martedì 16 maggio 2017

La nuova legge sul biologico: qualcuno sa dirci dove sta di casa l' interesse nazionale?

di Luigi Mariani

Riassunto
Il Senato della repubblica italiana ha approvato il disegno di legge sullo sviluppo e la competitività della produzione agricola ed agroalimentare con metodo biologico nel quale fra l’altro si afferma che l’agricoltura biologica è un’attività di interesse nazionale con funzione sociale, in quanto attività economica basata, tra l'altro, sulla qualità dei prodotti, sulla sicurezza alimentare, sul benessere degli animali e sulla riduzione delle emissioni inquinanti. L’articolo evidenzia quanto di errato vi è in tale affermazione, concludendo che con questa operazione demagogica non si sta facendo l’interesse dell’ambiente, del consumatore e dell’economia nazionale e, in sintesi non si sta facendo l’interesse nazionale.


Abstract The Senate of the Italian Republic approved the draft law on the development and competitiveness of organic farming which, among other things, states that organic farming is an activity of national interest due to its social function and objectives like food quality and safety, animal welfare and reduction of pollutant emissions.
This paper highlights what is wrong in this statement, concluding that with this demagogic operation, the environment, the consumer and the national economy are not protected and in summary, the national interest is not made.



LA NUOVA LEGGE SUL BIOLOGICO

Il parlamento italiano procede nell’analisi del disegno di legge sullo “sviluppo e la competitività della produzione agricola ed agroalimentare con metodo biologico” e il Messaggero (qui) ci informa del fatto che la versione licenziata dal Senato della Repubblica recita che la produzione agricola biologica sarà «attività di interesse nazionale con funzione sociale, in quanto attività economica basata, tra l'altro, sulla qualità dei prodotti, sulla sicurezza alimentare, sul benessere degli animali e sulla riduzione delle emissioni inquinanti».

Sempre il Messaggero ci informa che la legge:

- prevede l’equiparazione del metodo di agricoltura biodinamica al metodo biologico nei limiti in cui il primo rispetti tutti i requisiti previsti a livello europeo per produrre biologico

- crea un «Fondo per lo sviluppo dell'agricoltura biologica», con una riserva del 30% alla ricerca, alimentato dal 2% del fatturato dell'anno precedente relativo alla vendita di prodotti fitosanitari.

- prevede che gli agricoltori hanno diritto alla vendita diretta delle sementi biologiche iscritte agli appositi registri e alla vendita diretta in ambito locale e in quantità limitata di sementi non iscritte a registri.

 

LE TANTE QUESTIONI APERTE
La legge per come ci viene descritta si presta ad   ad innumerevoli  e pressanti interrogativi che riassumiamo qui di seguito.

Dove sta di  casa la qualità dei prodotti quando ci si affida a varietà tradizionali che il più delle volte presentano caratteristiche qualitative inferiori a quelle delle varietà attuali?

Dove sta di casa la qualità dei prodotti quando si lesina sulla nutrizione dei vegetali e dunque li si impoverisce in proteine o ancora si lesina in difesa fitosanitaria rischiando di tirarsi dentro le tossine da funghi?

Dove sta di casa la sicurezza alimentare in un sistema di produzione biologico che produce in quantità sensibilmente inferiori? Non disponendo di dati per l’Europa e l’Italia (bello sarebbe che tali dati venissero prodotti dai nostri sistemi statistici) dobbiamo richiamarci alle statistiche Usa che parlano mediamente di una produzione del 35% in meno (qui).

Dove sta di casa la tutela dell’ambiente in un sistema che prospetta un calo del 35% delle produzioni delle principali colture, obbligandoci così, nel caso della sua adozione generalizzata e non volendo, immagino, ridurre le produzioni per problemi di sicurezza alimentare, a procurarci il 35% in più di suolo in barba alle tutela degli ecosistemi naturali?

Dove sta di casa la riduzione delle emissioni inquinanti in un sistema di produzione biologico che basa:

- la difesa da funghi sull’uso di grandi quantità di rame, metallo pesante tossico per svariate forme di vita e che si accumula nel terreno persistendo per un tempo indefinito, quando la tecnologia ha da tempo messo a punto molecole organiche che si usano in quantità molto più ridotte e, proprio perché organiche, sono degradate in modo molto rapido dalla microflora del terreno

- la difesa da insetti sulle piretrine naturali, le cui caratteristiche di tossicità, persistenza e modalità di produzione si prestano a svariati interrogativi discussi (qui).

