sabato 9 giugno 2018

LE SOCIETA' SEMENTIERE PESI PIUMA DELLA FILIERA AGROALIMENTARE GLOBALE

di ALBERTO GUIDORZI e LUIGI MARIANI

Riassunto

Le indusrtie sementiere sono da anni sotto tiro perchè accusate da una narrativa falsamente "progressista" di condizionare governi e di affamare le popolazioni rurali privandole dei loro agognati semi. Questi pregiudizi hanno fatto facilmente breccia in opinioni pubbliche afflitte da manicheismo congenito e fatte danzare al ritmo di slogan buoni per tutte le occasioni. Le statistiche tuttavia ci indicano una realtà del tutto diversa, evidenziando la debolezza strutturale delle "grandi" industrie sementiere, veri e propri nani rispetto ai giganti dell'agro-alimentare. 


Abstract 
Seed industries are under fire because accused by a falsely progressive narrative of conditioning governments and starving the rural populations depriving them of their beloved seeds. These prejudices are easily accepted by public opinions afflicted by congenital Manichaeism and therefore ready to accept slogans good for all occasions. However the statistics shows a completely different reality, highlighting the structural weakness of the "big" seed industries, real dwarves if compared to the giants of the agro-food.

Premessa

In questo scritto ci proponiamo di analizzare la rilevanza tecnica ed economica delle attività sementiere e agrochimiche anche ponendole in relazione con le altre attività agro-industriali. Per fare ciò ci baseremo soprattutto su dati usciti nell’interessantissimo lavoro a firma di Sylvie Bonny “Corporate Concentration and Technological Change in the Global Seed Industry” pubblicato sulla rivista scientifica Sustainability (2017, 9(9), 1632; qui) e liberamente disponibile a questo indirizzo: qui. Tali dati sono stati da noi contestualizzati rispetto alla realtà sementiera italiana.
L’evoluzione nell’ultimo trentennio
La tabella 1 riporta le prime aziende sementiere mondiali in termini di fatturato negli anni 1985 1996, 2006 e 2008 e 2011, il che si rivela essenziale per cogliere come il mondo delle sementi sia evoluto in tale periodo.
Nel 1985 esistevano in maggioranza ditte familiari o cooperative e società che erano quasi tutte branche di industrie farmaceutiche (Sandoz, Upjohn, Ciba Geigy) le quali perseguivano la strategia di trarre dalle piante dei principi attivi farmaceutici.
Nel 1996 inizia l’evoluzione sia a livello cooperativo che a livello di ditte farmaceutico-sementiere. Infatti queste ultime hanno teso a disfarsi del ramo sementiero perché bisognose di curare e sviluppare il loro core-business e perché multinazionali della chimica come Monsanto o Novartis (futura Syngenta) hanno cominciato a fare incetta di branche sementiere e ditte familiari di sementi pagandole profumatamente.
E qui occorre dire che l’evoluzione dell’agricoltura e dei metodi di miglioramento genetico imponevano ammodernamenti e investimenti in ricerca, per cui Le ditte familiari, seppure con una lunga storia che aveva visto l’affermarsi e l’arricchirsi di vere e proprie dinastie (si pensi alla famiglie Vilmorin e Florimond Desprez in Francia, Busting in Germania, Wallace in USA), erano di fronte alla scelta cruciale fra l’accontentarsi di guadagni in calo per progressiva marginalizzazione e l’indebitarsi per investire in Ricerca e Sviluppo. Molte di queste ditte, divenute di proprietà di molti eredi distratti perché occupati in altri campi, furono allettate da offerte d’acquisto a prezzi impensabili solo qualche anno prima, e preferirono vendere a queste multinazionali chimiche. Ed è così che solo pochi anni dopo (fra 2007 e 2011) l’evoluzione, come si vede dalla tabella 1, ha portato a grandi aggregazioni formate da una branca dedita ai prodotti chimici per l’agricoltura e una branca sementiera dedita anche alla creazione varietale (ne sono esempi Monsanto, Dupont Pioneer, Syngenta). Fra 2007 e 2011 si era nel pieno del periodo delle sementi OGM, che facevano balenare notevoli possibilità di guadagno, spesso sovrastimate. Si può notare che subito i gruppi cooperativi e le multinazionali chimico-sementiere la fanno da padrone. Nella parte bassa della lista si ritrovano ditte familiari che selezionano specie di grande coltura e che hanno resistito alla tentazione di disfarsi dell’impresa di famiglia (KWS e Desprez), ditte familiari di sementi orticole e floreali (Takii e Tanaka giapponesi) ed infine altri piccoli gruppi cooperativi e ditte familiari.
Ad ulteriore conferma di quanto emerge in tabella 1 vi sono i dati in figura 1 che illustrano i poli frutto del processo di aggregazione che ha avuto luogo a partire dagli anni 80. 



