di ROBERTO FRANCHINI
Foto: Roberto Franchini |
Presentazione generale e introduzione alla prima parte
Il presente lavoro non ha nessuna pretesa di completezza. Per gli approfondimenti si rimanda necessariamente alle vaste opere sull’argomento. Il motivo della stesura di questa pubblicazione è da ricercare nella volontà di tentare un approccio sul miglioramento genetico del frumento in chiave storica, raccogliendo informazioni da autorevoli opere sull’argomento. Non mancheranno però arricchimenti, frutto delle esperienze personali. Il presente lavoro si articola in una parte iniziale di natura introduttiva e da argomenti relativi alla diversità, con cenni di tassonomia e botanica1. Una ulteriore parte sarà dedicata alla filogenesi2 alla struttura genica. Successivamente viene affrontato l’affascinante argomento della domesticazione, accompagnato dalla “rivoluzione copernicana dell’umanità”, che coincide con la nascita dell’agricoltura. Seguirà una rassegna sulle principali attività e scoperte avvenute prima del Novecento, per poi descrivere per sommi capi le numerose attività che hanno contraddistinto lo stesso Novecento. Uno spazio sarà dedicato alla pratica dell’ibridazione, esplorando le varie tecniche e procedure, passando in rassegna i vari metodi di miglioramento genetico che qui definisco “classici”, utilizzati per le specie3. Sarà poi il momento delle biotecnologie che stanno caratterizzando il terzo millennio, passando per le coltivazioni in vitro4. La parte finale sarà invece dedicata alle ultime scoperte e tendenze, per passare poi ad alcune doverose riflessioni di bioetica.
Perché il frumento? Perché la storia del suo miglioramento genetico? Perché questa pianta, a partire dalle sue forme selvatiche ha accompagnato, probabilmente più di ogni altra ed insieme a poche altre, la storia dell’uomo-agricoltore sulla Terra. Adesso però cerchiamo di chiarire subito il primo dubbio: grano o frumento? Sotto il profilo letterario le due parole rappresentano un caso di sinonimia. Nel gergo comune il termine frumento viene usato più frequentemente per indicare la pianta e grano per indicare la granella o gli sfarinati da essa ottenuti (Boggini, Brandolini e Spina, 2023, p. 11). In questo lavoro l’uso sarà piuttosto libero a seconda delle occasioni, cercando comunque di rispettare il principio del gergo comune.
Dalle sue origini il frumento non ha mai diminuito la sua importanza, infatti in tutte le sue forme e varietà dimostra ancora oggi di rappresentare, in termini di sostanza secca, il 19% della produzione agricola globale, al secondo posto dietro al mais con il 24% e prima del riso con il 16%. Tutte le altre coltivazioni presentano valori inferiori. Queste tre colture da sole rappresentano quasi il 60% della produzione mondiale (FAO, 2012). È curioso osservare che si tratta di 3 cereali.
Il primo tra i frumenti ad essere stato coltivato risulta con molta probabilità essere il piccolo farro o farro monococco (Triticum monococcum), circa 10.000 anni fa, partendo dal suo progenitore (Triticum boeoticum), nella zona montagnosa della parte sud orientale della Turchia (Benedettelli et al., 2013, p. 27). Il farro monococco, insieme al farro dicocco (Triticum dicoccum), nella sua forma selvatica dicoccoides rappresenterebbero, in accordo con gli studi genetici e archeologici, le due fra le otto colture che avrebbero dato origine all’agricoltura (Kris Hirst, 2019).
Il frumento assume anche un ruolo nell’immaginario e si erge a simbolo nei vari passi delle opere religiose compresa quella cristiana. Inoltre viene ampiamente richiamato anche dalle religioni politeiste delle grandi civiltà del mondo classico. Questa sacralità ricorrente è testimonianza del ruolo centrale di questa coltura nel cammino dell’umanità.
