sabato 1 aprile 2023

DA STRAMPELLI A BORLAUG: MUTAGENESI ALLA CASACCIA

di LUIGI ROSSI


Un Campo gamma


Riassunto

La varietà di grano duro Creso ha determinato una vera e propria rivoluzione cerealicola in Italia. Nata presso il Centro Ricerche del CNEN (ora ENEA) della Casaccia, grazie alle conoscenze sugli effetti delle radiazioni sulle piante, fu ottenuta irradiando con raggi X la varietà Cappelli, incrociata con una varietà fornita dal CIMMYT. Iscritta nel 1974 nel Registro Nazionale delle varietà di grano duro, in pochi anni diventò la varietà più coltivata in Italia, facendo raddoppiare la produzione italiana di grano duro a parità di superficie. La varietà incontrò subito il favore degli agricoltori, che, impiegando moderne tecniche agronomiche di coltivazione, raggiunsero in Italia Centrale produzioni uguali o superiori a quelle del frumento tenero. L’agricoltore fu favorevolmente impressionato dall’aspetto della granella di Creso, dalla adattabilità di tale varietà e dalla positiva risposta ad ogni miglioramento della tecnica colturale. Le industrie di trasformazione (mugnai e pastai) accettarono e apprezzarono la qualità tecnologica del prodotto che risultò assai elevata sia per le caratteristiche genetiche sia per le migliorate tecniche colturali. Il Creso si diffuse rapidamente in tutta l’Italia Centrale (Lazio, Toscana e Marche in particolare), nelle zone Adriatiche del Nord a clima non rigidamente continentale e nel Mezzogiorno.

Summary 

From Strampelli to Borlaug: mutagenesis at Casaccia The Creso variety of durum wheat led to a real cereal revolution in Italy. Created at the Casaccia Research Center of CNEN (now ENEA), thanks to the knowledge on the effects of radiation on plants, it was obtained by irradiating the Cappelli variety with X-rays, crossing it with a variety supplied by CIMMYT. Registered in 1974 in the National Register of durum wheat varieties, in a few years it became the most cultivated variety in Italy, doubling the Italian production of durum wheat for the same surface area. The variety immediately met the favor of the farmers who, using modern agronomic cultivation techniques, achieved production equal to or greater than that of common wheat in central Italy. The farmer was favorably impressed by the appearance of the Creso grain, by the adaptability of this variety and by the positive response to any improvement in the cultivation technique. The processing industries (millers and pasta makers) accepted and appreciated the technological quality of the product which turned out to be very high both for the genetic characteristics and for the improved cultivation techniques. Creso spread rapidly throughout Central Italy (Lazio, Tuscany and Marche in particular), in the Northern Adriatic areas with a non-rigidly continental climate and in the South.


PREMESSA 

Nuovi approcci della genetica, basati sull’impiego di mutageni (chimici e radiazioni), erano stati sviluppati in USA, Germania, Svezia, Norvegia, Francia ed India. In seguito alla disponibilità di una sorgente di Cobalto-60 (200 Curie) offerta dalla Commissione americana USAEC, fu progettato il «campo gamma» e si avviò (1956) un programma di radio-genetica sui frumenti (grano duro Cappelli e tenero Brescia) presso l’Università di Pisa, guidato dal Prof. Francesco D’Amato. Nel 1957 il Prof. Vincenzo Caglioti fu incaricato dal CNRN - organismo attivato nel 1952 dal quale nel 1960 nacque il CNEN - di presiedere una Commissione consultiva (segretario scientifico Gian Tommaso Scarascia Mugnozza) per sviluppare in Italia programmi di Applicazioni delle Scienze Nucleari in Agricoltura. Il Laboratorio fu localizzato nel Centro di Ricerche Nucleari Casaccia del CNEN, ora ENEA. 