Tabella 1 – Le prime 19 aziende sementiere mondiali in termini di fatturato in 5 annate comprese fra il 1985 e il 2011 (dati espressi in milioni di USD) (Fonte International Seed federation - qui).
Figura 1 – I grandi poli in cui sono confluite le ditte sementiere mondiali (fonte: prof. Phil Howard, diagramma riportato qui).

La situazione odierna

Tralasciando per ora le ulteriori riunificazioni in procinto di realizzarsi, vediamo a che punto siamo nel 2016 rispetto ai dati del 2011 riportati in tabella 1, e lo facciamo con i dati del diagramma in figura 2 che illustra la dimensione in termini di fatturato della maggiore company globale per alcuni dei principali segmenti del settore agro-alimentare. Da qui emerge che Monsanto (leader del settore sementiero globale) fattura il 2% rispetto a Walmart (leader del settore della food distributon) e il 9% rispetto a Cargill (leader del settore del food processing). Ciò evidenzia quanto di parziale vi sia nella visione radicatasi nell’opinione pubblica e che assegna alle multinazionali del seme il ruolo di superpotenze economiche che dettano legge ai governi prevaricando e vessando gli agricoltori.
Una testimonianza d’eccezione di tale visione distorta la si è peraltro avuta nell’Enciclica Laudato si’, incorsa a tale riguardo in affermazioni banalizzanti e qualunquistiche. Al riguardo vogliamo precisare che la critica all’enciclica verte non tanto sul messaggio generale quanto su aspetti ben precisi e, cioè su argomenti per i quali il Pontefice si è affidato a consiglieri non professionali e per giunta con evidenti conflitti d’interesse. In altri termini la contestazione non è verso il rispetto del creato, che è il motivo dell’enciclica ma verso il fatto che nell’Enciclica si sorvola colpevolmente su un elemento chiave evidenziato dal diagramma in figura 2 e cioè che il settore alimentare globale è oggi controllato da colossi (Walmart, Cargill), di tutt’altra statura rispetto a Monsanto (sementi), Syngenta (agrochimica), Agrium (fertilizzanti).

Tali dati indicano con chiarezza che le multinazionali delle sementi e dell’agrochimica non sono certo in grado di fare il bello e cattivo tempo sui mercati internazionali del cibo ovvero, per fare un esempio caro ai cultori della fantascienza, una Monsanto non vale in alcun modo la potentissima Tyrell corporation di Blade Runner. Alla luce di ciò il compito dell’enciclica sarebbe stato quello di restaurare un minimo di realismo, informando l’opinione pubblica e i media del fatto che oggi sono letteralmente imbrogliati da organizzazioni come Greenpeace e Slow Food. Ciò non è invece avvenuto e al contrario un rappresentante di Slow Food (Carlo Petrini) è incredibilmente assurto al ruolo di “consigliere speciale del Papa per i problemi agricoli”.
Perché la Cargill, una volta che si è sbarazzata del settore sementi e si è buttata nei processi di trasformazione agroalimentare si è rifatta una verginità divenendo per l’opinione pubblica una normale società che opera sul mercato e non più una “ricattatrice” e “affamatrice” di poveri contadini?
Insomma, complice anche Expo 2015 abbiamo visto rinascere demagogie stantie che relegano le grandi industrie sementiere al ruolo di “nemico del popolo” o “padrone delle ferriere”, utilizzando schemi ideologici obsoleti che tanto male hanno fatto in un passato anche recente al nostro Paese. Al contempo pare che tutti si dimentichino che le multinazionali del seme, se inserite in un quadro di regole rispettoso dell’interesse generale, possono essere una risorsa formidabile per garantire sicurezza alimentare. E non ci si venga a dire che il fatturato di una Monsanto è troppo grande per imporle delle regole rispettose dell’interesse generale perché allora ci sarebbe da domandarsi come faccia l’interesse generale a convivere con quello di una Walmart che è grande 40 volte tanto.


