mercoledì 29 aprile 2020

PESTE NERA E COVID - 19, OCCASIONI PER DUE RIVOLUZIONI AGRICOLE?

 

di ALBERTO GUIDORZI


La peste in Contea Franca nel Medioevo


Le prime due rivoluzioni agricole

L’agricoltura uscita dal “taglia e brucia” preistorico era stata caratterizzata da una rotazione biennale tra Ager (coltivato) e Saltus (incolto). Nel primo si operava una scarificatura con l’aratro chiodo, mentre nel secondo vi si pascolavano gli animali di giorno e vi si confinavano di notte affinché con le loro deiezioni lo concimassero. Per le credenze di allora i terreni si mettevano a riposo perché si rigenerassero le “forze” del terreno (purtroppo qualcuno oggi lo crede ancora) e potessero ritornare ad “ager”. L’attrezzatura era l’aratro chiodo e i trasporti ed i traini erano fatti da animali da soma e da bovini o addirittura schiavi. Per questo nei testi è denominata fase “AIAL” – Agricoltura ad Incolto e con Attrezzatura Leggera ed è considerata una vera e propria “Rivoluzione Agricola antica” rispetto al “taglie brucia”. Tuttavia per realizzarsi occorsero secoli, se non millenni, e comunque gli studiosi sono concordi nello stabilire che la produzione fosse limitata ai 3-5 q/ha di equivalente cereali. Impiegando 6/7 ettari per ottenerla e limitando la densità della popolazione a massimo 20 abitanti/Kmq. Una maggiore densità demografica la si poteva sostenere solo con maggiore superficie; ecco spiegata l’esigenza espansiva dell’Impero Romano.

La caduta dell’Impero Romano, la disgregazione della sua organizzazione socioeconomica e le successive invasioni barbariche di popoli non dediti all’agricoltura, decretò l’abbandono delle terre (riconquistate dalle foreste e soggette ad impaludamenti) e di conseguenza una generale diminuzione delle produzioni agricole e caduta demografica. Questa situazione si prolungò fin verso l’anno 1000 circa, data anche che gli storici considerano spartiacque tra Alto Medioevo e Basso Medioevo.
Fu appunto con l’alto Medioevo che cominciò a realizzarsi un’altra Rivoluzione Agricola detta appunto Medioevale. Essa fu caratterizzata non tanto da un’evoluzione nella coltivazione dei campi, nella realtà rimase ancora imperniata sulla rotazione biennale tra incolto e coltivato (solo più tardi evolse in triennale), ciò che venne rivoluzionato fu l’attrezzatura agricola utilizzata. Era un’attrezzatura in gran parte  esistente, ciò che mutò fu una più generalizzata e razionale utilizzazione. I tre pilastri furono il carro a ruote, l’aratro versoio e la falce fienaia (anche questa esisteva già, ma il miglioramento della fusione dei metalli la fece divenire più leggera e resistente). È ascrivibile questo periodo l’invenzione dell’erpice e del rullo che servivano a migliorare il letto di semina e la compressione del terreno vicino al seme dopo la semina. L’incolto non fu più solo luogo di pascolo e confinamento degli animali, divenne anche fonte di produzione di foraggi del loro taglio e asporto dei fieni. Infatti gli animali furono confinati in appositi ricoveri durante la stagione autunno-invernale e non dovettero più andare a cercarsi il cibo disperdendo gli escrementi, infatti, con i carri il foraggio veniva trasportato e stipato vicino ai luoghi di ricovero degli animali. In questo modo il letame era quasi tutto recuperato e tramite i carri poteva essere trasportato e distribuito nell’ager. In più, sempre con il carro si potevano trasportare paglie e fogliame morti per usarli come lettime ed aumentare quindi la biomassa concimante. Altra conseguenza fu che la più intensa utilizzazione e raccolta del foraggio liberò della superficie che ospitò un cereale primaverile aggiuntivo e la rotazione divenne triennale; ma questo fu un’acquisizione del XIII-XIV sec. Infatti, gli storici che descrissero questa Rivoluzione, detta AIAP- Agricoltura ad Incolto con Attrezzatura Pesante furono l’inglese Walter de Henley (XIII sec.) che discettò sull’agricoltura nordica e l’italiano Pier de Crescenzi (1233 – 1320) che descrisse il modo migliore per fare agricoltura nelle zone meridionali del continente. Dalla descrizione fatta sopra si evince facilmente che fu una Rivoluzione tipica dei climi temperati, dove esistono due stagioni calde e due stagioni fredde e non tanto dei climi mediterranei dove le stagioni sono meno caratterizzate e dove, ad esempio, i foraggi sono più numerosi in autunno-inverno perché con mesi piovosi. Infatti qui, durante le stagioni secche, si praticava la transumanza. Non dobbiamo neppure dimenticare che in questi secoli si era in epoca di “Optimum climatico” con temperature più elevate, seppure nel XIV sec. si fosse ormai verso la fine di questo periodo caldo. 

