mercoledì 6 febbraio 2019

ALCUNE RIFLESSIONI SUL DIBATTITO IN CORSO SULLA LIBERTA’ DI RICERCA ED INNOVAZIONE TECNOLOGICA IN AGRICOLTURA E SUL RUOLO DEL “GRUPPO DEI 300”


di FLAVIO  BAROZZI


Il dibattito che si è acceso negli ultimi mesi intorno al futuro modello di agricoltura, innescato dalle posizioni “ambientaliste” sintetizzate nella campagna di propaganda “Cambia la terra”, sta dando luogo ad una vera e propria “escalation” di polemiche. Probabilmente superiori alle attese di chi ha “lanciato il sasso nello stagno” pensando di incontrare scarsa o nulla resistenza. 
“Chi si loda s’imbroda”, ma probabilmente la discussione non si sarebbe accesa senza le prese di posizione del gruppo di docenti, tecnici, imprenditori ed a più ampio titolo “esperti” del settore agricolo provenienti da ogni parte d’Italia, che hanno dato vita ad una crescente mobilitazione finalizzata a ristabilire una corretta informazione su un argomento complesso su cui è facile introdurre elementi mistificatori e speculativi.
Una mobilitazione iniziata contestando le inesattezze e mistificazioni di “Cambia la terra”, proseguita con altre iniziative, e culminata nell’aggregazione di quello che viene ormai definito “gruppo dei 300” (anche se mi pare che le adesioni veleggino sulle 400 unità, cosa tra l’altro positiva anche sul fronte “scaramantico”) che hanno redatto e sottoscritto il documento contenente un contributo tecnico-scientifico indipendente alla discussione sul DdL sull’agricoltura biologica all’esame del Parlamento. Un risultato significativo, specie se si considera che nasce da iniziative spontanee e da un impegno basato sul più assoluto volontariato. 
Comprensibile, anche se forse non giustificabile, che tale imprevisto impegno abbia suscitato le ire, le invettive e le reazioni talvolta molto scomposte di un certo “ambientalismo” che credeva di avere vita probabilmente più facile. Che non ha lesinato attacchi personali anche molto volgari ed in qualche caso al limite della violenza (per ora solo verbale) nei confronti di chi non si piega supinamente al pensiero ed ai desideri di certi “esperti” di agricoltura da … ZTL, cui potrebbe benissimo adattarsi il detto di Eisenhower: “l’agricoltura sembra molto semplice quando il tuo aratro è una matita e stai a mille miglia da un campo di grano”. 
La mobilitazione del “gruppo dei 300” non è stata solo quantitativamente superiore alle più rosee aspettative: ha permesso di squarciare un velo di conformismo che, come spesso accade in Italia, avvolgeva un’area nebulosa ed ovattata quale quella che circonda il mondo del “bio”. 
Non si tratta certo di demonizzare quel mondo, che pure annovera persone valenti e serie, e che al contrario può rappresentare un’opportunità importante per diverse aree e realtà produttive della nostra variegata agricoltura. D’altro canto la necessità di realizzare una produzione agricola quanto più integrata e sostenibile sia possibile (non solo in ambito nazionale) credo costituisca un punto fermo nello spirito e nelle intenzioni del “gruppo dei 300”: per questo molti di noi lavorano quotidianamente e non da ora (se mi è consentito un riferimento del tutto personale, ricordo di aver iniziato oltre vent’anni fa a sperimentare tecniche di sovescio o di controllo meccanico delle infestanti quando alcuni tra i freschi fautori del “bio” neppure sapevano cosa fossero). 
Pare necessario tuttavia focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti essenziali, e magari ipotizzare una proposta di cui il “gruppo dei 300” potrebbe essere interprete. 
Un primo aspetto è rappresentato dalla difesa del metodo scientifico, che va ben oltre le convenienze di questo o quel portatore di interesse, e che deve essere il principale, costante ed umile riferimento del “gruppo dei 300”. 
In secondo luogo, ma come punto strettamente connesso al primo, si rileva la necessità di tutelare la libertà di ricerca scientifica e di innovazione tecnologica. Dalla lettura di alcuni documenti (non ultimo la relazione depositata dall’on. Cenni all’Accademia dei Georgofili il 29 ottobre 2018) sembra trasparire tra le righe un orientamento della politica volto ad indirizzare ricerca scientifica, sperimentazione ed innovazione tecnologica verso ambiti ed obbiettivi appunto dipendenti dalle indicazioni e dai desideri della politica medesima. Credo si tratti di un grave pericolo, come peraltro dimostrato da eventi storici neppur troppo remoti. Ritengo che la difesa della libertà di ricerca, sperimentazione ed innovazione in agricoltura (come in altri settori) debba essere una “bandiera” del “gruppo dei 300”. 
In terzo luogo osservo che tutta la mobilitazione del mondo “ambientalista” contro l’agricoltura produttiva, ed ideologicamente a favore del “bio”, corrisponde temporalmente all’uscita dei primi elementi documentali sulla riforma PAC in corso. Che rinvia a scelte nazionali (i cosiddetti Piani Strategici) alcune opzioni di politica agraria non secondarie. Se consideriamo quanto diceva Agatha Christie su coincidenze, indizi e prove, e quanto diceva Marx (di questa citazione sono debitore al prof. Francesco Salamini) circa il fatto che dietro grandi scontri si nascondano interessi economici più o meno confessabili, mi pare ce ne sia abbastanza per ipotizzare che il “giro del fumo” sia finalizzato ad attribuire al “bio” la maggior parte (se non tutta) la “torta” dei finanziamenti comunitari previsti dalla PAC post 2020. La lettura del “Bioreport 2017-18” recentemente pubblicato a cura di Mipaaft, CREA e RRN evidenzia (pagg.23-25) che le aziende “bio” fondano sul contributo pubblico e non sui proventi della produzione gran parte della loro redditività. Che esista un nesso tra la mobilitazione del mondo “bio” e la definizione della prossima riforma PAC appare confermato anche da altri elementi. 
Un indizio a supporto di tale ipotesi emerge dalla recente presentazione alla Camera dei Deputati di alcune mozioni sull’uso dei prodotti fitosanitari in agricoltura. Tra le varie mozioni (alcune seccamente “proibizioniste”, anche se tecnicamente confuse, altre più articolate) va rimarcata quella del PD, che al punto 3 degli “impegna il Governo” fa esplicito riferimento alla nuova PAC, nei cui piani strategici nazionali chiede di “…inserire misure incentivanti ed una maggiore corresponsione a sostegno….e la promozione dell’agricoltura biologica”. 
Va inoltre rilevato come in tutti i documenti del mondo “ambientalista” viene reiterata la frase ricorrente e modale per cui “…l’agricoltura biologica è l’unica sostenibile in Europa”. Frase destituita di fondamento tecnico (in un contesto di risorse limitate i sistemi a bassa efficienza produttiva sono generalmente quelli meno sostenibili), ma non casuale. Infatti nelle bozze della nuova PAC quello che era il “pagamento di base” viene ora ridenominato “pagamento di base per la sostenibilità”. Certo“a pensar male si fa peccato….”, come diceva quel tale. Ma il sospetto che certi “ambientalisti” puntino, sulla base di questa ben orchestrata mistificazione (e forse con manzoniana “pelosità”), a portarsi a casa tutto “il malloppo” della PAC post 2020 non è del tutto peregrino. In subordine è probabile che puntino ad accaparrarsi i fondi attualmente destinati alle misure 10.1 (integrata) e 10.3 (conservativa) degli attuali PSR, che forse non a caso vengono attaccate da alcuni “ambientalisti” ad ogni piè sospinto. 
E’ appena il caso di rilevare le incongruenze in cui incorrono peraltro i sostenitori di queste posizioni. Ne cito un paio su tutte: 