Figura 2 – Diagramma che mostra la dimensione in termini di fatturato della maggiore company globale nei diversi settori della filiera agro-alimentare. Dati riferiti al 2016 (Bonny, 2017). Si noti il peso oltremodo ridotto di Monsanto rispetto alla Walmart o alla stessa Cargill.
Tali aspetti emergono con evidenza anche dal diagramma in figura 3, a cui si coglie che con un volume d’affari stimato in 48,5 miliardi di USD il mercato delle sementi rappresenta poco meno dell'1% del valore totale degli alimenti acquistati o autoprodotti a livello mondiale (circa 5000 a 6000 miliardi di euro).
Un altro dato trasferito in modo tendenzioso all’opinione pubblica è quello relativo alla rilevanza economica delle spese per l’acquisto di sementi nell’ambito del bilancio dell’azienda agricola. Da come si esprimono alcuni demagoghi di successo parrebbe che l’agricoltore finisca sul lastrico perché obbligato a comprare le sementi e che in tal modo metta a repentaglio la sua stessa sopravvivenza come agricoltore, fino a giungere ai suicidi degli agricoltori indiani tanto cari a
Vandana Shiva.
La realtà è ben diversa se invece si guardano le cifre; se si confronta infatti il valore medio delle sementi acquistate per azienda con il valore della produzione agricola risultante si trova che una produzione agricola di 100 USD (o Euro) ha richiesto rispettivamente un esborso per l’acquisto delle sementi di 4,9 USD negli Stati Uniti (media di tutte le aziende agricole nel 2012) e di 3,5 Euro in Francia (media di tutte le aziende agricole francesi per il 2014). In Italia forse abbiamo costi un po’ superiori ma per motivi che sono a noi imputabili, nel senso che non avendo più un’industria sementiera nazionale ed avendo fatto di tutto per distruggerla, siamo oggi obbligati a importare la grandissima parte delle sementi che concorrono a fare la nostra produzione agricola ed il nostro “Made in Italy”.
In complesso comunque le sementi hanno un basso peso economico nella filiera dell’agroalimentare in quanto il valore aggiunto è più elevato alla fine della filiera. Limitandoci al caso specifico del frumento, per secoli ogni cariosside seminata ne produceva 3, di cui una era da conservare per le semine dell’anno successivo mentre oggi una cariosside seminata in paesi ad agricoltura evoluta ne produce 50 e dati ancora più eclatanti si osservano per il mais, ove ogni cariosside seminata ne produce 600 mentre all’inizio del XX secolo ne produceva 100. Tutto ciò è merito per il 40% delle sementi migliorate e per il 60% delle migliori tecniche colturali, il che porta a concludere che l’impatto agronomico, tecnico-economico, ambientale e nutrizionale delle sementi non è oggi sufficientemente remunerato e che esse meriterebbero una valorizzazione maggiore visto il contributo che danno al successo delle coltivazioni e alla sicurezza alimentare.

 

Figura 3 - Fatturato in miliardi di dollari per il 2016 delle prime 10 società a livello mondiale in ciascuno dei diversi settori della filiera globale agro-alimentare e farmaceutica (compresi i prodotti per la salute dei consumatori). I nomi dei tre gruppi principali sono indicati sotto il nome di ogni settore (Bonny, 2017). Si noti il peso assai ridotto del settore sementiero e agro-chimico rispetto alle altre componenti considerate.
Si osservino infine i dati riportati in tabella 2 in relazione ai quali occorre fare alcune precisazioni: spesso si portano ad esempio solo i dati della Phillips McDougall in quanto è la società per indagini di mercato più autorevole, ma ci si dimentica di dire che i suoi dati si riferiscono ai 2/3 del mercato e quindi si è portati a sottostimare il mercato globale delle sementi. In senso generale, tuttavia, vi sono difficoltà obiettive nel fare una stima esaustiva in quanto si deve valutare il valore delle sementi autoprodotte e quali prezzi applicare per determinare il montante. Ecco, un dato che comunque dalla tabella balza agli occhi è il tasso di crescita, da tutti stimato in aumento in un intervallo che va dal 6,8% al 13,3% annuo.


Tabella 2 - Valutazione del mercato globale delle sementi commerciali nel 2015-2016 e previsioni per i prossimi anni secondo le valutazioni di alcune società per indagini di mercato (Bonny, 2017).
1 La stragrande maggioranza di queste società ha uffici in diversi paesi, pertanto l'ubicazione menzionata nella prima colonna corrisponde all'origine o al quartier generale di tale società.





Luigi Mariani
Docente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia. 


Alberto Guidorzi
Agronomo. Diplomato all' Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni presso la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.


