venerdì 7 febbraio 2020

LE AGRICOLTURE ALTERNATIVE: LA PERMACULTURA - Prima parte

di ALBERTO GUIDORZI

  Tratto da " I TEMPI DELLA TERRA" | N° 4|

AGRICOLTURE ALTERNATIVE

Le agricolture alternative affondano le loro radici in alcune correnti di pensiero che hanno attraversato il secolo scorso e sulle quali è opportuna una rapida ricognizione. 




Dall’igienismo all’ambientalismo

La prima corrente di pensiero fu quella degli anni 20-30 del secolo scorso che possiamo definire “igienista”. Uno dei maggiori esponenti fu il Dr. Paul Carton (1875-1947) che con il libro “La cucina semplice” afferma (siamo nel 1925): “che da quando l’industria si è messa a comporre, concentrare, denaturare, adulterare e conservare i prodotti alimentari, si può affermare che i malanni di una alimentazione malsana si sono accresciuti considerevolmente”. Secondo Carton, che possiamo anche definire come l’inventore “dell’igienismo vitale”, occorre ritornare alla freschezza, alla concentrazione moderata, alla salubrità e all’armonia alimentare, insomma un ritorno alla natura dei tempi passati.  
Non si può non far notare che noi a distanza di un secolo possiamo ben vedere la relatività delle affermazioni su questo argomento: Carton considera “antico e auspicabile” il ritorno al XIX sec. mentre i suoi emuli odierni considerano “antico e auspicabile” il ritorno al secolo XX, cioè proprio quello criminalizzato da Carton. Se poi ci riferiamo a quanto ulteriormente scriveva: “… si capisce quindi che ciò che concorre a rendere l’uomo malato di oggi è il suo allontanamento dalla vita naturale, perché non esiste una resistenza organica e neppure un sostegno morale senza accoglimento e assimilazione delle forze vitali della natura”.
Occorre a questo punto far rimarcare la dizione di “sostegno morale” perché l’igienismo di quei tempi ha assunto pure derive eugeniste. Infatti un contemporaneo di Carton, Alexis Carrel (1873-1944), tra l’altro premio Nobel per la medicina nel 1912 e di cui non si possono disconoscere i grandi meriti per le ricerche in fatto di interventi chirurgici, affermò che “Nei paesi dove il pane bianco è la parte principale dell’alimentazione la popolazione degenera”. In più esso dà un’altra causa della degenerazione, che dice dovuta all’abbandono di una vita più spartana, cioè quella che vivevano gli uomini quando non avevano tutte le comodità della prima metà del XX sec. (cosa direbbe di oggi?). Il suo pensiero è meglio espresso quando dice che: “…si sa bene come erano solidi, fisicamente e moralmente quelli che fin dall’infanzia sono stati sottoposti alla disciplina, alle privazioni e in generale si sono abituati alle condizioni avverse”. Egli infatti è stato subito accolto nel Partito Popolare francese di Pétain e con il governo di Vichy diresse la Fondazione francese per lo studio dei problemi umani (INED). Circa il nazismo basta leggere Ecofascism: Lessons from the German Experience (San Francisco: AK Press, 1995). Anche l’antroposofia di Rudolf Steiner penetrò tra i gerarchi nazisti. L’Italia non fu da meno, anche se in un contesto un po’ diverso vista la pochezza delle nostre superfici agrarie e la fame atavica, l’impulso dato alla produzione di frumento, all’apologia del pane e degli agricoltori che lo producevano è proverbiale. Citiamo solo qualche massima del periodo: “Amate il pane: cuore della casa, profumo della mensa, gioia dei focolari” oppure “Rispettate il pane: sudore della fronte, orgoglio del lavoro, poema del sacrificio”.