Più di ogni altra pianta il frumento ha accompagnato la storia dell’uomo, tanto che ancora oggi si erge a simbolo di passato, di semplicità e genuinità. L’iconografia delle spighe e dei campi di grano, riportano immediatamente a memorie e testimonianze di un passato epico, accompagnato a richiami nei confronti della sicurezza alimentare, così lo ritroviamo in numerose rappresentazioni artistiche e come strumento di marketing commerciale mediante l’uso strumentale delle semplici spighe, dei covoni5 delle bighe 6 o di un campo in spigagione ondeggiato dal vento.
Nascita del miglioramento genetico vegetale
La genetica ha ufficialmente avuto inizio nel 1900 quando l’olandese Hugo De Vries7 il tedesco Karl Correns8 e l’austriaco Erich von Tschermak9 riscoprirono e confermarono, indipendentemente l’uno dall’altro, le leggi dell’ereditarietà dei caratteri formulate nel 1865 da Gregor Mendel10 (Gallori, 2018, p. 12). Il termine genetica fu invece coniato nel 1906 da William Bateson11 (Mariani, 2022, p. 11).
Il miglioramento genetico delle piante è iniziato, volendo dare spazio alla libertà di pensiero e di riflessione, nello stesso momento in cui è nata l’agricoltura, mentre come disciplina è stata introdotta ufficialmente solo a partire dal 1982, pertanto, come Miglioramento Genetico delle Piante Agrarie, ha trovato adeguata collocazione nell’ambito degli studi universitari di Scienze Agrarie e di Scienze e Tecnologie Agrarie in tale data (Lorenzetti et al., 1994). Sebbene però comparsa nelle università agrarie a partire dal 1959-60 (Lorenzetti et al., 2021, p. 13). Alla scienza del miglioramento genetico vegetale, va riconosciuto il carattere di scienza applicata alla necessità di risolvere problemi di natura primaria come la nutrizione che spesso è stata ed ancora oggi purtroppo diventa sopravvivenza.
Tutte le scienze prendono le mosse da un profondo desiderio di risolvere, con il fine ultimo più o meno consapevole di poter comprendere le regole che stanno alla base dell’universo e tutto ciò che in esso è contenuto. Tale fine non è solo dettato dalla curiosità, innata nella nostra specie, di capire ma ha sempre avuto come obiettivo quello di poter predire, e quindi guidare, gli eventi in modo da farli avvenire in maniera desiderata, affinché rappresentassero un vantaggio (Pellegrini, 2024).
Questa scienza infatti è stata sempre applicata alla soluzione di problemi reali e primari che l’uomo ha dovuto affrontare nel tempo, dalla sua comparsa fino ai giorni nostri, pertanto diventa legittimo affermare che il miglioramento genetico, sebbene non riconosciuto ufficialmente, nasce nel momento in cui l’uomo ha iniziato ad osservare le piante della stessa specie ed ha notato che vi erano delle differenze anche modeste ma pur sempre delle differenze ed ha quindi separato quelle piante portatrici di tali differenze che erano considerate da lui più vantaggiose. Senza dubbio il problema che ha attraversato tutti i tempi e che ha avuto il maggiore impatto, è stato quello alimentare, inteso come la capacità dell’agricoltura di sfamare tutti gli uomini abitanti il pianeta Terra. Tema peraltro questo, sembra essere tornato di estrema attualità considerando che la popolazione mondiale ha superato gli 8 miliardi.
Altri problemi da risolvere a carico della scienza del miglioramento genetico, sono stati quelli connessi alla necessità di rendere sempre più efficiente il lavoro umano per facilitare tutte le operazioni, pertanto rendere più efficiente ed efficace l’unità di lavoro. Solo molto più tardi sono intervenute altre necessità come quelle legate al progresso e alla qualità del prodotto. Strumenti e intuizioni prima e tecnologie avanzate poi, hanno sempre mantenuto lo stesso spirito: produrre quanto più possibile contraendo quanto più possibile lavoro e input per unità di superficie coltivata. In una ricerca costante legata alla sopravvivenza prima e alla sovranità alimentare – termine di recente conio – più propriamente definita nel passato autarchia, figlia di una politica economica di un non così lontano passato di ideologia nazionalista. Ne sono testimonianza di quanto appena detto il nome di alcune varietà di frumento battezzate in quei tempi ad esempio con i termini di Autonomia e Autarchia. Sarebbe più logico che fossero altri i paesi a parlare di sovranità alimentare, per il nostro paese, tale sovranità può essere raggiunta semplicemente con l’uso e il controllo del corretto uso dell’etichetta, se la vogliamo intendere come il riconoscimento dell’origine della materia prima di un qualsiasi prodotto alimentare.
