DAL LIBERO MERCATO ALL'ANTIGLOBALIZZAZIONE, L'ETICA DELLA RICHEZZA IN UN MONDO IN CRISI
di GIANFRANCO PELLEGRINI e ROBERTO FRANCHINI
“Il protezionismo è nel caso migliore una
vite senza fine che mai smette di girare”
Friedrich Engels
Torna ad essere di estrema attualità un antico dilemma: protezionismo o libero scambio? Limitare le importazioni, tipicamente attraverso i dazi e incentivare fiscalmente le esportazioni è un comportamento tipicamente protezionista. Con i dazi si aumentano i prezzi dei prodotti stranieri che determinano così una preferenza economica dei prodotti interni rispetto a quelli provenienti dagli altri paesi.
Il protezionismo acquisisce una logica quando è necessario proteggersi da qualcosa, come per esempio dal dumping, parola anglosassone che indica una concorrenza di tipo sleale che si verifica quando ed esempio in alti paesi i costi di produzione sono bassi non perché gli imprenditori sono più capaci ma perché si utilizza lavoro senza regole o minorile (dumping sociale), o quando si scaricano i rifiuti direttamente in mare (dumping ambientale), per citarne solo alcuni esempi.
Etica ed economia: un rapporto controverso
L’etica in economia affonda le sue radici nel passato. Con il mercantilismo (XVI-XVIII secolo), le teorie economiche miravano a rafforzare lo Stato, accumulando oro e argento grazie a esportazioni superiori alle importazioni. Il protezionismo era visto come uno strumento naturale e necessario.
La critica al mercantilismo arrivò con i fisiocratici (seconda metà del Settecento), pensatori economici francesi come Quesnay e Turgot, che sostenevano che la vera ricchezza di una nazione risiedesse nella terra e nell’agricoltura. Essi rifiutavano il protezionismo esasperato e promuovevano il laissez-faire.
Con Adam Smith (1723–1790), padre dell'economia classica, la critica al protezionismo si fece ancora più forte. Nacque la celebre metafora della "mano invisibile": il libero mercato, lasciato agire senza interferenze, avrebbe generato spontaneamente benessere collettivo. Nel Novecento, John Maynard Keynes (1883–1946), fondatore della macroeconomia, teorizzò la necessità dell’intervento statale, specialmente in tempi di crisi. Sebbene sostenesse il commercio internazionale come base per la civiltà e la prosperità globale, definì i dazi come politiche del "rubamazzo", ovvero misure con cui uno Stato cerca di guadagnare a scapito di un altro. Un esempio attuale? L’imposizione di dazi doganali da parte degli Stati Uniti su prodotti europei di alta qualità, come i formaggi e i salumi italiani: una misura che danneggia produttori europei ma anche i consumatori americani, che si trovano costretti a pagare di più o a rinunciare alla qualità.
Il dibattito divenne concreto e drammatico durante la Grande Depressione del 1929. Il presidente repubblicano Herbert Hoover, restio all’intervento statale, adottò misure protezionistiche come il Tariff Act (Smoot-Hawley Tariff) del 1930, che alzò drasticamente i dazi, innescando una guerra commerciale. Il risultato fu un ulteriore collasso del commercio mondiale.
Il suo successore, il democratico Franklin Delano Roosevelt, imboccò una strada opposta. Con il New Deal, favorì gli investimenti pubblici e regolò l’economia, sostenendo anche il settore agricolo. Roosevelt capì che la cooperazione e l’apertura, non l’isolamento, erano la vera via per uscire dalla crisi. Il contrasto tra Hoover e Roosevelt è paradigmatico: il protezionismo può aggravare una crisi anziché risolverla.
Il tema dell’etica dovrebbe tornare ad essere attuale. Riteniamo sia difficile “pensare etico” per un uomo che per tutta la vita ha messo al centro di tutte le sue attenzioni il potere e il business. Fin qui nessun problema, ognuno ha le sue priorità, il problema si presenta quando certi profili si ritrovano al vertice di una superpotenza. Ma il peggio arriva quando a tutto questo si aggiunge un super-ego smisurato che trova piacere nel creare tenzioni e si convince che da lui tutto dipende, ecco che allora si sconfina nel patologico. Uomini nati lontano dalla concezione del bene diffuso ma piuttosto cresciuti nell’educazione della sopraffazione e nella logica predatoria e del ricatto.
Il capolavoro che sta edificando, chi dichiarava che avrebbe messo fine a tutti i conflitti bellici in essere, è di aver scatenato una vera guerra economica mondiale. È stato capace di creare un clima in cui tutti i leader dei paesi si osservano con sospetto e le tensioni sono percepite a tutti i livelli. Le tensioni geopolitiche recenti, già in essere da qualche anno, ci offrono un altro esempio emblematico di blocco commerciale. La guerra in Ucraina, oltre alla tragedia umana, ha avuto effetti devastanti sui mercati globali del grano, dell’olio di semi e dei fertilizzanti. Quando il commercio si interrompe, la fame aumenta. Similmente, il conflitto tra Israele e la Striscia di Gaza ha compromesso l’approvvigionamento di cibo, acqua e medicinali per milioni di persone. In entrambi i casi, si dimostra che la pace è la condizione necessaria per un commercio giusto e sicuro.
La voce degli addetti ai lavori
È paradossale che oggi alcuni Stati privi di sistemi di tutela, regole sanitarie e disciplinari di qualità pretendano di imporre dazi a chi invece si distingue per trasparenza ed eccellenza. L'Unione Europea, spesso criticata per l’eccesso di regolamentazione, ha costruito un sistema di sicurezza alimentare senza eguali. Ma proprio questa ricchezza normativa rischia di diventare una barriera all’esportazione.