Dopo la seconda guerra mondiale il mondo occidentale, che aveva vissuto i tormenti del conflitto, desiderò uscire dalle condizioni di ristrettezze alimentari del periodo tra le due guerre e soprattutto dalla fame sopportata durante il conflitto. Inizia la meccanizzazione dell’agricoltura, prodromo dell’abbandono delle campagne da parte del proletariato agricolo e della popolazione di aziende agricole che, in conseguenza del progresso, divenivano sempre più marginali. L’inurbamento man mano portò ad allentare il legame con la terra e fece dimenticare le condizioni di fame e di vita grama; poi le generazioni successive, prima sublimarono i ricordi ai soli momenti di festa e convivialità e poi nacque il sentimento di ripulsa dei ritmi e delle condizioni alienanti dei centri urbani. In altri termini si rimpianse, idealizzandola, l’atmosfera bucolica dei racconti della prima generazione emigrata. Di questa evoluzione si è interessato anche il sociologo francese Claude Fischler che ha sviluppato ricerche su cibo e nutrizione. Ha definito queste problematiche ancestrali. Egli infatti afferma che il rapporto tra l’uomo e l’alimentazione ha avuto da sempre qualcosa di magico e di sacro e la ritualizzazione avrebbe sempre assicurato un duplice vantaggio: primo ci metterebbe in contatto con il soprannaturale (sacrificio), secondo il fatto di dividerlo simbolizzerebbe e cristallizzerebbe i rapporti tra l’individuo e le istituzioni religiose e politiche. Insomma per Fischler il cibo sarebbe alla base della nostra identità, mentre l’alimentazione industriale ci porrebbe un problema radicale d’identità: “come faccio a sapere chi sono, se sono quello che mangio ma ignoro come ciò che mangio è fatto? I prodotti vengono da fuori e non hanno storia!”. Da qui la definizione che dà del cibo industriale: “oggetto commestibile non identificato”.
Questi sentimenti furono sfruttati dalle rinascenti correnti di pensiero che affiancarono all’igienismo iniziale anche un ambientalismo che man mano divenne sempre più ideologico. La componente ambientalista prese grande impulso dopo la pubblicazione, nel 1962, del libro “Silent spring” di Rachel Carson. In questa trasformazione, se prima l’igienismo era appannaggio della destra che aveva tra i suoi obiettivi la difesa della razza (anche Steiner non ne fu esente), l’accoppiata di igienismo + ambientalismo divenne appannaggio della sinistra con il dopo 68 e la caduta del muro di Berlino. Insomma dagli anni ’70 in poi l’ambientalismo fu associato alla politica che ne fece un amalgama con questioni etiche (femminismo, genere, omosessualità) e sociali (terzomondismo, pacifismo, non violenza, autogestione). Inoltre non dobbiamo dimenticare che fu la società dei consumi occidentale che più pose dubbi alle certezze delle società comuniste. La rivoluzione verde fu una delle componenti dirimenti del divario tra Occidente e Oriente, ma nello stesso tempo fu anche la causa dell’instaurarsi di un modello dominante di agricoltura definito moderno e industriale o più comunemente “convenzionale”. Contro questo sistema dunque si indirizzarono le critiche e si elaborarono innovazioni tecniche che volevano ovviare a presunte debolezze ed impasses ambientali, ma anche sanitarie, economiche e sociali del modello dominante. 

