giovedì 21 giugno 2018

RITAGLI. MAIS IN EMILIA ROMAGNA: LA DIFFERENZA TRA MENTIRE E OMETTERE

di ANTONIO SALTINI 

 


Lo staff di questa rassengna, confessa candidamente lo sparuto gruppo dei redattori, è assolutamente inadeguato ai compiti che gli imporrebbe il costume della comunicazione in un paese in cui ignoranza e mendacio costituiscono, ormai, costume universale, radicato, legittimato da uomini politici, pseudoscienziati, capocuochi convertiti in vati agropolitici, comunicatori di tutti i possibili gradi di incompetenza.
E' la ragione che spiega l'assenza di commenti tempestivi a notizie il cui contenuto imporrebbe la denuncia di falsità e alterazioni della verità che pare, peraltro, lascino il destinario, lettore di quotidiani o spettatore televisivo, assolutamente acquiescente.
Questa schietta giustificazione per spiegare il mancato commento ad una noticina redazionale di Agricoltura, il periodico dell'Assessorato emiliano all'agricoltura non più, per le impietose ristrettezze di bilancio, puntualissimo, tuttore utile lettura per chi cerchi di orientarsi nel caleidosopio autoelogiativo della comunicazione di due decine di centri di potere che ormai non rispondono che agli imperativi dello sloganeering: sommergere gli elettori di informazioni sulla realizzazione prossima di qualsiasi insensatezza richiedano pur di accaparrarne il voto.
La noticina ignorata apparve, e ci scusiamo ancora per la dilazione temporale, a pagina 35 del numero della rivista datato novembre - dicembre 2017. Il titolo: Aflatossine: le linee guida della Regione per gestire il prodotto non conforme.
Il problema: il dilagare, in una serie di annate che paiono seguire un inarrestabile trend verso la sempre più grave carenza estiva d'acqua, della Pyrausta nubilalis, la piralide, le cui larve si appropriano di parte cospicua del raccolto, ma che, che favorendo, nei propri escrementi, la moltiplicazione una serie di patogeni fungini tra i cui cataboliti si annoverano alcuni dei veleni più potenti esistenti in natura (fumonisine e aflatossine), rendono il prodotto potenzialmente mortale per chi lo ingerisca, animali o esseri umani.
Siccome la regola essenziale delle veline del potere regionale, eredi di quelle del grande Romagnolo che si propose di resuscitare le glorie di Roma, è il rigetto di qualunque termine che possa inquietare la sensibilità della plebe elettorale, poiché l'impiego del mais inquinato è gravemente punito in termini penali e civili, il termine "proibito", l'unico appropriato, viene sostituito, dall'anonimo redattore della nota regionale, dall'eufemismo "non conforme", palesemente meno conturbante per il sensibilissimo lettore-elettore.
Chi scrive reputa che i redattori di "veline" della littoria agenzia Stefani non abbiano mai avuto imitatori altrettanto ineccepibili dei redattori della rivista regionale (peraltro alle origini diretta, a onorare il glorioso passato, da un tale sig. Stefani). Il problema del mais inquinato da fumonisine è sempre stato manipolato, dai responsabili dell'Assessorato competente, con la cura con cui tutte le tirannidi hanno gestito gli arcana regni (veniva affogata nella vasca da bagno la madre dell'imperatore, tutti sapevano, nessuno aveva mai udito nulla).
L'unico periodico agrario che affrontò seriamente il tema, smentendo un equivoco rapporto regionale, fu la scomparsa rivista Spazio rurale nel numero 4, aprile, 2007, in cui l'assessore regionale Tiberio Rabboni veniva dichiarato il più spudorato mentitore per avere proclamato che "non essendo stati identificati ibridi immuni", contro la piralide sarebbe stato inevitabile ricorrere alle ordinarie misure agronomiche, la prima menzogna plateale siccome i redattori del rapporto, operanti all'Università Cattolica, non potevano ignorare l'esistenza dei mais b.t., assolutamente immuni, ma che, in quanto o.g.m., era stato loro proibito di menzionare, il secondo ipocrita eufemismo, siccome le ordinarie misure agronomiche altro non erano che l'aborrito armamentario dei letali pesticidi, a proposito dei quali agronomi autorevoli attestavano il diffuso uso, nella regione, di molecole rigorosamente escluse dagli elenchi dei principi utilizzabili, per i quali pareva sussistesse un fiorente mercato "grigio" (uniformiamoci all'uso velinisco degli eufemismi), il ricorso ai quali sarebbe stato generale non dimostrando le molecole "autorizzate" alcuna efficacia contro il mostro del mais.
L'antico mentitore è state palesemente messo in ridicolo dalla nuova strategia di chi ha avuto l'onore di succedergli, che ha scelto la procedura di menzionare l'argomento adombrandone, cripticamente, la gravita, usando, anzi, vocaboli che inducono il lettore dotato di qualche acume ad immaginare che l'annata 2017 (un decennio dopo quella commentata da Rabboni) abbia costituito, per il mais emiliano, autentica catastrofe, senza fornire peraltro, un solo dato che desse corpo e sostanza alla tragedia surreale che si sarebbe consumata nei campi disposti tra il Rubicone e la Trebbia. Nessuna menzogna, nessuna informazione. La nuova "velina" non inganna: per non ingannare non fornisce alcuna notizia sugli arcana regni, che arcana debbono rimanere.