La conseguenza di questa selezione da parte dell’uomo, è una pressione che nasce da lontano. Pressione di selezione appunto su numerose specie animali e vegetali. Potremmo dire che animali e piante destinate agli usi alimentari – e non solo - hanno subito una doppia selezione: quella apportata dall’uomo e quella apportata dall’ambiente.
Il risultato di questo continuo intervento dell’uomo è sotto gli occhi di tutti, basta saperlo cercare. Si tratta dello sterminato panorama varietale vegetale e le numerose razze animali di cui possiamo disporre. Ciò che con un termine ben preciso viene definito agrobiodiversità. Questa pressione di selezione che è iniziata il giorno in cui è iniziata l’agricoltura e prende il nume di “domesticazione”, continua ancora oggi con modalità chiaramente diverse fino ad arrivare alla manipolazione del genoma, passando dalla pratica dell’ibridazione, dalla mutagenesi12 , dagli ibridi somatici13
, la variazione somaclonale14
, solo per citare i principali. Qualunque tecnica essa sia e qualunque strumento esso sia, il fine ultimo resta sempre il solito: il miglioramento genetico per ottenere un genoma vegetale migliorato.
Questa attività all’inizio lenta e parsimoniosa è proseguita per molto tempo con notevole lentezza fino a buona parte dell’Ottocento. La prima accelerazione è stata quella del Novecento ma il cambio di passo si è avuto nell’ultimo ventennio. Questo sicuramente in termini di tecnologie ma con certezze inferiori in termini di risultati con cause non sempre da attribuire al settore della ricerca.
Il passo all’inizio era lento, sia per mancanza di mezzi sia perché le esigenze dell’uomo erano poche modeste ed essenziali. Adesso la crescita demografica e non solo, impone un’ulteriore accelerazione con i mezzi e le tecnologie disponibili.
Infatti se mettiamo a confronto dati produttivi dell’inizio del Novecento e la fine dello stesso secolo in ambito nazionale o di altri importanti paesi produttori europei, in diversi casi si è assistito ad incrementi produttivi con punte di 10 volte superiori (da 1 tonnellata ad ettaro a 10 tonnellate ad ettaro), oggi desta preoccupazione la sostanziale stagnazione delle rese che si registra a livello globale (Ravaglia, 2021, p. 349). Infatti, per oltre un secolo a livello globale si è assistito ad un incremento della resa media stimata del frumento di circa lo 0,6% annuo (Fischer, 2023, p. 17).
Come già accennato, il primo grande balzo in avanti sul miglioramento genetico del frumento si è avuto quando è stata abbandonata la selezione massale15 e la selezione genealogia (o per linea pura)16 da popolazioni locali e si è iniziato a pensare all’incrocio per ibridazione e alla contestuale introduzione nei programmi di incrocio, di varietà al di fuori del contesto geografico locale o nazionale. Questo metodo iniziato proprio nei primi del Novecento è rimasto più o meno invariato fino ad oggi, anche se affiancato da altri metodi come ad esempio la mutagenesi e da tecniche avanzate di laboratorio grazie anche alle coltivazioni in vitro, di fatto è in grado di subire un vero cambio di passo solo se integrato da un’intelligente e ponderata manipolazione genetica che stenta però a decollare.
Quest’ultima tecnologia risulta ampiamente disponibile a livello nazionale e come tale deve essere presa in seria considerazione, per evitare che un altro importante segmento del miglioramento genetico vegetale continui nell’ormai da anni ampiamente tracciata via della delocalizzazione.