O pensiamo davvero che sia possibile produrre “minimizzando l’uso dei prodotti fitosanitari” come, in omaggio alla demagogia dei tempi, il legislatore va scrivendo in ogni norma oggi messa in circolazione? A quest’ultimo riguardo ricordo che il mio professore di patologia vegetale insisteva particolarmente sulla necessità di evitare il sottodosaggio dei prodotti fitosanitari onde evitare l’insorgere di forme resistenti, con un ragionamento che tutti dovrebbero intendere perché la stessa cosa vale per gli antibiotici usati i medicina umana.

Dove sta di casa la presunta maggiore salubrità del biologico alla luce dell’emblematica vicenda dei 45 morti e dei 10mila ricoverati in ospedale a seguito dell’ingestione di una tossina prodotta da un mutante del batterio Escherichia coli che si era sviluppato su partite di germogli di fieno greco prodotte nel 2011 da un’azienda biologica tedesca?

Dove sta di casa l’interesse del consumatore in operazioni di promozione del biologico e del biodinamico che sottendono l’idea di creare un segmento di mercato a prezzi elevati (il doppio di quelli dei prodotti da agricoltura convenzionale) in nome di favoleggiati vantaggi che in gran parte sono tutti da dimostrare?

In sintesi dunque dove sta l’interesse nazionale nel finanziare con i soldi del contribuente un’agricoltura che produce poco e a prezzi molto alti, non è per forza più sicura, non produce cibi di qualità superiore e che il consumatore stesso  si ritrova a pagare nettamente di più e in due occasioni: sui banchi del supermercato e con le tasse con cui il biologico viene finanziato. A quest’ultimo riguardo quel “2% del fatturato dell'anno precedente relativo alla vendita di prodotti fitosanitari” da chi sarà alla fine pagato, se non dal consumatore?

Infine una battuta sull’equiparazione biologico-biodinamico: tale “coup de theatre” non considera ahimè il fatto che se il biologico è in sostanza la riproposizione dell’agricoltura del medioevo (quella precedente alla rivoluzione scientifica sette-ottocentesca che oggi tiene in vita i 7 miliardi di cittadini de pianeta grazie alla “rivoluzione verde”), il biodinamico è la pura e semplice riproposizione delle ataviche agricolture a base magica, lontane dalla razionalità quanto lo può essere un oroscopo o le formule rituali di maghi e fattucchiere.


DOVE RISIEDE DAVVERO L’ INTERESSE NAZIONALE
 
L’interesse nazionale in agricoltura risiede in un sistema agricolo alimentare in grado di:
- garantire qualità e salubrità tramite sistemi di produzione allo stato dell’arte in termini di genetica e agrotecniche (concimazioni, difesa fitosanitaria, ecc.)

- garantire qualità e salubrità tramite un sistema di controlli stringenti e che sia del tutto terzo rispetto al produttore

- produrre derrate alimentari pienamente rispondenti alle normative di qualità previste in sede nazionale e comunitaria

- produrre prodotti a prezzi ragionevoli per consumatori che per la maggior parte non sono dei nababbi

- rendere il nostro sistema agricolo-alimentare il più possibile indipendente dalle importazioni dall’estero delle materie prime, in particolare quelle necessarie a produrre prodotti tipici da esportazione. Oggi la situazione è tragica in quanto importiamo il 50% del grano con cui facciamo pane e pasta e il 35% dei mangimi con cui produciamo quelle che, vini a parte, costituiscono le maggiori voci delle nostre esportazioni (i prosciutti crudi e i due formaggi grana).

- garantire un sistema sementiero in grado di obbedire ai requisiti di purezza specifica (corrispondenza alla varietà acquistata), germinabilità, energia germinativa, ecc. senza un sistema sementiero efficiente non si può fare agricoltura a un buon livello

 

CONCLUSIONI
Facciamo dunque ricerca per dimostrare l’indimostrabile e diffondiamo pure queste le “nuove agricolture bio” nelle università e nei nostri campi, ma sia ben chiaro che non si stiamo facendo l’interesse dell’ambiente, del consumatore e dell’economia nazionale, in una parola “non stiamo facendo l’interesse nazionale”.

Ci domandiamo allora se il legislatore abbia davvero considerato tutti gli aspetti problematici evidenziati in questo articolo quanto ha pomposamente e demagogicamente introdotto il concetto di “interesse nazionale” per il biologico e il biodinamico.

E poi, per essere demagogici e politicamente corretti fino in fondo, perché non dichiarare il biologico e il biodinamico “patrimonio dell’umanità”? In sede Unesco troveremmo certamente più di una sponda.

 
Luigi Mariani
Docente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del
Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia
.




