sabato 12 novembre 2022

LEZIONI DAI TEMPI DEL “CONCORDATO GRANDINE”: RICERCA E FORMAZIONE PER LA STIMA DEI DANNI ALLE COLTURE

 di VITTORIO ROSSI




Il “Centro sperimentale nazionale per lo studio dei danni da avversità atmosferiche in agricoltura” fu istituito presso la facoltà di Agraria, Istituto di Patologia vegetale, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con sede a Piacenza, a metà degli anni ’70, grazie al supporto del Concordato Italiano grandine, e sotto la direzione del prof. Giuseppe Fogliani. Le attività del Centro proseguirono poi per circa vent’anni, anche con la collaborazione del CIAG (Consorzio Italiano Assicuratori Grandine), e il sottoscritto prese la direzione del Centro a seguito della collocazione a riposo del prof. Fogliani
La decisione dell’ Autorità garante della concorrenza e del mercato, che portò di fatto alla cessazione delle attività del CIAG, condusse poi, in pochi anni, alla chiusura del Centro, dato che le singole Compagnie di assicurazione decisero di non proseguire a finanziarne le attività. Il Centro, con le sue attività di ricerca e sperimentazione, formazione e aggiornamento, e divulgazione ha costituito un elemento chiave dei grandi progressi che la tecnica estimativa per i danni alle colture agrarie da avversità atmosferiche ha fatto registrare fra la metà degli anni ’70 e ’90.

Le attività di ricerca e sperimentazione
 
Per le attività di ricerca e sperimentazione, il Centro si avvaleva del personale di ricerca dell’Istituto di Patologia vegetale e di un Comitato scientifico indipendente costituito da eminenti scienziati. Vogliamo qui ricordare, fra gli altri, i professori Gilberto Govi e Antonio Graniti (da annoverare fra i padri fondatori della moderna patologia vegetale), il prof. Gian Tommaso Scarascia Mugnozza (presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane e per molti anni rettore dell'Università degli Studi della Tuscia di Viterbo) e il prof. Giampiero Maracchi (fondatore e direttore dell'Istituto di Biometeorologia del Cnr, fondatore e presidente del Centro di Studi per l'applicazione dell'Informatica in Agricoltura, fondatore e già direttore del Regional Meteorological Training Centre della World Meteorological Organisation di Ginevra). 
Lo scopo principale delle ricerche era quello di studiare le relazioni quantitative fra gravità dei danni da avversità atmosferiche, fase di sviluppo delle colture e perdite produttive, sia quantitative che qualitative. Lavoravamo, per esempio, su: danni da grandine per defogliazione su mais, riso, soia e vite; danni da grandine per perdita di piante in fase precoce in soia; danni da vento (allettamento) in grano e mais; danni da basse temperature invernali e primaverili su vite; danni da basse temperature primaverili (gelate) sui fiori di melo; danni da gelate tardive su grano. 
I risultati di questa ricerche hanno posto le basi conoscitive e, in molti casi, le metodologie operative per la quantificazione dei danni, con strumenti (grafici e tabelle) che sono ancor oggi in uso. I metodi di ricerca, in ogni caso, prevedevano anche la comprensione dei processi fisiologici all’origine dei danni produttivi; studiavamo, per esempio, i processi riparativi dei frutti danneggiati dalla grandine o, con l’ausilio di uno dei primi strumenti portatili di misura degli scambi gassosi, l’attività fotosintetica delle foglie lesionate dalla grandine. Tutte queste ricerche erano molto innovative, dato che, in quegli anni, le coperture assicurative erano quasi esclusivamente limitate ai danni da grandine.