Gian Tommaso Scarascia-Mugnozza fu la mente e il motore di quella straordinaria fase storica, così ricca e variegata nell’avvio e nello sviluppo, nonché nella fase evolutiva che seguì, ampiamente documentata. Avendo partecipato alla Conferenza «Peaceful Uses of Atomic Energy» del 1955, in qualità di Consigliere tecnico della delegazione italiana, Scarascia indicò chiaramente (Scarascia, 1956) quattro linee di ricerca di interesse per l’agricoltura italiana e si impegnò per il loro sviluppo nel Laboratorio Applicazioni delle Radiazioni in Casaccia: – l’induzione di mutazioni per migliorare le colture agrarie; – un nuovo mezzo di lotta biologica: la tecnica degli insetti sterilizzati con radiazione gamma; – l’applicazione del metodo dei radioisotopi per tracciare il fertilizzante marcato dato al terreno ed assorbito dalla pianta; – l’irradiazione di alcuni prodotti agricoli (patate, agli e cipolle) per prevenire la germogliazione e di altri prodotti (frutta fresca e secca). Scarascia-Mugnozza integrò fra loro attività con indirizzi specifici di ricerca di base e applicata, mirati anche alla soluzione di problemi dell’agricoltura italiana, spesso in collaborazione con Istituzioni di ricerca italiane ed estere e con il settore privato.


Figura 1 - Casaccia, 1960. Dal granaio al laboratorio (Foto B. Donini).

L’integrazione tra la ricerca di base e lo sviluppo delle applicazioni, la collaborazione con le altre attività di ricerca del Centro Casaccia, con il mondo produttivo, particolarmente interessato alle novità provenienti dalla scienza e dalla tecnologia, apparvero subito vincenti. Alcuni punti di forza del Laboratorio. Scarascia-Mugnozza inserì le attività di ricerca in agricoltura all’interno di un Centro di ricerca multidisciplinare, quale era quello della Casaccia, in cui erano presenti ricercatori con competenze in fisica, elettronica, ingegneria, chimica, biologia, geologia, dosimetria e medicina. Integrò fra loro attività con indirizzi specifici di ricerca di base e applicata, mirati anche alla soluzione di problemi dell’agricoltura italiana, spesso in collaborazione con Istituzioni di ricerca italiane ed estere e con il settore privato. L’integrazione tra la ricerca di base e lo sviluppo delle applicazioni e la collaborazione con le altre attività di ricerca del Centro Casaccia e con il mondo produttivo. 

Queste due caratteristiche anticipatrici per l’epoca, la scelta di settori di ricerca innovativi e l’assunzione di laureati provenienti da varie Istituzioni italiane (ben 13 in Scienze agrarie) e di tecnici diplomati qualificati, diedero vita a un «gruppo di ricerca» altamente motivato ed a un laboratorio di eccellenza. Il «gruppo di ricerca» veniva regolarmente incentivato e stimolato grazie al continuo aggiornamento scientifico (partecipazione a corsi, congressi scientifici e visite presso Istituti di ricerca all’estero) nelle diverse aree di interesse: mutagenesi applicata al miglioramento delle piante agrarie; tecnica dell’insetto sterile per la lotta contro la mosca della frutta; tecnica dei radioisotopi (N, P, K) usati come traccianti per lo studio della fisiologia e la nutrizione delle piante; tecnica della radio-conservazione delle derrate alimentari per il prolungamento della vita di mercato, particolarmente di frutta e ortaggi e della radioconservazione di granaglie e altri prodotti agricoli. Il «gruppo di ricerca» aveva anche il continuo supporto scientifico da parte di consulenti italiani ed internazionali e disponeva della strumentazione e dei necessari materiali tecnici di avanguardia. L’approccio multidisciplinare della ricerca e la integrazione delle competenze – di agronomo, cito-genetista, genetista, statistico, biochimico ecc. – necessarie alla soluzione dei problemi affrontati, vennero collegati alla valorizzazione dei risultati della ricerca in tutti i suoi momenti: nella fase di sviluppo delle conoscenze di base utili al progresso della scienza (confronto e partecipazione a convegni, seminari) nella messa a punto di tecniche e metodologie innovative e infine nella diffusione dei risultati e valutazione dell’impatto economico.