Siccome quanti redigono questa rassegna sono convinti che il giornalismo che non informa per opportunismo elettorale sia, comunque giornalismo falso, proponiamo il più sintetico elenco delle domande cui i responsabili della politica agricola emiliano-romagnola dovrebbero dare risposta ove si proponessero l'obiettivo di informare gli utenti delle loro pagine e non quello di imbonire elettori privandoli di qualunque informazione necessaria a un giudizio non del tutto infondato.
L'elenco sarebbe oltremodo ampio. Lo sintetizziamo in cinque quesiti essenziali:
  1. Quanto è stato il mais destinato alla distruzione, al termine della campagna 2017, perché inquinato da fumonisine? 
  2. Siccome la nota regionale dichiara che "soltanto alcuni lotti hanno superato il limite di legge" quale è stato l'inquinamento medio delle partite ammesse al consumo (magari con "tagli" di mais assolutamente venefico? Non è pateticamente ridicolo che costoro, che vantano le sfavillanti produzioni "bio" della regione, dichiarandole, pomposamente, prive di una sola molecola di urea o di fosfato ammonico (assolutamente innocui) debbano riconoscere che (nei limiti della tolleranza disciplinare), costringono i consumatori, con lo stupido divieto di seminare mais immuni (ma o.g.m.) a ingerire prodotti che le analisi ufficiali dimostrano contenere dosi "legalmente ammissimili" di fumonisine e micotossine?  
  3. Quale è il prezzo pagato ai produttori di mais condannato alla combustione (che il signor Rabboni ebbe l'impudenza di dichiarare un beneficio al budget energetico nazionale?  
  4. Quale è il prezzo che l'allevatore emiliano è obbligato a pagare per il mais o.g.m. che è costretto ad acquistare dopo il sequestro di quello no o.g.m. prodotto nei suoi campi? Sappiamo che il mais impiegato nelle stalle italiane, ormai, generalmente, di importazione, è prodottto in paesi che seminano solo o.g.m. (magari accompagnato da falsi certificati che dichiarano il contrario per la gioia di tutti gli opportunisti a caccia dei voti dei grulli?  
  5. Quale è la perdita economica, su scala regionale, della minore produzione conseguente alle devastazioni della piralide e alla distruzione ope legis di parte del raccolto, sostituito con mais lche si cerca di non importare dagli USA, che anche la casalinga bio-fanatica comprenderebbe essere o.g.m., ma, ove possibile, da paesi pronti a bollare certificati falsi, che dispongono di apparati di trasporto incomparabili a quello stars and stripes, aggiungendo alle perdite per la mancata o distrutta produzione i costi di sistemi di stoccaggio e carico primordiali?
Ci sarebbe sufficiente la risposta a questi cinque semplici quesiti per rigettare il dubbio che l'informazione agricola bolognese non sarebbe la brutta copia di quella concepita sulle verdeggianti rive del Rubicone dal grande Romagnolo, convincendoci che la comunicazione emiliana non dovrebbe essere reputata la consorella di quella che, a Palermo o a Reggio Calabria, non potrebbe essere diffusa senza il suggello di un assessore implicato in una pluralità di processi per assassinio, mai conclusi siccome, incomprensibilmente, una mattina si sarebbe constatata la scomparsa dell'intero incartamento dagli armadi blindati della cancelleria.
Ai cinque quesiti che rivolgiamo all'amministrazione regionale ne aggiungiamo uno che dirigiamo personalmente alla massima autorità agricola regionale, la dottoressa Caselli, qualificata dagli estimatori donna concreta e coraggiosa. Non le pare, le chiediamo, chiarissimo Assessore, che sarebbe più funzionale produrre mais b.t sui nostri campi (le ultime linee vengono dotate di meccanismi di resistenza all'aridità sempre più efficaci, ciò che moltiplicherebbe la produzione del neo-Sahel emiliano-romagnolo, evitando, insieme, la somministrazione, a consumatori animali ed umani, quanto si voglia in dosi "regolamentari", delle tossine più micidiali create da Madre Natura, oltre all'impiego di "pesticidi" legali e illegali (che vengano usati i secondi l'assessore, in quanto responsabile dei supposti controlli, non potrà mai ammetterlo), consentendo agli allevatori regionali di produrre il proprio mais senza essere condannati a costituire i benefattori di produttori operanti in nazioni dove tutto risulta concesso, per soddisfare il fabbisogno di un paese governato dalla sola legge dello sloganeering che diffonde tra gli elettori l'ignoranza tanto favorevole a un ceto politico la cui unica norma morale pare essere l'opportunismo? 






