domenica 19 maggio 2019

AGRICOLTURA E COSTITUZIONE...



di ANTONIO SALTINI



La breve storia che chi scrive ha pubblicato, su questo blog, sulla maggiore organizzazione dell'agricoltura nazionale ha prodotto il drastico rifiuto di amici antichi a rispondere ad alcuni messaggi correnti e il garbato rimprovero di altri, alquanto meno ansiosi, è dato immaginare, di compromettere lucrosi proventi, che mi hanno attribuito il titolo di sognatore completamente al di fuori della realtà. 
Nel totale rispetto delle preoccupazioni affaristiche dei primi, reputo pertinente rispondere ai secondi, che mi pare meritino una replica assolutamente rispettosa. 
Sono imputato di mancato senso della realtà. Esiste, rilevo, una concezione "volgare" della realtà ed una concezione dotata dei crismi scientifici. Pregherei gli amici che mi hanno ammonito ad essere "realista" a rilevare la differenza. 
Ho seguito, alla Sapienza di Roma, il corso in diritto pubblico sul testo del maggiore costituzionalista riconosciuto tra i numi della materia, il professor Costantino Mortati, autore dei Principi di diritto pubblico più ristampati della storia delle scienze giuridiche italiane. Per la precisione alla Sapienza Mortati aveva insegnato al corso di Scienze politiche. Io, studente di giurisprudenza, ne studiai il testo, due anni dopo il suo abbandono dell'Ateneo, per essere interrogato da uno dei discepoli destinati al successo più sfavillante, il prof. Rodotà (non ricordo chi fosse il titolare della cattedra). 
Studiare una materia (qualsiasi essa sia) sul testo di un gigante della medesima imprime cognizioni che nessuno potrà più dimenticare.Tra i capitoli indimenticabili cui mi impegnai per l'esame con il prof. Rodotà rimasi particolarmente colpito dalle sintetiche pagine sui grandi costituzionalisti francesi della fine dell'Ottocento, tra i quali ricordo il nome di Horiou, continuatori del grande pensiero politico-giuridico di maestri dal nome di Montesquieu e Tocqueville. La chiave dell'insegnamento dei successori dei due titani consisteva in un rilievo di geniale clairté francese: in ogni paese esiste una constitution formale ed una constitution materielle, la prima ammirevole creazione intellettuale, la seconda contesto dei convincimenti giuridici e sociali che la prima auspicherebbe di sottoporre alle proprie norme, che la società civile accetta siano regolati in da norme anche in radicale contrapposizione alle prime. Ciò che l'allievo di Tocqueville illustrava con lucidità consisteva nel riconoscimento che istituzioni e norme delle due constitutions possono sancire leggi e istituzioni perfettamente contraddittorie tra loro. 
Esempi emblematici del conflitto, la costituzione delle repubbliche "delle banane", delle "repubbliche" magrebine, e, in forma clamorosa, della Repubblica italiana, nella quale mafie, camorre e massonerie costituiscono l'essenza della constitution materielle, irridendo i proclami che l'Italia costituirebbe perfetto "stato di diritto" in cui la medesima legge varrebbe per tutti e per ciascuno, secondo le ammirevoli regole della nostrana constitution idéelle.  
I miei critici mi rimproverano di disprezzare gli inevitabili tempi della giustizia. Siccome li disprezzerei sarei "irrealistico". Personalmente sono convinto che fuori della realtà sarebbero essi stessi. Che un pregiudicato possa assurgere alle più rilevanti posizioni della politica nazionale non è circostanza casuale, è stabilito, inequivocabilmente dalla constitution materielle della Repubblica, l'ordine giuridico accettato dal novantanove per cento dei cittadini che costituisce la vera norma chiave della convivenza nazionale, l'autentica costituzione del Paese. 
Sono stato imputato di mancanza di realismo. I miei critici leggano i testi capitali del costituzionalismo europeo, per avvicinarsi, almeno un poco, alla realtà giuridica (quella reale, accettata dagli italiani, non quella stilata da chi alla mattina sedeva alla Costituente vergando regole di convivenza di levatura suprema, e la sera incontrava, nelle trattorie di Trastevere, i capi di mafie, servizi segreti fascisti e americani, massonerie e camorre, stabilendo un costume giuridico che sarebbe stato ricalcato, fedelmente, da tutti i successori (cosa che tutti sanno, ma il divo Giulio resta uno degli uomini politici più ammirati dai sudditi italici, che, se dotati della minima dose di acume, rivaluterebbero i titoli dei capi di mafie e camorre, ed i presidenti del Consiglio che ne hanno sempre onorato la modalità, riclassificandoli tra gli elementi della costituzione italica, semplicemente aggiungendole l'attributo di "materiale" e irridendo, come irridono quotidianamente, quelli dell'ipotetica Magna Charta di questo Paese. 
A queste poche righe dovrebbero aggiungersene altrettante sul concetto, formulato da altri costituzionalisti, di "lotta per il diritto": in ogni paese impera la legge per la cui vigenza i cittadini hanno lottato e lottano quotidianamente. Quanti italioti hanno mai lottato per l'imperio della Costituzione varata a Roma cessata la guerra? Qualche decina. La maggioranza ha torpidamente accettato la spazzatura ricevuta in eredità dai precedenti borbonici, ispanici, sabaudi, fascisti. Non muoverà mai un dito perché i pregiudicati siano giudicati nei tempi astrattamente prescritti dal Codice penale. Ignorarlo significa sognare un'Italia che non esiste. 
Antonio Saltini 

Già Docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e Vita. E' autore della Storia delle Scienze Agrarie opera in 7 volumi

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