Infatti, altro fenomeno da mettere in evidenza riguarda il fatto che buona parte della ricerca sul miglioramento genetico di questa coltura avviene oltre frontiera. Appare pertanto logico interrogarsi sul perché nel corso del Novecento, in particolare nella prima metà, il nostro paese era leder nel miglioramento genetico del frumento, pertanto esportatore varietale e di conoscenza e come oggi sia passato alla coda del resto del mondo. Ciò non significa che non esistono realtà di tutto rispetto ma rappresentano soprattutto casi isolati e quel deciso investimento pubblico su tale settore rappresenta una memoria del passato.
Il miglioramento genetico e la diversità
Con l’inizio della professione di agricoltore e allevatore, l’uomo è stato l’artefice di un eccezionale fenomeno: quello della graduale costituzione di un patrimonio genetico di dimensioni notevoli che ha attraversato tutto il periodo che va dalla domesticazione fino ad arrivare ai giorni nostri. Fenomeno questo, perlopiù avvenuto praticamente in tutto il mondo. Il risultato di questo fenomeno viene riassunto con il termine di agrobiodiversità ed ha riguardato tutte le specie coltivate (Fig. 1).
Fig. 1. Da sinistra arcobaleno di colori in diverse varietà di zucca. Foto: https://agricoladellemeraviglie. steflor.it/zucca-little-indian-mix-50-semi/. Differenti varietà di frumento e altri cereali. Foto: https://wisesociety.it/alimentazione/varieta-e-valori-alimentari-del-grano/. Il mais in alcune sue forme diverse. Foto: P. Valoti. https://rsr.bio/sperimentazione-mais-2021/. |
È necessario però fare una distinzione fra biodiversità e agrobiodiversità. Quest’ultima nasce lo stesso giorno in cui l’uomo da cacciatore e raccoglitore diventa agricoltore e allevatore. Con tale passaggio l’uomo ha iniziato la sua interferenza con l’ambiente e da quel momento tale interferenza non è mai cessata. L’agrobiodiversità appartiene all’agroecosistema e non all’ecosistema. L’agroecosistema scambia così con l’ecosistema vantaggi (ne sono un esempio gli insetti impollinatori) ma subisce anche danni (come ad esempio le fitopatologie).
La biodiversità invece è quella diversità biologica che ci sarebbe stata se l’uomo, o qualsiasi altra forma vivente intelligente alternativa e interferente, non avesse mai popolato il pianeta Terra, appartiene all’ecosistema. L’uomo ha alterato e modificato gli equilibri naturali per il suo benessere, e l’infinito numero di varietà vegetali coltivate e razze animali allevate, ne sono ampia testimonianza. Tale modifica trova giustificazione nel fatto che l’uomo ha voluto e continua a volerlo ancora oggi, che la natura e l’ambiente siano al suo servizio e che rispondano alle sue esigenze anche quando diventano sempre più pressanti.
In un’accezione positiva, sempre nell’interesse dell’uomo, ecco che però il termine agrobiodiversità acquisisce anche un significato di natura economica, in quanto ricchezza dei territori, non solo economico ma anche culturale di folclore paesaggistico ad alimentare per diventare così “risorsa genetica”.
Tutto questo è avvenuto tramite un processo di continuo miglioramento genetico delle piante coltivate, che consiste non solo nella ricerca dei caratteri desiderabili ma anche la capacità di riunire tutti i possibili caratteri desiderabili, in un unico individuo, pertanto in unica varietà coltivata, ecco che nasce così la cultivar.
Oltre la domesticazione, una concezione più moderna di miglioramento genetico vegetale prevede non solo la spiccata inclinazione nei confronti dell’osservazione del nuovo-positivo ma anche e soprattutto nella capacità di saperli individuare, distinguere per poi isolarli e introdurli quando non presenti in determinate popolazioni o aree geografiche di riferimento. Non solo, risiede anche nella capacità di ricercarne di nuovi e in luoghi diversi e lontani, persino in specie diverse da quella che si vuole migliorare che nel primo caso è stato possibile nel recente passato dall'accorciamento temporale delle distanze e nel secondo caso dall’utilizzo delle biotecnologie.