In conclusione in cosa consistette questa rivoluzione? 
Si risolse con il raddoppio della produzione di cereali (10 q/ha di cui 6 vernini e 4 primaverili), ma soprattutto prodotti su estensioni dimezzate. L’evoluzione agricola descritta fu accompagnata da una crescita demografica, decresciuta durante le invasioni barbariche e poi frenata da periodi turbolenti, a causa, appunto, della messa in coltura dei terreni prima abbandonati. Tuttavia visto che la realizzazione della rivoluzione di cui si è parlato fu lenta e non omogenea ben presto si ruppe l’equilibrio tra bocche da sfamare in aumento e cibo disponibile e quindi durante la prima metà del 1300 si svilupparono gravi carestie: disastrosa quella del 1315-17 e anche quella del 1346-47 che anticipò di un anno l’avvento della peste. Successivamente la rotazione triennale prese man mano piede e produsse la ricchezza che preparò il Rinascimento

Principali pestilenze della storia

La peste

Il bacino del Mediterraneo aveva già conosciuto un’epidemia di peste, quella Giustinianea del 541 che fu portata ad Alessandria dall’Etiopia e poi arrivò a Costantinopoli (dei 500.000 abitanti ne morirono la metà, in tutto l’Impero, invece, la popolazione si ridusse del 25%). In poco tempo essa si diffuse in tutto il mondo bizantino, concorrendo alla successiva sua crisi. Non potendone individuare le cause si optò per considerarla una punizione divina (un po’ come dicono oggi gli ideologi dell’ecologismo che il COVID-19 è conseguenza di una ribellione della “Natura”, che sta diventando il moderno “dio”). L’epidemia piano piano si calmò, ma per due secoli ricomparve qua e là, finché non se ne parlò di nuovo nel XVI sec. In questa epidemia di peste l’origine fu il Tibet e furono i mongoli dell’Orda d’Oro a diffonderla fino al mar Nero. Qui Genova aveva una colonia a Caffa nella penisola di Crimea. Durante il secondo assedio alla città (1343 prima e 1346-47 poi) i mongoli catapultarono cadaveri morti per peste dentro le mura della città e poi si ritirarono perché decimati dalla peste. Finito l’assedio, dunque, le navi genovesi fecero ritorno in Europa e vi diffusero la peste, prima a Costantinopoli poi a Messina ed infine a Marsiglia, in quanto Genova rifiutò l’attracco alle sue navi infette. In un battibaleno la peste si diffuse in tutta l’Europa. Ricordiamoci che in Europa era in atto la “guerra dei cento anni” e le condizioni erano molto propizie per la diffusione del contagio. Non solo, ma ancora una volta in mancanza dell’individuazione della causa si pensò ad un castigo di Dio e quindi le conseguenti processioni di penitenza divennero cruente, nel senso che si procedeva ad autoflagellazioni a sangue aprendo in questo modo le porte ad ulteriori contagi. Anche in questo caso si era alla ricerca dei colpevoli e quindi si approfittò per incolpare lebbrosi e ebrei di esserne gli untori e perseguitarli. Nessun paese dell’Europa fu risparmiato, salvo qualche eccezione, e la popolazione europea, stimata tra i 70 ed i 90 milioni, diminuì di più di un terzo. Città e campagne si svuotarono. L’agente della peste fu scoperto solo nel 1894 da Alexandre Yersin, da qui il nome di Yersinia pestis assegnato al bacillo che la provoca e che, en-passant, è bene ribadire che trattasi di un perfetto esempio di OGM naturale generato tramite plasmidi. Gli ospiti principali del batterio sono i roditori in particolare il ratto nero (Rattus rattus) che infettano le pulci e queste poi l’uomo. Nel punto di puntura della pulce si forma una necrosi, che si colora di un blu tendente al nero, ecco il perché di peste nera. La peste rimase endemica e si manifesto con cicli di 10-12 anni in varie zone geografiche e per ben altri 3 secoli. La peste si manifestava principalmente sotto tre forme diverse, che a volte potevano anche essere compresenti: peste polmonare: il batterio infetta i polmoni. Questa forma della malattia può trasmettersi da persona a persona attraverso l’aria o gli aerosol di persone infette, da qui il potenziale epidemico che la caratterizzerà; peste bubbonica: è la forma di peste più comune e si manifesta in seguito alla puntura di pulci infette o per contatto diretto tra materiale infetto e lesioni della pelle di una persona. E’ caratterizzata dallo sviluppo di bubboni, ingrossamenti infiammati dei linfonodi, seguiti da febbre, mal di testa, brividi e debolezza. In questa forma la peste non si trasmette da persona a persona; peste setticemica: deriva dalla moltiplicazione della Y. Pestis nel sangue, e può essere una conseguenza di complicazioni delle due forme precedenti. Viene contratta per le stesse cause di quella bubbonica, e non si trasmette da persona a persona. Causa febbre, brividi, dolori addominali, shock e prostrazione, sanguinamenti della pelle e di altri organi, ma non si manifesta con bubboni.  