Le attività di formazione e aggiornamento 

Allo scopo di formare in modo adeguato i giovani periti, e di mantenere costantemente aggiornati i periti più esperti, venivano organizzati, tutti gli anni, numerosi corsi di formazione e aggiornamento, come pure seminari in campo. I corsi di formazione per i neo-periti, della durata di 5 giornate nel periodo invernale, avevano come sede principale l’Università di Piacenza o altre sedi universitarie «consociate». I corsi di aggiornamento e approfondimento per periti già esperti e ispettori, della durata di 2/3 giorni, erano organizzati nel corso della stagione primaverile-estiva ed erano itineranti per l’intero Paese. Essi prevedevano sia una parte in aula che esercitazioni su colture grandine per approfondire e uniformare i metodi di stima. 
I moduli didattici prevedevano un ampio ambito di materie di base, con lezioni tenute da docenti dall’accademia su fisiologia, agronomia e tecniche colturali, varietà, entomologia e patologia vegetale, comprese le avversità atmosferiche. Erano previsti anche interventi di docenti appartenenti al corpo peritale, relativi alle problematiche e ai metodi di stima. Questo ampio coinvolgimento dell’accademia sull’intero territorio nazionale generò anche un notevole aumento dell’interesse di docenti e ricercatori universitari per i temi delle avversità atmosferiche, prima considerati di minore importanza. Come detto, queste attività avevano come scopo principale la formazione e l’aggiornamento del corpo peritale che, a quei tempi, era unico. Il fatto che i periti delle diverse Compagnie costituissero un corpo peritale unico e che le perizie fossero effettuate da squadre “miste” richiese un grande sforzo per uniformare le conoscenze e le metodiche, ma ebbe effetti molto positivi sulla tecnicità e imparzialità delle perizie. La presenza del Centro di ricerca indusse la Facoltà di agraria di Piacenza a istituire un corso universitario di “Fitopatie da stress ambientali”, inserito nel Corso di laurea in Scienze agrarie. Il corso, di cui fui docente fin dalla sua ideazione, trattava la grandine, gli stress termici, l’eccesso di pioggia e il vento dal punto di vista della meteorologia, della fisiologia del danno, dei fattori predisponenti, dei danni alle colture e relative stime, della difesa attiva e passiva.

Le attività di divulgazione 

Tutte le attività di ricerca e formazione trovavano un momento di sintesi sulla rivista IL PONTE, che ha rappresentato un fondamentale elemento di diffusione delle conoscenze all’interno del corpo peritale. Furono editi 23 numeri, con cadenza annuale. Ogni numero presentava approfondimenti su temi di interesse generale redatti dai maggiori esperti dello specifico settore, un resoconto delle attività di formazione e aggiornamento, schede staccabili su argomenti di didattica, compresi i metodi di stima, resoconti delle attività e dei risultati della ricerca. Nella sezione “La voce dei periti”, venivano poi illustrati casi particolari affrontati nel corso della stagione, che potevano essere di esempio e aiuto per l’intero corpo peritale. Oltre alla pubblicazione sulla rivista IL PONTE, le attività di ricerca venivano poi pubblicate, con un approccio più scientifico, sulle riviste del settore.