IMPIANTI E STRUMENTAZIONI 

Il Laboratorio fu dotato fin dall’inizio di impianti e strumentazioni di avanguardia. – Il «campo gamma» della Casaccia, realizzato nel 1960, comprendeva un appezzamento di terreno a pianta circolare, della superficie di circa 6.000 m2 , circondato da un terrapieno e con al centro una unità di irraggiamento, sorgente di Co-60 (al 1960, 180 Curie). Fu l’unico impianto del genere in Europa, dopo quello di Brookhaven negli Stati Uniti e di Omihia in Giappone. Il campo gamma è stato indispensabile strumento per ricerche di base ed applicate, per studiare gli effetti delle radiazioni a livello citologico, genetico, fisiologico, evoluzionistico ed ambientale e per valutare la radiosensibilità di molte specie botaniche (circa 600) e di oltre 30 piante agrarie (cereali, orticole, piante da fiore, conifere, piante da frutto ed ornamentali). – La «cella gamma», sorgente di Co-60 di 120 Curie, posta al centro di una camera «schermata» e munita di un sistema di controllo automatico di temperatura ed illuminazione, veniva utilizzata per gli irraggiamenti di semi e piante.- L’impianto industriale “Agrigamma” con sorgente di Cobalto-60 (150 Curie) per l’irraggiamento di derrate alimentari, pupe di insetti, confezioni di fiori, cavi elettrici, opere d’arte ecc. - Una serie di serre e camere di crescita moderne. - I campi sperimentali interni al Centro, indispensabili per l’allevamento, la selezione e la valutazione agronomica delle linee in selezione di grani, orzi, pomodori, piselli, peperoni e piante da frutto. - Un impianto per l’allevamento massale di mosca della frutta (Ceratitis capitata) che aveva la capacità di allevare settimanalmente 15 milioni di insetti che, dopo la radiosterilizzazione, venivano rilasciati su aree infestate (esperimenti pilota di Capri, Procida e Pantelleria). - Il citofotometro, un eccezionale mezzo di avanguardia ed unico (allora) in Italia per la ricerca e la sperimentazione, che consentì di acquisire informazioni preziose sulla biologia delle cellule (singole o popolazioni), sul contenuto in DNA dei nuclei di singole cellule ed in stadi diversi del ciclo mitotico, sulla possibilità di separare cellule singole «marcate» in una popolazione cellulare.


Figura 2 - Campo gamma, panorama di piante esposte all’irraggiamento cronico, 1967. 

Il Laboratorio per le Applicazioni in Agricoltura del CNEN partecipò dal 1961 alle attività del Gruppo di lavoro del CNR per il miglioramento genetico delle piante coltivate, nonché, in particolare, al “Progetto collegiale di prove agronomiche sul “frumento duro”, inserendo anche i primi mutanti di Senatore Cappelli, Russello, Garigliano, Azizia, Grifoni. Nel 1963 iniziò un Programma di collaborazione scientifica “Mutation Breeding Concact Group” finanziato dall’Euratom. Al Programma partecipavano diversi Istituti europei dei paesi Francia, Belgio, Germania e Olanda (Istituto per le Applicazioni dell’Energia Nucleare in Agricoltura di Wageningen). Altri Paesi (Francia, Belgio, Germania) si aggiunsero successivamente sulle tematiche oggetto di collaborazione e vertevano su: (i) messa a punto delle metodologie di irraggiamento, (ii) radiosensibilità delle piante superiori, (iii) radiogenetica e studi sistematici su cariotipi di frumento duro, compresi i mutanti. Il modus operandi di questi Gruppi di ricerca, che annualmente si riunivano perconfrontare i risultati, ha anticipato i «network» dei programmi della UE, a partire dagli anni 1990. Il Laboratorio partecipò nel 1965 ad un programma sul frumento duro guidato dalla Divisione congiunta FAO/IAEA che comprendeva dodici paesi del Bacino del Mediterraneo. Nelle prove agronomiche furono messe a confronto due varietà standard (Cappelli e Capeiti 8), due varietà locali (per ciascun paese) ed alcuni mutanti di Cappelli e Garigliano ottenuti alla Casaccia.