Le critiche all’agricoltura convenzionale

Nell’ambito delle critiche al modello dominante dell’agricoltura sono individuabili due tendenze: una pone il cambiamento sul piano pratico (fertilizzazione, protezione e lavorazione del terreno) ed è più appannaggio di agronomi; mentre l’altra, che si colloca su un piano più teorico in quanto vuole cambiare i sistemi di produzione agricola e dell’agroalimentare in una prospettiva di sviluppo durevole, è più appannaggio di sociologi rurali.
La prima cerca di fare più adepti possibile, mentre la seconda, animata da propositi di rottura, e quindi non ad effetto immediato, cerca dei pionieri che costituiscano una nicchia ecologica ed economica. La Permacultura è ascrivibile più a questa seconda tendenza, che non alla prima.

L’opposizione all’agricoltura convenzionale insiste sui seguenti elementi:
  • La centralizzazione del convenzionale (mercati globali, concentrazione delle unità di produzione e centralizzazione dei capitali) in opposizione alla decentralizzazione (mercati regionali, moltiplicazione delle unità di produzione). 
  • La dipendenza (nei confronti della tecnologia, delle risorse naturali, degli intrants, dei mercati, dei capitali, della scienza e degli esperti), opponendola all’indipendenza (minore tecnologia, minori capitali, autoproduzione degli intrants, soddisfazione prima dei bisogni della collettività di prossimità, sviluppo del “saper fare” degli agricoltori).  
  • La competizione (assenza di cooperazione, abbandono delle tradizioni, dissoluzione delle comunità, espulsione dei lavoratori, trasformazione dell’azienda agricola in impresa) nei confronti della comunità (cooperazione, mantenimento delle tradizioni, solidarietà nella comunità, valorizzazione del lavoro agricolo, la corte agricola vista come modo di vita, ricerca della beltà e della qualità).  
  • La dominazione della natura (separazione e gerarchizzazione tra uomo e natura, vista unicamente come un serbatoio di risorse a cui attingere, produzione di rifiuti, produzione agricola ottenuta tramite la chimica, alimentazione sofisticata con trasformazioni e aggiunta di additivi) in opposizione all’armonia (uomo parte integrante della natura, completezza del ciclo di vita dei prodotti, riciclaggio, imitazione degli ecosistemi naturali, mantenimento della salute del terreno, cibo non trasformato e naturalmente nutritivo).  
  • La specializzazione (ristrettezza della base genetica, monocoltura, assenza di rotazioni, separazione dell’agricoltura dall’allevamento, sistemi di produzione standardizzati, scienza riduzionista) contro la diversità (base genetica ampia, policoltura, rotazione e consociazioni, integrazione della coltivazione con l’allevamento, scienza e tecnologia interdisciplinari e sistemiche).  
  • Sfruttamento (ignoranza delle esternalità negative, ricerca dei benefici a breve termine, uso di risorse non rinnovabili, fiducia cieca nella scienza e nella tecnologia, ricerca di alti consumi per mantenere la crescita, successo finanziario) contro la moderazione (considerazione delle esternalità, equilibrio tra benefici a breve e lungo termine, uso di risorse rinnovabili, fiducia critica nella scienza e nella tecnologia, attenta considerazione delle generazioni future, realizzazione personale).
Purtroppo però dalle prime attuazioni dei modelli alternativi proposti ne risaltarono subito limiti perché la realizzazione pratica di nuovi sistemi di coltivazione rimase confinata a livello concettuale e non si tradusse mai in pratiche applicabili in modo generale. Le auspicate modifiche in ordine all’integrazione delle riprogrammate aziende agricole con il sistema agroalimentare rimasero astratta utopia. Gli itinerari tecnici virtuosi cozzarono contro l’incapacità di agire collettivamente sui sistemi fondiari. Non si realizzarono nuove relazioni tra agricoltori e società, sia a monte che a valle della produzione, le sovvenzioni rimasero prima legate alle performances produttive e sulla taglia delle imprese agricole. Insomma il motore dei cambiamenti necessari si è rapidamente spento e le agricolture alternative sono rimaste un’esclusiva degli ambiti accademici e tematiche delle sole scienze sociali.
Un altro limite è dipeso dal fatto che la scelta tra forme di produzione tradizionali o innovative avrebbe costituito solo un primo passo, non avrebbe potuto, cioè, non coinvolgere l’industria di trasformazione in alimenti pronti all’uso, purtroppo non si riuscì a trasformare l’industria agroalimentare nella stessa misura in cui si trasformò il modo di produzione. Infatti essa non valorizzò i prodotti delle agricolture alternative, si limitò ad apporre un label di certificazione ed a sfruttarne, aumentando i prezzi, la domanda fideistica. Il settore si è quindi segmentato ripiegandosi su nicchie di opportunità (nel senso dello sfruttamento di un maggiore valore aggiunto) che poco hanno influenzato le decisioni politiche (se non per l’elargizione di contributi finanziari "a pioggia" volti a riparare l’indiscussa inferiorità delle agricolture alternative) al fine di ottenere il cambiamento dell’agricoltura. Insomma si è assistito più alla “convenzionalizzazione” delle agricolture alternative che ad un autentico cambiamento, come la crescita di gruppi specializzati nella vendita di prodotti "biologici", l’adozione di processi trasformativi altrettanto complessi, la formazione di aziende agricole specializzate la cui taglia e modi di produzione ha poco da invidiare a quelle convenzionali che si volevano sostituire.

Quali sono le agricolture alternative?  
Di seguito diamo l’elenco delle agricolture alternative con una breve sintesi delle caratteristiche e dei punti critici.
 
