzato ad una strategia di coesistenza e compatibilità tra attività produttiva agricola e protezione ambientale, l’unica in grado di definire un orizzonte “win-win”, da cui tutti traggono giovamento.
L’impegno profuso in tal senso da tanti operatori del mondo scientifico, tecnico ed imprenditoriale legato all’agricoltura è notevole, radicato nel tempo, e pure suffragato da molteplici progettualità, iniziative ed esperienze concrete, spesso realizzate in sinergia con figure e competenze autenticamente interessate alla tutela dell’ambiente. Esso si basa sulla consapevolezza dell’importanza che agricoltura e zootecnia rivestono come la forma al tempo stesso più antica e più moderna, insostituibile ed in perenne evoluzione verso assetti di maggiore efficienza, di simbiosi mutualistica tra uomo, piante e animali. Perché, se le attività di produzione agricola hanno un impatto sull’ambiente (come ogni attività dell’uomo fin dalla notte dei tempi), esse sono pure le uniche capaci -in virtù del ruolo attivo dell’agricoltura nella gestione del ciclo del carbonio- di rigenerare risorse e di mitigare gli impatti generati da tutte le altre attività della nostra specie.
Soprattutto è forte la consapevolezza della complessità delle sfide da affrontare anche in funzione dei molteplici mutamenti di scenario in atto. La complessità di queste sfide dovrebbe condurre ad un approccio diverso -più maturo e responsabile- rispetto a quello caratterizzato da una infausta combinazione di “malinteso ambientalismo” e di “malsano dirigismo” (espressioni che prendo a prestito da due memorabili relazioni del prof. Casati) che sembra aver animato negli ultimi anni certa politica europea, specie ma non solo in ambito agricolo.
In una diversa prospettiva, fatta di integrazione delle conoscenze e di dialogo costruttivo, gli strumenti per agire -intellettuali e culturali prima ancora che pratici- non sono i divieti, le limitazioni e gli incentivi a non produrre, ma l’apertura alla ricerca scientifica e tecnologica e la libertà di innovare per produrre meglio, per ridurre gli impatti ed aumentare l’efficienza dei processi. Per essere in definitiva più razionali, e quindi “sostenibili”.
Eppure, per impostare un “dialogo” che integri conoscenze ed aspettative servono alcune condizioni preliminari essenziali, a partire dal riconoscimento reciproco tra gli interlocutori. Purtroppo non si tratta di un fatto scontato. In specie negli ultimi anni, ai “roghi di piazza” si è andata sostituendo una pratica solo apparentemente meno feroce: il rifiuto delle ragioni dell’altro, espresso attraverso una censura sottile ed implacabile, magari ispirata da ideali apparentemente nobili, ma orientata ad un fanatismo intollerante, trasversale e talvolta forse manzonianamente “peloso” (tanto da inquinare anche una parte di quel mondo scientifico cui noi guardiamo con speranza e rispetto).
A queste forme di settarismo più o meno ipocrita si affiancano da qualche tempo manifestazioni ed azioni apertamente ostili alla ricerca scientifica e alla innovazione in agricoltura che sembrano sottendere un preoccupante “crescendo rossiniano” dell’intolleranza e …dell’ignoranza.
Si è iniziato nel giugno 2024, con la vandalizzazione della parcella sperimentale di riso ottenuto mediante TEA, con introduzione di fattori di resistenza al patogeno responsabile del “brusone”, curata dal pool dell’amica Vittoria Brambilla in Lomellina.
A questa azione deprecabile (ma fortunatamente non completamente distruttiva, perché è risultato possibile ritrapiantare le giovani piantine estirpate) se ne è aggiunta poche settimane orsono un’altra ancor più grave (perché attuata su piante arboree per le quali i tempi della fisiologia rendono già limitato l’orizzonte biennale di sperimentazione concesso dall’assai prudente normativa nazionale) con la devastazione della parcella a vigneto TEA con induzione di resistenza a peronospora situata in Veneto.
Mentre si scrivono queste note (primi giorni di marzo 2025) giungono notizie sgradevoli circa gli atteggiamenti aggressivi e financo intimidatori delle contestazioni cui è stata sottoposta l’amica Vittoria Brambilla in un suo pubblico intervento.
E’ noto che un sito internet di sedicenti “ambientalisti” ha pubblicato le coordinate di geolocalizzazione (di cui la normativa europea rende obbligatoria la comunicazione da parte dei ricercatori alle autorità competenti) delle parcelle sperimentali TEA autorizzate o in fase di autorizzazione in Italia. Sul sito dei cosiddetti “ambientalisti” queste parcelle sono indicate con un teschio, simbolo che fornisce la misura inequivocabile dell’infimo livello intellettuale di chi lo utilizza. Ma che induce -nella sua ambivalenza tra il macabro ed il ridicolo- inquietanti riflessioni sulle implicazioni del gesto, aggravato da espressioni piuttosto farneticanti, oltre che dalla indicazione dei nominativi e della ragione sociale delle aziende agricole che ospitano le prove sperimentali, che potrebbe forse configurare il reato penale della istigazione a delinquere.