2 commenti:

  1. carissimi, dopo anni di ativita' di consulenza amministrativa, complice l'esistenza di una azienda agricola familiare di 30 ettari in .quel di piacenza, mi sono convertito in agricoltore. ormai da 10 anni salgo sul trattore, svolgo tutti i lavori preparatori dei teereni, in parte semina, diserbo ove necessario, concimazione e contenimento arboreo. purtroppo, nonostante tutti i miei sforzi, lo svolgimento firetto e personale fi buona parte delle attivita'agricole, non riesco mai ad ottenere un ricavo neppure sufficiente a fare fronte a manutenzioni, sostituzioni ecc. di nno in anno con produzioni cerealicole anche diverse per quantita' e qualita' sono sempre al punto fi partenza o ci rimetto. capischo che rispetto a colossi come monsanto ecc. io sono un microbo, ma la mia situazione e' analoga a diversi agricoltori con cui mi sono vonfrontato. E la ragione e' molto semplice. Noi siamo bloccati da costi obbligati per sementi, prodotti fitosanitari e spese fisse come contabilita', associazioni, commercialista, gasolio e povo altro, ma soprattutto siamo bloccati da fatturato predeterminato dai mercati di Milano e Bologna. non c'e' alcuna qualita' ottenuta, ne' specificita' di prodotto, ne' sforzo personale che possa essere ripagato in termini di ripagamento di tali sforzi. perche' vale solo la quantita'. questa e'l'unica variabile consentita per poter ottenere un ricavo superiore. orbene, in questa dituazione il piccolo agricoltore non ha altra soluzione che cercare di forzare la natura, con i guasti che possiamo notare nel tempo. quale soluzione? sembra un girone dantesco, impossibile da risolvere. e mentre le sovranazionali fanno guadagni strepitosi facendo girare le merci a livello globale come mulini a vento, noi siamo destinati a perire.qualcuno dice che bisognerebbe ripristinare il latifondo. il problema sta nel fatto che l'area media di un terreno agricolo e' poco meno di tre ettari e qundi scarsamente adattabile ad economie di scala. la trebbiatura del mio frumento ad esempio, ha richidsto di smontare la trebbiatrice per ben quattro volte. per di piu con rese per questo anno di 40 quintali ettaro ......... una schifezza. complici le continue piogge di questa primavera. che dire?.?.
    carlo bussolati
    cell 335348272
    rizzi sas fi bussolati carlo maria

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  2. Caro Carlo,

    Il tuo sfogo descrive esattamente la situazione dell'agricoltura che produce commodity. Essa sconta la mondializzazione degli scambi, e questo vale per nazioni anche situate meglio di noi come ad esempio la Francia, e l’accettazione dell’€. Certo avere ancora le frontiere e la liretta queste situazioni l’agricoltura poteva tamponarle, ma vivremmo ben altri inconvenienti. Altro aspetto è che le commodity ricevono in pagamento una percentuale del prezzo al consumo che è andato calando perché ben altri si sono impossessati dei valori aggiunti del prodotto finito. In un paniere di 12 commodity l’agricoltore, rispetto al 100 che è il prezzo di vendita dei relativi prodotti trasformati riceve ormai solo un 13%. Sono cambiati prima di tutto i parametri nel frumento ad esempio nel 1950 per raccogliere 1 q di frumento occorrevano 5 ore oggi in 100 secondi si raccoglie, se poi valutiamo il frumento trasformato in pane la cosa è ancora più precaria fatto pari a 100 i prezzi 1990 del frumento, delle farine industriali, dei prezzi industriali e dei prezzi al consumo del pane, i primi due nel 2005 erano scesi rispettivamente a 56,2 e 93, mentre i secondi due erano saliti rispettivamente a 111 e 143.
    In questo contesto 30 ettari sono pochi (ma non azzardarti a comprare della terra) e 40 q/ha non sono sufficienti se ti paragoni alla Francia che ne fa 75 oppure alle colture estensive su migliaia di ettari. Infatti se noi soccombiamo rispetto ai 75 q/ha della Francia, questa soccombe di fronte alle colture estensive russo-ucraine.

    In altri termini noi italiani ci misuriamo con altre realtà che ci sovrastano e per giunta non abbiamo fatto tutti i progressi che avremmo dovuto fare quando le vacche erano grasse.

    Soluzioni ne vedo poche e la politica ormai sa che in campagna vive una popolazione attiva scarsissima (2%), che non si lamenta più di tanto e di scioperi non ne fa e quindi se ne occupa a parole.

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