Agricoltura biologica 
  • Elementi caratterizzanti
  1. rotazione delle coltivazioni
  2. limitazione dei concimi ed altri prodotti chimici di sintesi, limitazione dell’uso degli OGM (meno dell’1%)
  3. utilizzazione di risorse dirette per essere autonomi
  4. allevamenti all’aperto e concepiti in funzione del luogo di esercizio, delle condizioni meteo ecc.
  5. alimentazione a base di prodotti biologici.
  • Punti critici 
  1. seguono una tendenza, che i supermercati sfruttano
  2. il prodotto è spesso importato e ciò mina i principi dell’agricoltura biologica perché le norme non sono uguali a secondo del paese produttore 
  3. la certificazione del prodotto è obbligatoria, costosa e pagata per giunta dal controllato
  4. quasi sempre viene meno la pretesa autonomia in quanto non vi è l’obbligo di prodursi il letame in proprio e viene meno il principio di un’alimentazione biologica
  5. la tanto vantata protezione dei suoli è minata dall’obbligo delle lavorazioni meccaniche per supplire alla rinuncia del diserbo chimico
  6. minor produzione che va da un 30 ad un 60%.
Agricoltura ragionata
  • Elementi caratterizzanti
  1. produzione controllata da organismi certificatori
  2. equilibrio delle coltivazioni
  3. preservazione dei suoli
  4. inquinamento limitato
  5. gestione economica dell’acqua
  6. benessere animale preservato
  7. protezione della diversità biologica delle terre e dei paesaggi
  8. possibilità di utilizzare prodotti chimici quando si sia costretti dalle condizioni ambientali, ma questa possibilità è considerata dai puristi una criticità
  9. ha una produttività più elevata del biologico.
Agricoltura biodinamica
  • Elementi caratterizzanti 
  1. segue le teorie antroposofiche di Rudolf Steiner
  2. usa pratiche strane (crede nell’influenza degli astri) ascrivibili all’esoterismo (somministrazione dei preparati) la cui efficacia non è provata ma solo vantata, considera il terreno come un essere vivente a parte intera.
  3. usa i metodi dell’agricoltura biologica seppure in modo più stringente
  • Punti critici
  1. eccessivamente costringente
  2. poco sviluppata
  3. la redditività è molto bassa
  4. messa in atto di pratiche ascientifiche
Agricoltura durevole
  • elementi caratterizzanti 
  1. preservazione dell’acqua, del suolo e degli animali
  2. buona redditività. In pratica si tratta di un’agricoltura che potremmo definire professionale
  3. protezione della biodiversità
  4. impatto carbonio limitato, modo di produzione rispettoso della salute e dell’ambiente
  5. preserva i paesaggi, buona gestione dei rifiuti e nell’uso dell’acqua e dell’energia
  6. uso professionale dei prodotti chimici
Agricoltura "naturale" 
  • Elementi caratterizzanti
  1. il fondatore fu il giapponese Masanobu Fukuoka che prese a modello la natura fondandosi sulla fede nella sua armonia fondamentale 
  2. non si ara
  3. non si sarchia
  4. non si concima
  5. non si usano pesticidi 
  6. nessuna potatura
  7. si seminano cereali e si raccolgono
Per questo è detta anche “l’agricoltura del non fare”. Secondo Fukuoka dove l’uomo interviene si ottengono produzioni minori, ma non dobbiamo dimenticare che mette in pratica i suoi principi nel Giappone del Sud, zona monsonica dove si ottengono due produzioni di riso ogni anno. Da questa ha preso spunto la Permacultura.
                                                                                                        ...continua

NOTA: La foto in alto è stata scattata nel corso del Work shop “Agroecologia per l’agricoltura biologica” svoltosi alla Scuola di Agraria– Università degli Studi di Firenze il 15 novembre 2019, III SESSIONE: AGRICOLTURA BIOLOGICA E BIODINAMICA. Nella locandina si legge: "L'agroecologia si esprime nella modernità in varie forme, che cercano di coniugare innovazione e tradizione. Queste agricolture nascono dalla passione e dalle intuizioni di diversi personaggi che hanno saputo fondare delle vere scuole di pensiero, rifacendosi in certi casi a specifiche visioni e costruzioni filosofiche.





      
ALBERTO GUIDORZI
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.




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