Una riflessione sul tempo, rispetto all’attività di miglioramento vegetale, è doverosa. La semplice selezione è iniziata circa 10.000 anni fa, l’ibridazione è iniziata circa 100 anni fa; la manipolazione genomica circa 20 anni fa. I risultati rispetto al tempo, sono tutti degni di rispetto in quanto ognuno di questi è stato in grado di sopperire all’esigenze dell’uomo e allo stesso temo l’uomo si è avvalso degli strumenti che disponeva in quel momento.
Se da una parte l’utilizzo delle biotecnologie consente un intervento mirato sul genoma, lascando invariato il resto dello stesso, non possiamo trascurare il più classico meccanismo dell’incrocio che si contraddistingue per il valore indiscutibile ed insostituibile della ricombinazione sia a causa dell’incrocio stesso, sia in abbinamento al processo meiotico, che prevede lo scambio di interi tratti cromosomici. D’altronde il processo evolutivo si è basato sulla ricombinazione e tale processo ha superato tutte le prove, pertanto non può essere messo in discussione. Sì, ma in quanto tempo? In un tempo molto lungo, soprattutto se paragonato ad una generazione umana.
È un tempo finito quello dell’uomo ma non quello dell’umanità, almeno ci piace pensarlo. Nuovi genotipi realizzati da ricercatori ed ibridatori sono stati trasmessi alla generazione di nuovi ricercatori ed ibridatori per arrivare ai giorni nostri.
Certo è, che interrogarsi sull’etica di qualsiasi tecnologia di Modifica Genetica (GM) diventa doveroso. Esprimere opinioni senza ideologismi lo è altrettanto. Prima di farlo dovremmo disporre di dati sui costi benefici derivanti dalle conseguenze e dagli impatti sull’ambiente; sull’uso pesante della chimica per la protezione delle colture dovuta alle resistenze sviluppate dai patogeni; al rischio della graduale sostituzione del patrimonio genetico tradizionale con varietà manipolate con le biotecnologie. Resta il fatto che l’accettazione di prodotti di largo consumo con tali tecnologie segue una coerenza logica con i crescenti bisogni alimentari globali, fatte salve altre idee illuminanti.
Ritengo che non dovremmo mai dimenticarci che, sempre, chiunque, tutte le volte e con qualsiasi mezzo, quando interveniamo sul genoma, andiamo ad interferire sul progetto di vita di una specie e sul progetto della vita più in generale.
Tassonomia e cenni di botanica
La tassonomia, solo apparentemente un incasellamento di tutti gli esseri viventi, è necessaria ad inquadrare a dare identità e appartenenza. Raggruppare per similitudini e tratti comuni tutto il vivente, compreso il regno dei vegetali diventa una sosta di necessario orientamento. Siamo soliti parlare di grano o frumento, in realtà dovremmo parlare di grani o frumenti. Infatti, da un punto di vista prettamente botanico, i due nomi sono associabili a varie forme, incluse in un unico gruppo (genere), a cui il grande naturalista svedese Carlo Linneo ha dato il nome latino di Triticum (Viggiani, 2007, p.2). I grani infatti appartengono al genere, Triticum e all’interno di questo genere troviamo le varie specie e le varie sottospecie, comprese quelle che siamo soliti osservare nelle campagne. Fra le più note, anche perché di largo utilizzo e consumo, troviamo ad esempio il grano tenero, che nella vecchia nomenclatura era classificato come Triticum aestivum e il grano duro, che nella vecchia nomenclatura era classificato come Triticum durum che danno luogo rispettivamente: alla farina utilizzata per il processo di panificazione e per il comparto dolciario e biscottiero; la semola principalmente utilizzata per la pasta. Da non dimenticare che il grano tenero trova vasto utilizzo anche come foraggera e come biomassa per finalità energetiche.
Altro gruppo del quale riscontriamo una risonanza diffusa è quello del farro nelle sue tre forme principali: il farro monococco, detto anche piccolo farro, che nella nomenclatura tradizionale era classificato come Triticum monococcum; il farro dicocco, detto anche farro medio, che nella nomenclatura tradizionale era classificato come Triticum dicoccum; il farro spelta, detto anche farro grande o gran farro, che nella vecchia nomenclatura era classificato come Triticum spelta (Fig. 2). Tutte le categorie di farro non presentano i semi (cariossidi) nudi, come nel caso del grano tenero e del grano duro, ma con le glume saldamente aderenti, pertanto prima del consumo alimentare devono subire un processo di decorticazione.