A tutto ciò si aggiunga la notizia -da tutti noi accolta con sgomento ed indignazione- della recente irruzione nel salone delle adunanze dell’Accademia dei Georgofili di sedicenti “ambientalisti” che con urla sguaiate ed altre intemperanze hanno di fatto impedito fino all’intervento della polizia il regolare svolgimento di una iniziativa di studio di altissimo interesse nell’ambito del dibattito tecnico-scientifico che da sempre caratterizza la storia delle Istituzioni Accademiche.
Lo sgomento deriva dalla constatazione di quanto siano tuttora radicati gli “inveterati pregiudizi” di chi si oppone alle applicazioni della Scienza (non solo in ambito agrario), e suggerisce spiacevoli considerazioni sulla fioritura di “ideologie scellerate” (cito non a caso le parole del Presidente Vincenzini) che va caratterizzando il presente e pone inquietanti interrogativi sul nostro futuro.
L’indignazione per l’episodio, senza precedenti nella storia accademica, nasce da molteplici ragioni. Da un lato l’ignobile gazzarra è sintomo della povertà intellettuale di chi ricorre all’arroganza e alla protervia anziché al confronto, ed usa i temi dell’ambiente non come nobile fine di interesse generale, ma come mezzo per scopi oscuri e forse inconfessabili. D’altro canto il metodo “teppistico” evoca tristi ricordi di ideologie malsane che pure hanno turbato il vivere civile e minacciato le nostre libertà democratiche nel XX secolo.
In questo contesto non possiamo ignorare la sensazione di crescente nervosismo nel mondo agricolo su questi temi. E’ ormai consueto e persino normale trovare ad ogni convegno o pubblico incontro di agricoltori qualcuno che lamenta il conflitto con sedicenti “ambientalisti”, in genere percepiti da chi lavora in campagna come fannulloni matricolati, come parolai odiosi e molesti, come “parassiti sociali” più o meno legalizzati, dediti solo ad ostacolare e denigrare chi produce in maniera professionale, bollandolo con i marchi infamanti di agricoltore o allevatore “intensivo”, di “inquinatore”, o addirittura -in un rigurgito di vetero-marxismo alquanto comico- come “sporco capitalista”. In un quadro di tensione così forte (non certo per responsabilità del mondo agricolo) è purtroppo inevitabile che qualcuno generalizzi e consideri tutti gli ambientalisti come nemici, non solo dell’agricoltura, ma del lavoro, della libertà e della stessa dignità degli agricoltori.
Che sono persone talvolta rudi, ma generalmente rispettose delle regole della civile convivenza, tanto che nelle periodiche e più o meno condivisibili manifestazioni di protesta non hanno mai ecceduto né travalicato i limiti del lecito.
Ma quando “il fuoco cova sotto la cenere” il pericolo non va sottovalutato. Il rischio che, di fronte alle continue provocazioni, alla sistematica “criminalizzazione” dell’agricoltura professionale, qualche badile, qualche forcone o qualche chiave inglese (questa rubrica si intitola “La voce della mietitrebbia” … e i pesanti utensili da officina sono strumenti essenziali per la manutenzione di mietitrebbie e trattori) possa “sfuggire di mano” non appare poi così remoto.
Sarebbe una sconfitta per tutti!
La strada da percorrere è un’altra, fondata sull’equilibrio e lontana da ogni eccesso o estremismo. Tutti noi, lungi dal farci intimidire o dall’attribuire eccessivo risalto a certe deprecabili manifestazioni, dobbiamo rinnovare la determinazione ad operare -con pacata fermezza- nella riaffermazione del metodo scientifico, che nella sua “laica umiltà” rappresenta la sola via da percorrere per affrontare le complesse sfide della integrazione sostenibile tra le esigenze della produzione agroalimentare e quelle della gestione razionale dell’ambiente. Bisogna puntare sull’intelligenza di studiosi, tecnici ed imprenditori liberi, capaci e coraggiosi; sulla ricerca scientifica, sull’innovazione tecnologica e sulla integrazione delle conoscenze; sulla corretta informazione e la sensibilizzazione della società civile e del decisore politico sui temi del progresso dell’agricoltura e delle scienze ad essa attinenti. Con la consapevolezza che difendere conoscenza e libertà di fronte all’oscurantismo costa ed espone a rischi, ma rappresenta un dovere cui non possiamo sottrarci nell’interesse della prosperità generale.
E' Presidente della Società Agraria di Lombardia, Accademico aggregato dei Georgofili e dott. Agronomo.
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