di FRANCESCO MARINO
Il lungo viaggio del caffè: dalla pianta al Kopi Luwak Il caffè è una delle poche bevande che riescono ad abbattere confini geografici, sociali e culturali, unendo persone di ogni provenienza. Si beve nei bar affollati e nelle case silenziose, al mattino appena svegli o dopo pranzo come rito conclusivo. Lo si gusta per piacere, per abitudine, per socializzare o per cercare concentrazione. È presente ovunque, ma pochi conoscono davvero la complessità che si cela dietro ogni tazzina. Tutto ha inizio in una fascia tropicale che circonda l’equatore terrestre, dove le piante di caffè crescono rigogliose su terreni vulcanici, tra altitudini variabili e climi particolarmente delicati.
La pianta del caffè è un arbusto sempreverde, capace di vivere decenni se ben curato, e può arrivare a produrre frutti dopo tre o quattro anni dalla semina. Ogni frutto, simile a una piccola ciliegia, contiene due semi: i chicchi di caffè. A seconda delle condizioni ambientali, della varietà e della tecnica di lavorazione, i chicchi possono dare origine a una gamma vastissima di aromi e sapori. Le due specie più coltivate sono l’arabica (Coffea arabica) e la robusta (Coffea canephora). La prima, più delicata e aromatica, richiede altitudini elevate e temperature moderate. La seconda, più resistente e produttiva, cresce bene anche in pianura, tollera meglio le malattie e ha un gusto più deciso, spesso più amaro e con un contenuto di caffeina maggiore. La coltivazione del caffè richiede una cura costante: concimazione, potatura delle piante, controllo dei parassiti e, soprattutto, la raccolta selettiva dei frutti. I migliori caffè si ottengono raccogliendo solo le bacche mature, una ad una, operazione che spesso viene eseguita manualmente. Una volta raccolte, le bacche vengono sottoposte a uno dei diversi metodi di lavorazione. Quello naturale prevede l’essiccazione del frutto intero al sole, mentre il metodo lavato “ washed process “ separa immediatamente la polpa dal seme, che viene poi fermentato e lavato.
Ogni processo incide sul profilo aromatico del caffè, accentuando dolcezza, acidità o corpo, e anche il modo in cui il caffè verrà tostato influirà sul risultato finale. La storia del caffè è antichissima. Secondo la leggenda, fu un pastore etiope a scoprire le sue proprietà stimolanti, osservando come le sue capre diventassero insolitamente vivaci dopo aver mangiato certe bacche rosse. Da lì, il caffè si diffuse nello Yemen, dove venne coltivato e consumato nei primi luoghi di ritrovo sociale: le caffetterie islamiche. Nel corso del XVII secolo arrivò in Europa e conquistò rapidamente il cuore delle grandi città: a Venezia, Firenze, Londra, Parigi e Vienna i caffè divennero centri di dibattito culturale e politico.
Tra le tante storie legate al mondo del caffè, una delle più affascinanti e controverse è quella del Kopi Luwak, un caffè prodotto in Indonesia grazie alla collaborazione inconsapevole di un piccolo mammifero notturno: lo zibetto delle palme (Paradoxurus hermaphroditus). Questo animale, dal comportamento solitario e curioso, si nutre naturalmente delle bacche più mature e dolci della pianta del caffè. Dopo l’ingestione, i semi non vengono digeriti ma fermentano all’interno del tratto intestinale dello zibetto, subendo una trasformazione chimica che modifica la composizione degli acidi e delle proteine. Una volta espulsi, i chicchi vengono raccolti, lavati accuratamente, essiccati e tostati.
