giovedì 3 ottobre 2019

L' ECOLOGIA E' NATA DALL' AGRICOLTURA - INSOSTENIBILITÀ' DELLA VITA DEL CACCIATORE/COGLITORE

di ALBERTO GUIDORZI 



Marshall Sahlins, un antropologo, nel 1972 pubblicava il libro Stone Age Economics e nel 1975 in Francia ne esce un altro dal titolo Âge de pierre, âge d’abondance. 
Sono due libri che contestano, invertendone i termini, il pensiero corrente circa gli inconvenienti delle epoche primitive e le comodità della civiltà industriale. Secondo i due autori i cacciatori-coglitori vivevano una vita con cibo abbondante e meno penosa di quella successiva dei popoli sedentarizzati. Le motivazioni apportate si basavano sul fatto che lavoravano solo qualche ora al giorno ed erano meglio nutriti degli uomini del successivo neolitico, caratterizzati dall’essere divenuti agricoltori e di essersi sedentarizzati. 
Secondo altri antropologi le conseguenze di tali correnti di pensiero fu la nascita del pensiero ecologista che fin dall’inizio reclamava la decrescita ed un ritorno al passato. Non pochi hanno notato la contraddizione insita nelle tesi suesposte: perché mai l’uomo che stava così bene ha deciso di sedentarizzarsi, e, soprattutto, di continuare a restare stanziale per ben 10.000 anni, senza mai pensare di tornare alle origini? Ne dobbiamo dedurre che l’uomo è un perfetto imbecille che ha preferito lavorare di più quando poteva lavorare di meno e stare meglio? 
Le domande e le considerazioni poste sopra trovano una risposta negativa se introduciamo il fatto delle possibilità di perpetuazione nel tempo del modo di vita dei cacciatori-raccoglitori. Ci ha pensato un premio Nobel per l’economia come Douglas North e Robert Paul Thomas a farci notare che i primitivi vivevano da perfetti parassiti in quanto non aggiungevano nulla a ciò che dava la natura, anzi la depredavano visto che si era in assenza del concetto di proprietà. Non si può dimenticare che presto essi incontrarono problemi di decrescita e soprattutto demografici perché dove passavano loro le risorse ben presto scarseggiavano, non per nulla molti scienziati sono propensi a credere che siano colpevoli della sparizione della mega fauna, obbligata a migrare a Nord a causa del ritiro dei ghiacci. 
Sarebbe appunto questa scarsa sostenibilità del cacciare e asportare che ha innescato, secondo altri scienziati, pratiche draconianamente malthusiane, come l’allattamento prolungato delle donne, il consumo di contraccettivi e abortivi, astinenza, guerre e, soprattutto, la messa in atto di pratiche infanticide di routine, al fine di limitare l’aumento demografico. Addirittura certi studi tendono a quantificare l’eliminazione regolare di più del 5% della popolazione per ogni generazione. L’antropologo Joseph Birdsell stima che il tasso di infanticidi durante il pleistocene andasse da un 15 ad un 50% del numero totale delle nascite e le femmine erano le più toccate dall’eliminazione. Su questa situazione sono d’accordo anche chi idealizza l’età dei cacciatori-coglitori in quanto nell’obbligato nomadismo i bambini in giovane età erano d’impedimento. 
In tutto ciò è riassunta l’evidenza della insostenibilità di questo modo di vita, che appunto li obbligava a migrare per rincorrere il cibo. 
L’invenzione dell’agricoltura fu una risposta ecologica agli eccessi di un modo di vivere parassitario. 
Dunque la fraternità emancipatrice delle primitive comunità umane, la loro armonia con la natura sono una favola solo ben raccontata. L’ozio relativo, che caratterizzava queste società umane primitive e libertarie, era solo un modo di sfruttamento insostenibile delle risorse disponibili allo stato selvatico. La contraddizione fu risolta durante il neolitico, età nella quale si situa l’invenzione dell’agricoltura che, principio spesso dimenticato, si fonda sulla proprietà privata vegetale e animale ai fini della domesticazione, della conservazione e della produzione sostenibile. L’uomo non è più solo un consumatore, ma diviene un produttore di ciò che consuma. Ciò lo affranca dallo stato parassitario iniziale e gli permette di riunirsi in comunità più numerose, in quanto chi era dedito ad altre mansioni e non autoproduceva cibo, poteva comunque trovare quest’ultimo in quanto messo a disposizione da chi era dedito all’agricoltura. Si è calcolato che la densità delle comunità di cacciatori-coglitori era generalmente di 0,1 persona per miglio quadrato, facevano eccezione le zone dove la concentrazione delle risorse era maggiore, per contro le prime forme di agricoltura hanno moltiplicato la densità demografica per 40 eliminando contemporaneamente infanticidi e umanizzando la società, anzi ad ascoltare l’antropologo James C. Scott gli agricoltori sedentarizzati hanno conosciuto un tasso di riproduzione senza precedenti. Oggi invece assistiamo ad una seconda disumanizzazione se diamo credito a chi dice che occorre ricorrere alla sterilizzazione o addirittura togliere le cure mediche ai malati di una certa età. In conclusione la proprietà privata, discendente dall’introduzione dell’agricoltura, è un fattore di responsabilizzazione e di conservazione, cioè l’agricoltura con la sua evoluzione innovativa e scientifica è la madre dell’ecologia: quella vera, però, e non quella politica! 

da un articolo di IREF Europe

Alberto Guidorzi
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.



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