 
Le rivoluzioni agricole dei tempi moderni 


Il 1600 fu ancora un secolo di numerose pestilenze e nel 1700 si crearono i prodromi della prima rivoluzione agricola dei tempi moderni riassumibile con la famosa rotazione di Norfolk (frumento, rapa foraggera, orzo, erba medica) che con poche variazioni giunse fino a noi. Prima della seconda guerra mondiale era questa la rotazione praticata. Questa rivoluzione è riassumibile così: più foraggio, prediligendo le leguminose fissatrici dell’azoto, più bestiame, più letame. Assistiamo dunque non più ad un riciclo di elementi nutritivi, bensì ad un incremento, seppure limitato all’azoto. Ci volle una Guerra Mondiale perché si rompessero le catene del continuo riciclo di gran parte degli stessi elementi nutritivi che non faceva crescere la produzione agricola (si producevano ancora non più di 10/15 q/ha di frumento) per arrivare a creare i concimi chimici contenenti i tre macroelementi e associarli al miglioramento genetico per poter sfruttare al meglio la potenzialità creata da apporti concimanti esterni. In aggiunta a tutto ciò si trovo la possibilità di proteggere i raccolti dai parassiti tramite i fitofarmaci. Questa è la seconda rivoluzione agricola dei tempi moderni che possiamo definire anche dell’intensificazione agricola.

Ora abbiamo il Coronavirus che coincide con un momento di ripensamento per le derive scaturite da un’intensificazione agricola poco ragionata ed egoistica, ma anche di estrema confusione circa l’accettazione delle innovazioni biotecnologiche in agricoltura. In altri termini si mette in discussione la valenza dell’agricoltura come produttrice di cibo abbondante ed a buon mercato, però, lo si fa in un contesto di una società satolla e iperalimentata che guarda poco a coloro per cui il cibo è ancora un elemento limitante. Mi chiedo: lo sconquasso socioeconomico che stiamo vivendo non modificherà i parametri con cui si è ragionato fino ad ora e non si accetterà una Terza rivoluzione agricola dei tempi moderni basata sui moderni mezzi di miglioramento vegetale? In realtà si sta discutendo tra decrescita, voluta da chi ha la pancia piena, ed una uscita dai mezzi sino ad ora usati per intensificare la produzione, ma preservandone volumi produttivi e li aumenti dove sono carenti. Ancora una volta è il miglioramento genetico che ci viene incontro tramite meccanismi capaci di accrescere la variabilità e la diversità genetica. Il problema che abbiamo di fronte è preservare e sfruttare meglio le potenzialità produttive raggiunte che invece sono frenate da siccità, inadeguato sfruttamento delle sostanze nutritive presenti nel terreno e distruzione della produzione dai parassiti. Fino ad ora l’abbiamo fatto irrigando sempre più, apportando dall’esterno sempre più elementi nutritivi e avvelenando i parassiti, d’ora in poi lo dovremo fare con una vera e propria rivoluzione: coltivando varietà e specie che consumano meno acqua, aumentando il rendimento della nutrizione minerale presente nel terreno e creando resistenze genetiche contro l’attacco dei parassiti. Gli strumenti che fino ad ora abbiamo messo in atto per perseguire questa rivoluzione sono obsoleti, limitati e bisognevoli di tempi troppo lunghi e costosi, per contro, invece, le nuove biotecnologie, come i marcatori molecolari, il fenotipaggio di precisione, l’analisi predittiva, la biotecnologia, CRISPR ed i relativi strumenti numerici possono fornirci più mezzi, più mirati e richiedenti tempi meno lunghi e quindi meno costosi. Attenzione alle “bombe inesplose” presenti in paesi come l’Egitto (…e tutto il Maghreb) che produce a malapena 2 milioni di t di cereali e ne ha bisogno di 13 ogni anno. 



Alberto Guidorzi

Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.



2 commenti:

  1. lessi a suo tempo che uno degli elementi della rivoluzione agricola medievale fu l'invenzione del giogo appoggiato alle "spalle" degli animali, anziché sul collo
    in questo modo potevano trainare con una forza 4 volte superiore perché non rischiavano di soffocare

    ciao
    ANTONIO

    PS. SEMPRE INTERESSANTE E CHIARO

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  2. Grazie Antonio...si fa quel che si può!

    Verissimo quello che dici, per molti sembra una modifica di poco conto, ma ha permesso di arare con l'aratro versoio e far progredire i trasporti a distanza. Una vera e propria rivoluzione in quanto si è sfruttata la fertilità naturale del suolo rimescolando gli elemneti nutritivi nello strato coltivato ed è cominciato a smantellare "il mangiare locale", oggi tanto di moda vista, però, l'abbondanza, mentre a quei tempi si mangiava locale se c'era cibo e si pativa la fame se localmente non ve n'era (pensa se anche oggi si mangiasse solo italiano quanti italiani starebbero a guardare visto che abbiamo bisogno di 100 e produciamo appena 50.

    Per i non esperti di agricoltura e visto che ormai vedere un bovino o u n cavallo da tiro imbracato è una rarità mostro un link che evidenzia bene ai rofani ciò che è avvenuto.

    https://slideplayer.it/slide/524461/1/images/28/Il+nuovo+collare+da+tiro.jpg

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