Il risultato è un caffè particolarmente morbido, con bassa acidità e un profilo aromatico spesso descritto come rotondo, con sentori di cioccolato, terra umida e spezie dolci. Il fascino di questa lavorazione così particolare ha fatto crescere enormemente la domanda di Kopi Luwak negli ultimi anni, trasformandolo in uno dei caffè più costosi al mondo. In alcuni casi, può arrivare a costare oltre 1300 euro al chilo e una tazzina dai 15 ai 70 euro. Tuttavia, questa crescita ha generato anche seri problemi etici. In molti casi, gli zibetti vengono catturati e rinchiusi in gabbie, forzati a un’alimentazione esclusiva a base di caffè, in condizioni che compromettono sia il benessere animale sia la qualità del prodotto. Il vero Kopi Luwak, ottenuto da zibetti liberi e non stressati, è ormai raro, difficile da tracciare e soggetto a frodi. Sempre più consumatori e operatori del settore chiedono certificazioni rigorose e maggiore trasparenza per garantire un commercio etico. Mentre il mondo del caffè si fa sempre più sofisticato, anche in Italia “Paese che vanta una tradizione solida e radicata” si stanno verificando cambiamenti significativi. La classica tazzina al bar, che per decenni è rimasta stabile nel prezzo e nell’immaginario collettivo, oggi sta diventando un piccolo lusso. Nel 2025, il costo medio di un espresso è salito a 1,20 euro, con punte di 1,50 euro. A Milano, una delle città più dinamiche in fatto di caffè, il prezzo si aggira intorno a 1,40 euro, ma nelle caffetterie più raffinate o specializzate può facilmente superare i 2 euro. Il rincaro è legato a diversi fattori: l’aumento del prezzo della materia prima a causa dei problemi fitosanitari che colpiscono le piantagioni in Brasile e Vietnam, la crescita dei costi energetici, e una maggiore attenzione alla qualità, che porta molti bar a selezionare miscele più pregiate e metodi di estrazione più sofisticati. Oggi esistono caffetterie che offrono menu degustazione, con estrazioni in pour-over e cold brew:
- Pour-over
È un metodo di estrazione manuale a filtro, in cui l’acqua calda viene versata lentamente sul caffè macinato contenuto in un filtro di carta o metallo. Permette un controllo preciso su temperatura evelocità di estrazione, esaltando gli aromi.
- Cold brew
È una tecnica di estrazione a freddo, dove il caffè macinato viene immerso in acqua fredda per un periodo lungo (8-24 ore). Ne risulta un caffè dolce, meno acido e con un corpo più morbido, spesso viene servito freddo o con ghiaccio.
Ogni varietà è descritta come si narra un buon vino: con la sua origine, il metodo di lavorazione, la tostatura e le note aromatiche. Non è raro trovare in carta caffè monorigine dal Guatemala, dall’Etiopia, dal Rwanda, e persino qualche campione di Kopi Luwak servito in cerimonie esclusive. Ma accanto a questa evoluzione, resiste con forza la tazzina tradizionale: quella bevuta di corsa al bancone, tra due chiacchiere e uno sguardo all’orologio, che continua a essere per molti italiani il vero incanto del caffè.
caffè, insomma, racconta una storia di biodiversità, lavoro, innovazione e tradizione. È al tempo stesso prodotto della terra e oggetto culturale, semplice e complesso, familiare e misterioso. Dal frutto di una pianta tropicale fino alla tazzina di ceramica del bar sotto casa, compie un viaggio lungo, meticoloso, fatto di scelte, mani, climi, strumenti e spesso anche di contraddizioni. Bere caffè, oggi, significa entrare in relazione con il mondo. Forse, per apprezzare pienamente un caffè, è utile soffermarsi un istante prima di degustarlo e riflettere sulle caratteristiche pedoclimatiche e di lavorazione che concorrono a definire quel profilo sensoriale tanto riconoscibile.
Articolo uscito in origine su: www.spigolatureagronomiche.it
Francesco Marino
Dott.Agronomo e Zootecnico (UniFI). Diploma di maturità in Tecnico dell' Industria Enologica (Istituto Sperimentale Agrario, F. Todaro - Rende "Cs" ).Presidente dell'Associazione AgronomiperlaTerrA e già Presidente dell' UGC-CISL Firenze/Prato e di Copagri Toscana, organizzazione Sindacale che tutela gli interessi della aziende agricole già aderenti all'UGC Cisl, UIMEC-UIL, UCI, AIC e ACLI Terra. E' Vicedirettore della Rivista "Spigolature Agronomiche", Responsabile del Blog Agrarian Sciences e del sito biblioteca di Agrarian Sciences. Attualmente è impegnato in progetti di sviluppo agricolo in Tanzania e Palestina.
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