COSA DIRE DEGLI ALTRI AMMENDANTI ORGANICI E COMPOST?
Dopo aver verificato, elementi alla mano, che il letame è largamente insufficiente a ripristinare la fertilità e a mantenere tassi di SO consoni in tutti i campi, Ci rimane da analizzare se il letame può essere integrato da altre biomasse organiche.
Premessa
Anche gli ammendanti organici non letamici derivano da biomasse organiche fotosintetizzate dai vegetali e quindi prioritariamente occorre valutare dove esse crescono. Questa tabella ne dà un esempio:
Tabella 1. Uso del suolo negli Stati Uniti,% del totale (2012, USS ERS per terreni importanti ) |
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Prati, pascoli e pascoli |
29% |
foreste |
28% |
Terreni arabili |
17% |
Strade, parchi, aree industriali, militari, rurali |
14% |
varie |
9% |
Aree urbane |
3% |
·
- Prati e pascoli praticamente non danno biomasse, salvo considerare gli scarti di macellazione degli animali che vi hanno pascolato, che però rappresentano poca cosa.
- Dalle foreste si ricava legname che nelle segherie lascia trucioli di lego e di scorza che però sono sempre più spesso riutilizzati molto più economicamente per pannelli isolanti. Pertanto anche qui vi è ben poco di disponibile per ammendare dei terreni.
- I terreni arabili sono la maggior fonte di biomassa organica, ma una gran parte ci è restituita sotto forma di letame zootecnico perché su questi terreni si coltivano foraggi e lettimi per gli animali da allevamento e che già abbiamo esaminato. Un’altra parte serve per alimentare l’uomo che ne restituisce una parte con le feci ed in parte con i rifiuti organici. Tuttavia anche qui la prima restituzione non è possibile usarla appunto perché nelle fogne è mescolata ad altre sostanze molto inquinanti; per quanto riguarda la seconda sono solo eventualmente reperibili in esigue quantità e non in modo generalizzato su tutto il territorio, anche questi poi sono concentrati geograficamente e costosi nel trasporto. (Ndt: con l’agricoltura di mio nonno gli asporti dovuti all’alimentazione della famiglia contadina erano tutti recuperati perché feci ed urine umane erano riportate nei terreni dell’azienda, tuttavia anche con ciò non è che si producesse di più).
- Da parchi e giardini si ricavano biomasse che ora sono riciclate in compost solo che le quantità, data l’esigua superficie e la scarsa produttività massiva, sono anch’essi poca cosa.
Ma il compostaggio è così neutro in merito alle emissioni di GES?
Sembra proprio di no se osserviamo quanti mostra e ci dice Savage:
Figura 1 - Emissioni di gas a effetto serra da attività di compostaggio
Importanza delle colture da sovescio.
Il sovescio in intercoltura ha una sua validità solo per aumentare la sostanza organica, non certo per l’apporto di nutrienti visto che è una partita di giro. Se invece parliamo di terreni in rotazione in coltura principale da sovesciare alla fine del ciclo, allora occorre mettere in conto che per produrre queste biomasse devo sottrarre superfici alla produzione di derrate vendibili. Tuttavia, se semino leguminose l’azoto accumulato dai noduli radicali è un apporto extra (pari a 40 unità di N/ha/anno); se poi compro all’esterno queste biomasse per fare il compost si affaccia il solito ritornello che vanno a vantaggio di chi le può economicamente usare, ma non di chi le ha prodotte, non potendole usare nei suoi terreni perché troppo lontane. Comunque il letame resta l’ammendante più importante in termini di quantità, ma è largamente insufficiente, salvo che non si tratti di mantenere tassi di SO bassi (1%) o in terreni dove le perdite sono molto basse. In conclusione anche se prendiamo in considerazione il migliore dei casi in cui il foraggio sia trasformato in letame e che questo sia restituito al campo che l’ha prodotto non ci è possibile rifare del tutto la fertilità a causa di perdite e incorporazione nell’animale che ha prodotto il letame e tanto meno mantenere o accrescere la SO di quel campo; dunque la durabilità di questo tipo di agricoltura va farsi benedire.
ANNOTAZIONE PERSONALE: diverso sarebbe se facessimo come mio nonno, cioè sul letame spargeva il concime sintetico, noi oggi possiamo fare meglio perché siamo capaci di fare un bilancio dei bisogni della coltura successiva e non scostarci da questi bisogni. In questo modo raggiungiamo più traguardi: fissiamo l’azoto sintetico a pronta azione nelle SO e così non viene dilavato e nello stesso tempo possiamo ridurre la massa letamica volta al ripristino della fertilità e distribuirla quindi su più superficie per concorrere meglio al mantenimento della SO dei terreni, Però permettetemi di dare qualche numero in modo che ci si renda conto della realtà anche di quei tempi. La produzione di letame di un bovino adulto è di circa 12 t/anno, ma per produrlo deve mangiare 7,2 q/anno di foraggio e mangimi. Occorrerebbero quindi tre animali di 6 q per avere sufficiente letame per neppure ripristinare la fertilità di un ettaro con le produzioni dell’epoca di mio nonno, solo che questi 3 animali mangiano 22 q di foraggio/anno che sono una grossa quantità da produrre e che toglie superficie per produrre altre derrate alimentari. Infatti all’epoca di mio nonno in una rotazione di 5 anni con tre anni di medicai; 1/5 della superficie era destinato a frumento (il pane era l’alimento base), l’altro quinto era appannaggio delle sarchiate (granoturco per la polenta da mangiare, bietola da portare in zuccherificio o canapa da farne tiglio da vendere ai canapifici: queste due, assieme ai proventi della stalla, costituivano la tesoreria aziendale). I restanti 3/5 erano a medica, solo che per mantenere tre capi di bestiame adulto non erano sufficienti ed allora si sfogliavano gli olmi si tagliavano i pennacchi del granoturco, si raccoglievano i colletti e le foglie delle bietole e si falciavano gli incolti fino all’ultimo filo d’erba. Al bestiame da rimonta improduttivo erano destinato solo i resti non mangiati dei foraggi dati al bestiame produttivo, il fieno più scarso e gli stocchi di granoturco e le paglie. Questa io l’ho sempre chiamata “buona agricoltura” e non vi è bisogno di inventarne un’altra o di ricorrere a forze extraterrestri, al limite vi sono solo da inserire le innovazioni (tutte nessuna esclusa) che man mano la ricerca agronomica e scientifica ci ha fornito! La tabella 2 riporta gli elementi che rientrano nella buona agricoltura o meglio nella buona gestione dei terreni).
Tabella 2. Pratiche che aiutano a mantenere il tasso di SO del suolo (modificata da Magdoff et Van Es 2009) |
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Pratica o effetto della gestione |
Riduce tasso perdita di SO |
Aumenta la SO |
Riduzione della erosione |
X |
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Colture pluriannuali in rotazione |
X |
X |
Colture di copertura |
X |
X |
Colture ad alto livello di residui |
X |
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Residui di coltura non asportati |
X |
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Riduzione della lavorazione del suolo |
X |
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Apporto di ammendanti organici |
X |
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.
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