Figura 3 - Il primo laboratorio di Genetica Vegetale, 1960.

CONSULENTI E OSPITI 

Il Professor Francesco D’Amato (Ordinario di Genetica dell’Università di Pisa) ha dato un decisivo apporto sia all’impostazione delle attività svolte nel Laboratorio Applicazioni in Agricoltura del CNEN, sia alla supervisione scientifica dei progetti ed alla qualità della ricerca. Il Prof. A. Gustafsson (Svalov, Svezia) è stato il punto di riferimento sulle ricerche di mutagenesi applicate al «breeding». Altri consulenti di diverse discipline sono stati: dr. H. Gaul, Università di Monaco Baviera esperto di Genetica vegetale; dr. Gunnar Armstrong, Università di Stoccolma, esperto in dosimetria e fisica delle particelle. Dr. L. Ehrenberg, Università di Stoccolma, esperto in chimica delle radiazioni, dr. M.S. Swaminathan, India (esperto di genetica e mutagenesi); dr. C. Borojevic, Jugoslavia, dr S. Bogyo della FAO. Gli esperimenti, inizialmente volti a conoscere la radiosensibilità delle piante, furono ben presto indirizzati allo studio degli effetti genetici delle radiazioni (Radiogenetica), e a determinare, successivamente, mutazioni utili nelle piante agrarie (mutagenesi)). Altri esperti e collaboratori: Dr.ssa S. Avanzi (Università di Pisa), dr. D. de Zeeuw (Wageningen, Olanda), dr. B. Decourtye, Francia, dr. A. Nybon e S. Blixt, Svezia, dr. E.A. Favret, Argentina, dr. A. Micke e dr. G. Lundquist della Divisione congiunta FAO/IAEA di Vienna.


LE QUATTRO LINEE DI RICERCA SOPRA DESCRITTE 

Si svilupparono molto rapidamente sotto la direzione di Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, nel Laboratorio Applicazione delle Radiazioni in Agricoltura del Centro Ricerche Nucleari della Casaccia, e, dalla fine degli anni ‘50, hanno rappresentato un filo conduttore per le sue attività nel corso degli anni. In particolare, quella di ricerca scientifica relativa all’induzione di mutazioni per il miglioramento di specie di interesse agrario (mutagenesi e miglioramento genetico) si è ampliata e trasformata nel tempo, includendo nuove tecnologie (colture in vitro e ingegneria genetica). L’azione mutagenica dei raggi X e di alcuni agenti chimici su diversi organismi, tra cui molte piante superiori, era stata scoperta a partire dagli anni ‘20. La possibilità di indurre nelle piante modificazioni del patrimonio genetico e di ottenere in tal modo un ampliamento della relativa variabilità rappresentava per i genetisti uno strumento importantissimo nel miglioramento genetico di specie di interesse agrario. Obiettivo concreto del Laboratorio fu quello di avvalersi della mutagenesi per indurre variabilità genetica utile al miglioramento di piante autogame (cereali, orticole) ed aumentare la frequenza di mutazioni somatiche in piante a propagazione vegetativa (fruttiferi e piante da fiore). A tal fine furono acquisite molte conoscenze: 

i) confronto tra agenti mutageni chimici (metansolfonato, dietil-solfato, etilenimmina, ecc.) e fisici (raggi X, raggi gamma Co-60, neutroni termici, neutroni veloci); 

ii) efficacia dei trattamenti combinati (chimico e fisico) rispetto al singolo trattamento nella induzione di mutazioni, nelle frequenze e spettro; 

iii) definizione delle dosi/concentrazioni più appropriate per le varie specie trattate (grano duro, pisello, ciliegio, pesco, vite, olivo ecc.); 

iv) confronto sull’efficacia dei mutageni chimici di indurre mutazioni geniche rispetto ai neutroni termici e veloci che inducono mutazioni cromosomiche; 

v) confronto fra irraggiamento acuto ed irraggiamento cronico nell’indurre mutazioni. Quest’ultimo (effettuato nel campo gamma) è stato prezioso per gli studi di radiosensibilità delle piante a livello fisiologico e genetico e per aumentare la frequenza di mutazioni somatiche in piante a propagazione vegetativa. 