La seguente classificazione di van Slageren (1994) è la più recente e anche quella attualmente accettata dalla maggior parte degli studiosi. Divide il genere Triticum in tre diverse sezioni: Monococca, Dicoccoidea e Triticum.
Section Monococca Flaksb
Triticum monococcum L. ssp. Monococcum (IN PRECEDENZA INDICATO COME PICCOLO FARRO)
Triticum monococcum L. ssp. aegilopoides (Link) Thell.
Triticum urartu Tumanian ex Gandilyan
Section Dicoccoidea Flaksb
Triticum turgidum ssp. turgidum
Triticum turgidum ssp. carthlicum (Nevski in Kom.) Á.Löve & D.Löve
Triticum turgidum ssp. dicoccum (Schrank ex Schübler) Thell. (IN PRECEDENZA INDICATO COME FARRO MEDIO)
Triticum turgidum ssp. durum (Desf.) Husnot (IN PRECEDENZA INDICATO COME GRANO DURO)
Triticum turgidum ssp. paleocolchicum (Menabde) Á.Löve & D.Löve
Triticum turgidum ssp. polonicum (L.) Thell.
Triticum turgidum ssp. turanicum (Jakubz.) Á.Löve & D.Löve
Triticum turgidum ssp. dicoccoides (Körn. ex Asch. & Graebner) Thell.
Triticum timopheevii (Zhuk.) Zhuk ssp. timopheevii
Triticum timopheevii (Zhuk.) Zhuk ssp. armeniacum (Jakubz.) MacKey
Section Triticum
Triticum aestivum L. ssp. aestivum (IN PRECEDENZA INDICATO COME GRANO TENERO)
Triticum aestivum L. ssp. compactum (Host) MacKey
Triticum aestivum L. ssp. macha (Dekapr. & Menabde) MacKey
Triticum aestivum L. ssp. spelta (L.) Thell. (IN PRECEDENZA INDICATO COME FARRO GRANDE)
Triticum aestivum L. ssp. sphaerococcum (Percival) MacKey
Triticum zhukovskyi Menabde & Ericzjan
Il genere Triticum appartiene alla tribù Triticeae, sottofamiglia Pooideae, famiglia Poaceae, ordine Poales, raggruppamento (o classe) monocotiledoni, divisione angiosperme, superdivisione fanerogame (o spermatofite), gruppo cormofite. La famiglia delle Poacee, che si è evoluta 50-70 milioni di anni fa, rappresenta una recente riclassifica delle più note Graminacee. Il termine Graminacee in uso per raggruppare il grano, tutti i cereali e numerose altre monocotiledoni, risulta ancora oggi estremamente diffuso sia in ambito tecnico sia in ambito scientifico.
“L’ordine delle Poales è composto da un’unica famiglia delle Poaceae comprende circa 8000 specie ed economicamente importantissima. I loro fiori prevalentemente ermafroditi, sono riuniti in spighette e sono racchiusi in glume membranacee derivate dalla modificazione di brattee, bratteole e tepali; in genere sono presenti 3 stami e il polline è tricellulare; l’ovario è pseudomonomero e contiene 1 solo ovulo; durante la maturazione è perlopiù addossato alla parete della nucula (cariosside). Nel frumento le spighette sono isolate con 3-5 fiori con glume ampie e glumelle con o senza ariste” (Pirola et al. 1982 pp. 846,848).
Questa numerosa famiglia è costituita da specie presenti ovunque. Infatti se osserviamo un prato spontaneo ci accorgiamo che ospita un numero considerevole di specie appartenenti a questa famiglia (Fig. 3). Le Poacee o Graminacee sono piante colonizzatrici. Lo è la gramigna, lo sono le numerose essenze che si insediano sulle dune delle coste sabbiose.Per i numerosi ed ulteriori aspetti di botanica e di morfologia del frumento si rimanda ai testi specializzati.