Anche dalle dichiarazioni delle maggiori organizzazioni professionali agricole si legge sconcerto. Secondo la Coldiretti allo svantaggio di perdita di competitività dei prodotti agroalimentari italiani si aggiunge l’aumento dei prezzi nei confronti dei consumatori americani incentivando la richiesta dei prodotti “travestiti” da prodotti italiani appropriandosi sei dei suoni che da sempre li hanno identificati come ad esempio il “parmesan”, il “romano cheese”, la “mortadela”, la “pasta Napoli”, solo per citarne alcuni.
Confagricoltura stima una perdita di fatturato per il settore agroalimentare di 3 miliardi e propone un piano europeo di sostegno agli investimenti in agricoltura per rafforzare la competitività delle imprese del settore.
Per la Confederazione Italiana Agricoltori è necessario rafforzare il ruolo dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO), condividendo le stesse preoccupazioni delle altre organizzazioni. Il Ministero dell’Agricoltura, Sovranità Alimentare e Foreste, nella persona del ministro Francesco Lollobrigida, i dazi sono fonte di duplice ingiustizia: dei produttori italiani e dei consumatori americani. Il ministro garantisce risorse di sostegno al mondo agricolo in piena aderenza con le preoccupazioni espresse e dalle istanze promosse dalle tre organizzazioni professionali.
Etica, commercio e cooperazione
In un mondo dove i poveri d’Occidente sono spesso obesi non per eccesso di cibo, ma per la cattiva qualità di ciò che mangiano, e dove i ricchi pagano per mangiare meno ma meglio, appare assurdo che gli Stati Uniti impongano dazi ai prodotti alimentari di qualità provenienti dall’Italia e dall’Europa. Al contrario, dovrebbero favorire l’importazione di prodotti sani e regolamentati come mezzo per migliorare la salute pubblica. Se in America l’obesità è una piaga sociale, e in Europa vige una cultura alimentare ancora basata su qualità e stagionalità, la scelta etica dovrebbe essere evidente. Detto questo l’America dovrebbe favorire l’ingresso dei nostri prodotti garantendo ai sui cittadini una aspettativa di vita come quella dell’Italia e dell’Europa che supera di quasi 10 anni quella americana, determinata in buona parte dal comportamento e dallo stile alimentare adottato.Tutti questi dati e riflessioni ci portano a un punto cruciale:il commercio internazionale, se ben regolato, è uno strumento di pace e cooperazione tra i popoli.
Conclusioni: la leva morale dei dazi
I dazi non sono solo strumenti economici: sono leve politiche ed etiche. Possono alimentare il conflitto, l’isolamento e la disuguaglianza. Ma, se usati con saggezza, possono anche premiare le produzioni etiche, scoraggiare lo sfruttamento e favorire scambi giusti.
Oggi più che mai, in un mondo ferito dalle guerre e minacciato dal cambiamento climatico, dobbiamo ripensare il commercio come una forma di alleanza, non di dominio.
Serve un nuovo patto globale, in cui i dazi non siano muri, ma strumenti per costruire ponti. Dove il rispetto per il lavoro, l’ambiente e la salute diventi il metro con cui giudicare e regolare gli scambi internazionali.
Gianfranco Pellegrini
Dott. in "Scienze Agrarie" abilitato all'esercizio della professione, laurea conseguita presso l'Università degli Studi di Firenze. Ha svolto la sua attività prevalentemente nei settori dell'orticoltura, floricoltura, con particolare riguardo al reparto economico. Docente con incarichi temporanei, presso scuole superiori, di Chimica e Tecnologie Chimiche industriali, Economia Aziendale e Economia Politica. Docente di ruolo di Matematica e Scienze. Da svariati anni si interessa di Genetica e miglioramento genetico di specie di interesse agrario con particolare riguardo agli aspetti matematici/statistici.
Roberto Franchini
Dottore in "Scienze Agrarie" abilitato all'esercizio della professione, dottore in "scienza della Politica e dei Processi Decisionale", master universitario di II° livello in "leadership ed Analisi Strategica", conseguiti presso l'Università degli Studi di Firenze. Ha svolto la sua attività prevalentemente nei settori dell'orticoltura, floricoltura, viticoltura, enologia, cerealicoltura, progettazione del verde, distribuzione alimentare. Per numerosi anni ha svolto incarichi organizzativi, di coordinamento e dirigenziali presso la Coldiretti e presso il Consorzio Agrario di Firenze, assumendo incarichi di direzione di federazioni, responsabile del credito e della finanza di impresa e di responsabile di stabilimento per la realizzazione dei mangimi per uso zootecnico. Attualmente svolge l'attività di dirigente e consulente, impegnato nell'attività di ricerca sul miglioramento genetico del grano, svolge l'attività di imprenditore agricolo. Insegna materie agronomiche presso istituti tecnici agrari.
Dottore in "Scienze Agrarie" abilitato all'esercizio della professione, dottore in "scienza della Politica e dei Processi Decisionale", master universitario di II° livello in "leadership ed Analisi Strategica", conseguiti presso l'Università degli Studi di Firenze. Ha svolto la sua attività prevalentemente nei settori dell'orticoltura, floricoltura, viticoltura, enologia, cerealicoltura, progettazione del verde, distribuzione alimentare. Per numerosi anni ha svolto incarichi organizzativi, di coordinamento e dirigenziali presso la Coldiretti e presso il Consorzio Agrario di Firenze, assumendo incarichi di direzione di federazioni, responsabile del credito e della finanza di impresa e di responsabile di stabilimento per la realizzazione dei mangimi per uso zootecnico. Attualmente svolge l'attività di dirigente e consulente, impegnato nell'attività di ricerca sul miglioramento genetico del grano, svolge l'attività di imprenditore agricolo. Insegna materie agronomiche presso istituti tecnici agrari.
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