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8 commenti:

  1. Dove sta l'interesse nazionale quando dai dati pubblicati dal ministero stesso, ma imbeccato dall'AIAB? Da esso si evince che il 60% delle superfici che incassano i contributi per il biologico sono delle superfici incolte, semi-abbandonate o che fa tipi di coltivazioni nelle quali tra conduzione convenzionale e biologica (lasciamo stare la biodinamica per favore!!!)non vi è nessuna differenza. A dire il vero vi è un interesse, ma per pochi furbi a scapito di tanti fessi......

    Luigi esiste anche un studio europeo ed è quello dell'INRA francese

    http://institut.inra.fr/Missions/Eclairer-les-decisions/Etudes/Toutes-les-actualites/Rapport-Agricultures-hautes-performances

    I Pdf dei 4 volumi sono scaricabili.

    A Pag 195 del primo volume ci sono le conclusioni e proseguendo se ne ricava che il produrre biologicamente ha rese del 25% in meno mediando tutte le coltivazioni analizzate, ma con un range che da un -10% (foraggera leguminosa) ad un -60% (cereali ad esempio) e con risultati catastrofici in anni difficili di coltivazione (2016 ad esempio)

    Nota: lo studio dell'INRA (che voleva comunque favorire il biologico) è stato commissionato per vedere di risollevare la stagnazione delle coltivazioni bio che producono cibo, perchè quelle che non producono cibo aumentano sempre più sia in Francia, che in Germania, che in Austria (il Lussemburgo è il paese UE più biologico, certo un bel vanto in un paese dove praticamente l'agricoltura non esiste!)

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  2. Salve, c'entra relativamente poco con l'articolo, ma mi piacerebbe un vostro parere sul fatto che il fosforo minerale non è inesauribile, ed è detenuto da pochi Paesi, e sul fatto che nemmeno i combustibili fossili, necessari per fissare l'azoto atmosferico, lo sono. Grazie

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  3. Andrej

    Occorre semplicemente ristudiare il modo con il quale le piante assorbono gli elementi minerali e puntare ad una somministrazione più mirato in modo che la dispersione nel terreno non sia più quella degli anni 70/80. Ti assicuro che l'agricoltore professionale ha giù imparato a risparmiare nella distiribuzione dei concimi senza perdere in produttività. Solo che non si parala mai dei prgressi dell'agricoltura professionale di oggi e si parla di un'agricoltura datata e che non esiste più, o meglio esiste ancora nell'agricoltura non professionale....e sapessi quanta se ne fa ancora!!!!!

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  4. Vabbè ma il problema del possibile esaurimento di questi input è reale oppure no? Il fatto che ad esempio nessuna Nazione europea disponga di riserve di roccia fosfatica? Se sì, quali sono gli scenari? Come evitarli? Sono d'accordo che dei progressi non si parla, ma c'è anche poca chiarezza su questo aspetto di cercare l'autonomia alimentare producendo piùe meglio, ma alla fin fine impiegando input che dobbiamo importare

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    Risposte
    1. Gentile Andrej,
      penso che il problema da lei posto sia un problema reale e che può essere affrontato in primis razionalizzando l’uso dei consumi di concimi azotati e fosfatici, fermo restando che non possiamo farne oggi a meno in quanto i concimi azotati di sintesi i quali coprono oggi il 50% del fabbisogno proteico globale degli umani, per cui rinunciarvi porterebbe a problemi enormi di sicurezza alimentare. Al riguardo posso segnalarle l’articolo “Nitrogen cycle and world food production” di Vaklav Smil (http://www.vaclavsmil.com/wp-content/uploads/docs/smil-article-worldagriculture.pdf) che contiene parecchi dati quantitativi.
      Come elementi aggiuntivi segnalo che:
      1. le riserve reali di fosforo, petrolio, ecc. sono di solito superiori a quelle stimante in una dato istante, per cui immagino che molte altre fonti di fosforo saranno in futuro scoperte
      2. moltissimo fosforo se ne va con le deiezioni umane. E’ questo una perdita enorme e che in passato non si aveva con le agricolture tradizionali, le quali utilizzavano anche le deiezioni umane come concime, cosa che oggi andrebbe in qualche modo rivalutata pur sussistendo, me ne rendo conto, innumerevoli problemi igienici e non.
      3. molti agricoltori usano ancor oggi concimi complessi che non consentono il dosaggio adeguato dei macroelementi che può essere invece svolto impiegando concimi semplici. Credo inoltre che non siano moltissimi gli agricoltori che stendono piani di concimazione accurati.

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  5. Luigi

    Ecco una parziale risposta al tuo dire:

    http://seppi.over-blog.com/2017/05/le-gaspillage-de-la-matiere-brune.html

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  6. Risposte
    1. Andrej

      Quiando parlavo di ricerca swull'azoto pensavo a questo

      http://allianceforscience.cornell.edu/blog/scientific-innovations-solving-agricultural-problems

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