Altri aspetti metodologici furono messi a punto e riguardavano il materiale da trattare: seme, gemma, calli (organi pluricellulari) e zigote, gameti, cellula uovo, polline, microspore, e singole cellule in vitro. In particolare, fu stabilito che il trattamento di un organismo pluricellulare conduceva alla formazione di un tessuto chimerico (costituito da cellule mutate e normali). Si osservò, inoltre, che nel tessuto chimerico a seguito delle divisioni cellulari, si creava una competizione tra cellule mutate e normali “selezione diplontica”. L’ampiezza del settore mutato nelle piante M1 (prima generazione) dipendeva, infatti, dal numero delle cellule iniziali che davano origine alla pianta/spiga e l’analisi «topografica» sulle spighe principali e secondarie delle piante M2 (seconda generazione) consentì di stabilire il numero di «cellule iniziali» presenti nel seme irradiato. Queste scoperte hanno consentito al Laboratorio Applicazioni, in stretta connessione con il CNEN/ENEA Casaccia, di adottare corretti metodi di selezione nelle generazioni M2 e M3 (selezione spiga, selezione pianta, selezione massale), permettendo di ottenere una maggiore efficacia di risultati. In quegli anni fu anche dimostrato che il trattamento mutageno applicato ad una singola cellula (es. polline, microspora) non conduce alla formazione della chimera; e questo metodo ha consentito di poter selezionare con maggiore efficienza le mutazioni indotte nella seconda generazione.


IL MIGLIORAMENTO GENETICO DEL GRANO DURO 

Fu solo nella prima metà del secolo scorso che l’utilizzazione di base del frumento delle due specie (duro e tenero) si differenziò nettamente: il primo per la pastificazione e il secondo per la panificazione (Bozzini et al., 1998). Negli anni ‘60 del secolo il fabbisogno annuo di grano duro nei paesi della CEE si aggirava sui 40 milioni di quintali. Il 50% circa di tale fabbisogno era soddisfatto con la produzione italiana, il 30% importato dal Canada, USA e Argentina e il 20 % sostituito dal granito di frumento tenero. La produzione italiana su circa 1,3 milioni ettari era intorno a 17 milioni di quintali e la resa media era di 12 q/ha. Le previsioni per le necessità del 1975, sempre per la CEE, erano di 50 milioni di quintali. Il prezzo era di circa 10.000 £/q, comprensiva di una integrazione di 2172 £/q, mentre quello del grano tenero era di circa 7.000 £/q. Questa differenza di prezzo stimolò anche la ricerca di nuovi areali di coltura. Infatti allora il grano duro era coltivato nelle aree meridionali e principalmente in Puglia e Sicilia. Le sementi per più del 90% non erano certificate. 

Tutte le varietà allora coltivate erano caratterizzate da taglia molto alta (140-180 cm), che le rendeva suscettibili all’ allettamento e ai conseguenti danni produttivi. I breeder che operavano sul frumento duro in quegli anni erano: Maliani a Roma, Barbieri e Deidda in Sardegna; De Cillis, Casale e Ballatore in Sicilia; Iannelli, Grifoni e Dionigi in Puglia; Rusmini in Lombardia. Le varietà maggiormente coltivate erano Capeiti 8 e Patrizio 6 (di Casale), Trinacria (di Ballatore), Maristella e Nuragus (di Barbieri e Deidda), ISA 1 e Appulo (di Dionigi) con anche il Senatore Cappelli (rilasciato nel 1915 da Strampelli). Per la Casaccia la scelta di lavorare sul grano duro non fu casuale fu, infatti, dettata dalle condizioni sopra esposte e da almeno altri due fatti: uno di carattere scientifico in quanto pianta poliploide e quindi di interesse per gli studi di mutagenesi; l’altra di carattere pratico in quanto specie fino a quel momento non molto attenzionata dai miglioratori vegetali. Per superare tale grave problema dell’allettamento, che non consentiva di adottare alcuna innovazione (l’uso dei fertilizzanti azotati aumentava notevolmente il rischio!), si erano ricercate possibili fonti genetiche di bassa taglia nelle varie collezioni mondiali, oppure tentato di abbassare la taglia delle singole varietà incrociandole con quelle di grano tenero, con una riduzione della qualità pastificatoria. 