Ricerca e formazione per le nuove sfide

Con la chiusura del Centro tutte le attività sono cessate. La ricerca è per lo più rimasta in capo all’iniziativa degli atenei o di altre strutture di ricerca, che si sono però dedicate alle avversità atmosferiche solo saltuariamente, per lo più in occasioni di eventi catastrofici, molto gravi e diffusi. Le attività formative sono state assunte, principalmente, dalle singole Compagnie e per lo più rivolte ai giovani in ingresso, oppure organizzate (non con regolarità) da centri di formazione professionale. Nondimeno, il settore richiede continui sforzi e investimenti in ricerca e sviluppo. Per esempio, per quanto concerne i danni da grandine, andrebbero attentamente valutati gli effetti del rinnovamento varietale e delle tecniche colturali sulle «vecchie» procedure di stima dei danni.
Anche le coperture multirischio per cause abiotiche richiedono nuovi studi sulle relazioni che esistono fra gravità del danno, stato della coltura e perdita produttiva; ciò anche alla luce di un metodo corretto di tariffazione, che non può basarsi solo sulla frequenza di accadimento di un evento meteorico potenzialmente dannoso. A mero titolo di esempio, i danni causati da una gelata primaverile su vite non dipendono solo dalla temperatura minima raggiunta, ma dalla dinamica delle temperature (sbalzo termico, durata delle temperature di danno, ecc.), dalla fase fenologica della pianta al momento della gelata (che dipende ovviamente dalla varietà, ma anche da fattori agronomici) e da altri elementi di conduzione del vigneto (gestione e contenuto idrico del suolo in primis). Questi aspetti sono particolarmente importanti quando si parla di assicurazioni parametriche, in quanto la relazione fra oracolo (che deve essere misurato in modo oggettivo) e danno deve essere chiara e diretta. Nell’esempio di cui sopra, quindi, la temperatura minima dell’aria non può essere considerata come oracolo per una copertura assicurativa parametrica dei danni da gelo su vite. Inoltre, nuove sfide si affacciano per il settore, anche stimolate dalle nuove tecnologie dell’agricoltura 4.0 e dalle esigenze del mercato, che richiedono un ampliamento delle coperture assicurative anche al di là delle avversità atmosferiche, anche con approcci di tipo parametrico. Tutti questi temi - che certo sono interessanti e, per certi versi, “affascinanti” - possono però essere affrontati solo con un rigoroso approccio scientifico, che richiede studi e ricerche, e successivamente un adeguato trasferimento delle conoscenze al mondo tecnico. Molto si parla di copertura assicurative per i danni causati da fattori biotici, quali artropodi dannosi e malattie. Per stimare questi danni produttivi si prospetta l’impiego dei modelli matematici di crescita delle piante e di ripartizione dei fotosintetati all’interno delle piante stesse, opportunamente integrati con moduli che riguardano patogeni e parassiti. 
Qui entriamo però in un settore quasi inesplorato. Esistono infatti scarse conoscenze di base sui meccanismi di danno, senza le quali è impossibile stimare un danno produttivo in modo corretto. I patogeni, per esempio, danneggiano le colture attraverso vari meccanismi, che vanno dalla perdita di superfice fogliare fotosintetizzante, alla sottrazione dei fotosintetati e alla alterazione dei loro flussi (source-sink) all’interno della pianta, alla senescenza precoce dei tessuti, all’aumento della traspirazione, solo per citarne alcuni. Se ne deduce che non è sufficiente integrare un modello di crescita colturale con un modello di sviluppo della superfice fogliare ammalata (come viene spesso proposto). Basti pensare che la risposta fotosintetica di una foglia non decresce linearmente all’aumento della superfice fogliare ammalata, e che questa risposta è specifica per ogni specie vegetale e ciascun patogeno. L’integrazione di modelli è certo una soluzione interessante e praticabile, ma l’integrazione deve considerare i meccanismi di danno e le loro dinamiche; e questo richiede ricerca e nuove conoscenze. Un altro settore in forte fermento è quello del rilevamento dei danni tramite la variazione di indici vegetazionali (il più famoso è l’NDVI, acronimo di Normalized Difference Vegetation Index) che possono essere calcolati da immagini digitali catturate, a varie lunghezze d’onda, da sensori remoti montati su satelliti, velivoli o droni. Per certo le variazioni di NDVI possono dare indicazioni circa la riduzione delle biomasse vegetali a seguito di eventi dannosi, e possono essere utili per delimitare le aree geografiche danneggiate oppure le variazioni di intensità dell’evento all’interno di una coltura. 
Ma molta strada occorre ancora percorrere per usare i dati di NDVI (o altri indici) per stimare la gravità dei danni produttivi in un singolo appezzamento; e questa strada è la strada della ricerca. Ultimo, ma non meno importante, il tema della formazione e dell’aggiornamento dei corpi peritali delle varie Compagnie di assicurazione. Un tema, questo, sempre più pressante, sia per la dinamicità del settore sia per il fatto che gli attuali percorsi di studio superiore e universitario non solo dedicano pochissimo tempo alla materia estimativa e in particolare alla stima dei danni da avversità biotiche e abiotiche, ma sempre meno forniscono competenze sulle materie alla base delle procedure di stima, quali fisiologia vegetale, agronomia, patologie vegetale ed entomologia. Se è vero che non esiste più un corpo peritale unico, è altrettanto vero che una preparazione uniforme dei periti non potrebbe che portare vantaggi a tutti il comparto; perizie tecnicamente valide, eque e uniformi portano benefici alle Compagnie e agli assicurati, senza dimenticare la società nel suo complesso che contribuisce alle coperture assicurative agevolate. Anche in questo, le nuove tecnologie dell’informatica porrebbero essere di grande aiuto, per esempio tramite la formazione a distanza tramite piattaforme e corsi di e-learning.

Conclusioni

Alla luce dell’esperienza maturata ai tempi del Centro di ricerca di Piacenza, come pure delle successive evoluzioni tecnico-scientifiche e di mercato, possiamo concludere che:

1) manca oggi un’attività di ricerca scientifica continuativa e coordinata, che possa far fronte alle attuali esigenze del comparto; 
2) il ricorso alle tecnologie 4.0 non è sufficiente, se le tecnologie non sono supportate dalle necessarie conoscenze biologiche;
3) manca anche un’attività di formazione e aggiornamento dei periti, ancor più necessaria oggi in relazione ai percorsi di studio nelle scuole superiori e nelle università;
4) il fatto che il corpo peritale non sia più unico, non preclude il fatto che la formazione possa essere erogata in modo uniforme e trasversale. 

Intervento convegno FIDAF: Estimo Scienza del metodo




Vittorio Rossi


E' Professore ordinario al Dipartimento di Scienze delle produzioni vegetali sostenibili (DI.PRO.VE.S.). Università Cattolica del Sacro cuore, Piacenza.

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