Antonio Saltini 


Docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e Vita. E' autore della Storia delle Scienze Agrarie opera in 7 volumi.


5 commenti:

  1. "non essendo stati identificati ibridi immuni"

    L'affermazione corrisponde al vero, ma è altrettanto vero che nella creazione degli ibridi è stata eseguita una certa selezione che ha migliorato il comportamento verso la piralide. Si provi a seminare accostati un ibrido ed una popolazione antica di mais vitreo e semivitreo e poi si potrà notare la differenza. La differenza diviene molto più palese anche perchè la crescita della superficie a mais ha aumentato l'inoculo parassitario. Cosa insegna questo che i metodi classici di miglioramento genetico hanno dei meriti, ma non sono sufficienti a fornire resistenze adeguate e quindi il rifiuto della transgenesi, della cisgenesi, e delle ultime NTB è criminale se vista nella prospettiva che fra 30 anni saremo 9 miliardi sul pianeta e la crescita maggiore l'avrnno l'Asia e l'Africa cioè popoli alla fame o popoli che non hanno più superficie da coltivare. Cina ed India già ora hanno rispettivamente solo 1200 e 1500 metri quadrati di superficie agricola a disposizione.

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    1. Alessandro Cantarelli24 giugno 2018 alle ore 09:36

      "Cina ed India...1200 e 1500 m2 a disposizione". Ed infatti il fenomeno del Land grabbing non e' una invenzione. L'agricoltura biologica per sopperire alla minore produzione richiede piu' superficie. Gli "ambientalisti" si vede che sono d'accordo a disboscare boschi e foreste...Quanto alle precise domande poste dal Saltini e le attese risposte..."campa cavallo che l'erba cresce". Si faceva prima a mandarle in copia a Carnemolla dal momento che e' molto bravo a scrivere lettere...

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  2. Nel dibattito agro-politico inerente scelte e itinerari produttivi è inevitabile semplificare anche per essere comprensibili ed incisivi. Ma la ricerca della conoscenza e l'uso razionale del metodo scientifico non possono però fermarsi ad una parte dei problemi che invece vanno evidenziati con trasparenza a 360°.

    Mi sono occupato per anni di micotossine anche su mais e mi permetto di aggiungere qualche sinteticissima considerazione che scaturisce da dati sperimentali e letteratura internazionale:


    - le larve di Piralide costituiscono sicuramente un'aggravante del problema Fusariosi e quindi Fumonisine, le micotossine più diffuse negli areali a mais italiani, e perciò sarebbe sicuramente di grandissima utilità contenerne la presenza;

    - le micotossine più tossiche e pericolose già a livelli bassissimi sono però senz'altro le aflatossine. Veicolate da Aspergillus (e non Fusarium), si trovano per fortuna meno facilmente delle fumonisine e sono favorite più da andamenti stagionali caldo-aridi che da insetti fitofagi.


    - nei Paesi dove è possibile usare mais Bt si ha una dimostrata riduzione significativa del livello di fumonisine anche se a volte i valori permangono comunque importanti. Scarso e controverso (a quanto ricordo) invece l'effetto sulle aflatossine.

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  3. Alessandro Cantarelli25 giugno 2018 alle ore 22:30

    Se in campagna per i problemi complessi e' bene lasciare le "bacchette magiche" fuori dai campi (secondo il parere degli agronomi piu' avveduti), va da se' che per affrontare il problema micotossine le buone pratiche agronomiche, l'eventuale utilizzo di preparati brevettati contro le fumonisine..., financo i trattamenti fisici sulle partite dei raccolti, hanno la loro importanza. Criminale sostiene Guidorzi, demenziale aggiungo io, ignorare e denigrare quanto emerge per il mais ogm dalla ricerca di Pellegrino et al. Barattiamo la salute per l'interesse di alcune lobby?

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  4. Mi lusingherebbe non poco considerarmi in forza all'ultima sopravvissuta Invicta Legio "Agrimensores Circumspecti" e per questo ribadisco: le fumonisine sono un gravissimo problema per il mais e qualsiasi mezzo tecnico o percorso colturale per ridurle sono di primaria importanza. Dove usato, il mais Bt si è dimostrato di valido, significativo e grandissimo aiuto, ma , appunto, rimanendo coi piedi per terra e a distanza di sicurezza dalle lobby, l'effetto è ovviamente dovuto al controllo della Piralide (e dell'altrettanto pericolosa Sesamia) non il fungo direttamente. Ma pur senza borers, sicuramente gli Aspergillus, ma anche i Fusarium possono fare i loro danni, a volte gravi. Che non sia un alibi, ma se "avveduti-circumspecti" non scordiamocelo, tutto qui.

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