Alla Casaccia per i trattamenti mutageni furono scelte le cultivar Cappelli, Garigliano, Capeiti 8, Grifoni, Russello e si puntò subito all’ottenimento di piante a taglia bassa resistenti all’allettamento. Si considerarono le varie mutazioni indotte: - morfologiche (riduzione di taglia, culmo rigido, foglie senza cera, spiga sferococcoide, tipo elimoide, vavilovoide ecc.; - per pigmentazione (foglie giallo-verdi, antocianiche, glume antocianiche, ecc.; - cromosomiche (traslocazioni, delezioni, duplicazioni, trisomia, ecc.); - gametiche (asinapsis, disinapsis, sterilità maschile, ecc.). Si ottennero migliaia di nuove linee, alcune di interesse scientifico, botanico, e evoluzionistico, altre di potenziale impiego per il miglioramento genetico. Diverse varietà di frumento duro furono ottenute nel programma di mutagenesi: due linee mutate di Cappelli (Castelporziano (CpB132), Castelfusano (CpC48)), una linea di Grifoni (Castedelmonte Gra145), una di Garigliano (Castelnuovo). Alcuni resistenti all’allettamento furono iscritti nel Registro Nazionale delle Varietà nel 1969: Castelfusano e Castelporziano. Esse furono le prime varietà di grano duro, a taglia significativamente ridotta, ad essere coltivati. Per migliorare le caratteristiche dei mutanti e per trasferire i «caratteri mutati» in nuove varietà, fu realizzato un ampio programma di incroci, con successive selezioni genetiche per caratteristiche di interesse agronomico (resistenza all’allettamento, precocità, resistenza alle malattie, produttività) e per caratteristiche qualitative della granella (peso ettolitrico, proteine, capacità pastificatoria).

Figura 4 - Primi mutanti di grano duro. Scarascia Mugnozza con Gianfranco Franco allora direttore del Centro, 1966 

IL CRESO: ESEMPIO DI INNOVAZIONE NEL SISTEMA AGROALIMENTARE 

Dal programma di incroci si derivarono numerose varietà e tra queste tre furono scelte per l’iscrizione al Registro delle Varietà: Tito, Mida e Creso. In un secondo tempo si preferì lasciare iscritto solo Creso. Creso è il nome che fu dato alla linea FB55, che apparve subito emergere con piante basse e vigorose, spighe molto fertili, resistente alle malattie e in particolare alle ruggini. Creso ha determinato una vera e propria rivoluzione cerealicola in Italia. Deriva dall’incrocio di ((Yt54N10-B) Cp2-63)Tc2)* x CpB144**) e cioè di una varietà*del Centro Internacional de mejoramiento de maiz y trigo – Messico (CIMMYT) e di una linea ottenuta irradiando con raggi X la varietà Senatore Cappelli . Creso fu iscritta nel 1974 da Alessandro Bozzini e Carlo Mosconi nel Registro Nazionale delle varietà e in pochi anni diventò la varietà di grano duro più coltivata in Italia anche per le sue caratteristiche qualitative.  La varietà incontrò subito il favore degli agricoltori più preparati che, impiegando moderne tecniche agronomiche di coltivazione, raggiunsero in Italia centrale produzioni uguali o superiori a quelle del frumento tenero. 