  1. a pag.43 del “Bioreport 2017-18” vengono forniti i dati su superfici a seminativi bio (in aumento) e produzione di sementi biologiche certificate (a trend calante): un dato che sembra dimostrare la bassa produttività e redditività laddove il bio è fatto davvero (come appunto dovrebbe essere in ambito sementiero), e che dovrebbe “smontare”, se letto attentamente, le osservazioni degli “ambientalisti” circa le autorizzazioni di prodotti fitosanitari in deroga ex art. 53:  
  2. nella citata mozione PD sui fitosanitari si rileva (punto 5 delle premesse) un consumo di prodotti fitosanitari in Italia di 125 milioni di chili (125mila tonn.), mentre nel “Bioreport 2017-18” (di cui confesso di non aver capito la tabella di pag. 45 in cui si identifica una percentuale prossima al 50% di prodotti “non consentiti” che sarebbero utilizzati nel biologico .?!.) si dichiara l’impiego di 30.573 tonn. di prodotti fitosanitari in agricoltura biologica: in altre parole il “bio” occupa il 14,5% della SAU (a prescindere dalle osservazioni sull’effettiva destinazione produttiva di tale superficie), ma consuma il 24,5% dei prodotti fitosanitari impiegati in Italia!!! 
Siccome non sono settario, rilevo che il parametro quantitativo è alquanto generico ed andrebbe forse opportunamente ponderato: ma certo non depone a favore della pretesa ed apodittica “sostenibilità” del biologico propugnata da qualcuno. 
Non è il caso di dilungarsi oltre. Appare tuttavia opportuno che il “gruppo dei 300” non cada innanzitutto nella trappola di presentarsi come “contro”. Anche perché non lo è: chi è “contro” l’innovazione, il progresso, la produzione e la ricerca sono proprio i suoi avversari… D’altra parte, in questa fase storica in cui abbondano i “no” (spesso del tutto ingiustificati, irrazionali e privi di fondamento logico), sarebbe il caso di far emergere posizioni propositive ed “a favore” del progresso tecnico-scientifico e di una discussione serena e civile . 
Bisognerà trattenersi dal cadere in polemiche più o meno gratuite, e magari armarsi di francescana pazienza per non replicare alle invettive variamente ingiuriose che in perfetto stile gesuitico-marxista (“calunniate, calunniate, qualcosa resterà…”) pioveranno e già piovono addosso, tra l’altro non facendo molto onore alle persone che un poco squallidamente le pronunciano. 
In ogni caso il “gruppo dei 300” rappresenta una straordinaria opportunità per consentire all’opinione pubblica, alle organizzazioni dei produttori e dei consumatori, ed in ultima analisi ai decisori politici, di ampliare ed approfondire le proprie conoscenze tecnico-scientifiche nel complesso ambito agrario. Nel dibattito in corso starà infine ai politici decidere se avvalersi di professionalità, conoscenze ed esperienze che volontariamente si sono messe a disposizione o preferire la strada del luogo comune ed in ultima analisi della demagogia. Ed assumersene la responsabilità. 




Flavio Barozzi 
Dottore agronomo libero professionista ed imprenditore agricolo, già coordinatore della Commissione di Studio "Agricoltura sostenibile-PSR" dell' ODAF di Milano, è accademico aggregato all' Accademia dei Georgofili di Firenze. Nel dicembre 2016 è stato eletto Presidente della Società Agraria di Lombardia, istituzione accademica e culturale fondata nel 1861.




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