L’agricoltore fu favorevolmente impressionato dall’aspetto della granella di Creso, dalla adattabilità di tale varietà e dalla positiva risposta ad ogni miglioramento della tecnica colturale. Le industrie di trasformazione (mugnai e pastai) accettarono e apprezzarono la qualità tecnologica del prodotto che risultò assai elevata sia per le caratteristiche genetiche sia per le migliorate tecniche colturali. Il Creso si diffuse rapidamente in tutta l’Italia Centrale (Lazio, Toscana e Marche in particolare), nelle zone Adriatiche del Nord a clima non rigidamente continentale e nel Mezzogiorno (Rossi, 2010). Nel 1983 il Creso era coltivato su 26.971 ha in Emilia Romagna, 31.573 ha in Toscana, 81.782 ha nelle Marche, 46.538 ha nel Lazio, 38.754 nelle Puglie, 22.900 ha in Basilicata, 22.118 in Calabria, 60.000 ha in Sicilia, 9.739 ha in Sardegna, 9.299 ha in Campania, 16.300 ha in Molise, 11.949 ha in Abruzzi, 3.810 in Umbria, 755 ha in Veneto, 788 ha in Lombardia, e anche 8 ha in Friuli Venezia Giulia.


Figura 5 e 6 - La varietà Creso e uno dei suoi costitutori: Alessandro Bozzini. 

Per meglio comprendere la rapida ed eccezionale diffusione del Creso si può evidenziare che tale varietà aveva raggiunto nel 1984 il 58,3% di tutto il seme certificato di grano duro in Italia. È importante sottolineare che mentre all’inizio degli anni 70 la percentuale di seme certificato, sul totale di quello impiegato per la semina, non superava il 12%, nel 1983 tale percentuale raggiungeva il 29%. Una eccezionale azione di promozione sul settore sementiero era stata pertanto esercitata dal Creso che nel 1983 registrava un quantitativo di ben 578.613 quintali di semente certificata dall’ENSE (Ente Nazionale Sementi Elette). È qui da ricordare che la promozione del settore sementiero è la chiave di volta per il passaggio da una coltura povera e primitiva a una coltura ricca e moderna ed è espressione di un sistema produttivo efficiente e capace di gestire anche altre innovazioni genetiche. L’utilizzo della varietà Creso, accompagnato da una sempre più appropriata tecnica colturale, ha significato per l’agricoltore evidenti benefici economici in qualche modo calcolabili. Non è certo facile valutare l’impatto di una innovazione, specialmente se agronomica, in termini economici. Tuttavia il contributo dovuto all’introduzione di una nuova varietà risulta forse più chiaramente definibile di quello di altri fattori (fertilizzanti, erbicidi, fitofarmaci, lavorazione del terreno).

Ciò anche perché, una volta noti le superfici coperte, le produzioni ottenute e il prezzo del prodotto finito, le conclusioni sono rapportabili a semplici operazioni aritmetiche. Si può pertanto affermare che il Creso rappresenta il frutto di una intima connessione tra ricerca scientifica e apparato produttivo. Stimolata da quest’ultimo, infatti, l’innovazione si è realizzata per merito delle ricerche in un Centro di alto livello scientifico. Grazie al fenomeno Creso si è potuto provare come l’innovazione genetica costituisca un fattore estremamente importante di sviluppo e promozione del sistema agro-industriale, il quale ha dimostrato in tale occasione buone capacità di gestire l’innovazione quando essa è valida e richiesta dal mercato, pur in presenza di carenze strutturali e organizzative. Di queste, anzi, l’innovazione può funzionare da “sistema di rilevamento”, ma può anche, come sperabile, suggerire le vie e le azioni più idonee al loro superamento. (L. Rossi, 1984) Ancora oggi, dopo oltre 46 anni dalla sua registrazione, il Creso è coltivato in Italia su un’area superiore al 10% della superficie totale a grano duro. Il Creso è stato utilizzato nei programmi di miglioramento genetico del grano duro anche in molti paesi, dalla Cina all’Australia, all’Argentina, agli USA, al Canada e presso i grandi Centri di Ricerca Internazionali (CIMMYT, ICARDA, CSIRO ecc.). È impossibile enumerare tutte le varietà di grano duro che sono derivate dal Creso; è certo che buona parte della relativa produzione mondiale è ottenuta con varietà da esso derivate.

CONCLUSIONI 

La tradizionale mutagenesi, in cui vengono indotte mutazioni in modo casuale, ha consentito di ampliare la biodiversità naturale, di accumulare una serie di dati utili per conoscere la genetica delle piante e la loro naturale evoluzione. Essa ha portato alla costituzione di almeno 2.000 varietà coltivate nel mondo. Tale mutagenesi è tuttora riconosciuta come strumento prezioso per aumentare la variabilità genetica di una specie e per conseguire specifici obiettivi di miglioramento genetico. Senza la ricerca e l’innovazione, la competitività del grano duro nei confronti di quello tenero sarebbe venuta meno. La varietà Creso è stata determinante per una vera e propria rivoluzione cerealicola in Italia, che ha fatto crescere tutta la coltura del grano duro. Da sinonimo di povertà economica, agronomica, varietale, quella del grano duro è diventata una coltura ad alta tecnologia: seme certificato, tecniche agronomiche accurate; l’industria molitoria e quella pastaria sono diventate le prime del mondo. La stima dell’incremento di produzione dovuta alle intrinseche caratteristiche di maggior produttività del Creso rispetto alle varietà preesistenti, è passata dai 600 mila quintali del 1976 ai 3,7 milioni di quintali del 1984. 

Poiché il Creso ha sostituito il grano tenero in molte aree del Centro-Nord, l’incremento globale in produzione nazionale di frumento duro è stato ben maggiore e tale da annullare, a quel tempo, il grosso deficit dell’Italia per tale prodotto. Complessivamente gli agricoltori italiani hanno prodotto nei primi dieci anni di diffusione circa 100 milioni di quintali di granella di Creso. L’incremento in produzione lorda vendibile supera nel 1982 e 1983 i 100 miliardi di lire annui. L’ENEA quale Ente costitutore della suddetta varietà, incassa le royalties dalle industrie sementiere concessionarie; nel 1983 tale introito è stato di 130 milioni di lire. Fino al 1982 l’ENEA ha incassato complessivamente 180 milioni di lire di royalties. Si tratta di una cifra significativa, pure irrisoria rispetto sia al quantitativo certificato e commercializzato (578.613 quintali nel solo 1983), sia ai benefici economici diretti e indiretti determinati in Italia. Se il Creso è avvantaggiato dall’adozione di moderne tecniche agronomiche, si può altresì aggiungere che esso ha agito come veicolo di promozione tecnologica (e non solo tecnologica) presso le aziende agricole, le Società sementiere e le industrie di trasformazione. A fronte dei vantaggi ottenuti dalla varietà Creso occorre considerare che essa, come tutte quelle a taglia bassa ed alta produttività, richiede diserbanti, concimi chimici, tecniche colturali moderne, e rappresenta un esempio di forte intensificazione colturale. Il caso del grano, il cui miglioramento è stato avviato sulla base di una concezione technology intensive, ci fa rendere conto come, anche in relazione alle problematiche ambientali, si sia resa necessaria una evoluzione verso una concezione di tipo knowledge intensive, comprensiva di molti altri aspetti, oltre a quello agronomico. 

RINGRAZIAMENTI 

Sono stato fortunato a venire alla Casaccia, grazie all’esame con Angelo Bianchi. Devo questo lavoro al Prof. Basilio Donini, che ha saputo gestire il grande interesse per il grano duro, la rapida diffusione del Creso e, ancor prima, l’induzione di mutazioni su aspetti evolutivi, botanici e fisiologici.


BIBLIOGRAFIA CITATA E DI APPROFONDIMENTO

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Articolo tratto dagli atti del convegno organizzato dal MULSA 

"Gregor Mendel il mendelismo e la genetica agraria".


Luigi Rossi 

Già Direttore del Dipartimento BIOTEC dell'ENEA e Docente universitario. E' stato  Presidente Fidaf - Federazione Italiana Dottori in Agraria e Forestale.

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