mercoledì 14 ottobre 2020

MENZOGNE SCIENTIFICHE E GUADAGNI ASTRONOMICI

 

di ANTONIO SALTINI

 
 
Editoriale del 4 °numero de "I TEMPI DELLA TERRA"
Pnocchio


Dalle proprie origini la storia dell'agricoltura può essere definita, con eguale pertinenza, "storia della fame": l'uomo aveva appreso a produrre il proprio cibo, una conquista capitale rispetto ai centomila anni precedenti, durante i quali l'acquisizione del cibo era totalmente aleatoria, ma i suoi raccolti erano minacciati da stuoli di predatori, i suoi armenti da orde di lupi, gruppi di leoni e famiglie di orsi, che l'uomo affrontava, spesso annientandoli, non di rado rimanendo vittima, egli stesso, delle belve che sfidava. L'aleatorietà è comprovata, secondo gli scopritori britannici dei primi insediamenti agricoli, dalla millenaria pratica della broad spectrum economy: l'uso alterno di prodotti della caccia, della pesca, della raccolta di frutti e bacche, una forma di approvvigionamento plurimo che riduce i rischi di carenza assoluta.
Smentendo i ciarlatani che, privi di qualunque cognizione archeologica amano dipingere l'agricoltura primitiva come attività idilliaca, lo sperato raccolto poteva essere trebbiato solo ove le circostanze fossero favorevoli: nelle prime regioni agricole, al primo posto l'immensa valle del Tigri-Eufrate, le esondazioni furono dominate da opere idrauliche per il tempo straordinarie, e convertite in strumento per rendere produttive, attraverso l'irrigazione, le limitrofe regioni aride, ma nelle annate in cui l'andamento climatico le favorisse, le crittogame, al primo posto le ruggini, annientavano i raccolti; nell'intera area in cui si saldano Europa, Asia e Africa le locuste, anch'esse nelle annate favorevoli alla moltiplicazione, si levavano in sciami che oscuravano il cielo, e nelle regioni ove uno sciame si posasse, non restava un solo filo d'erba, ed era la carestia. Ricordo che le loro devastazioni, nel Mezzogiorno italiano, si protrassero fino agli anni Trenta del Ventesimo secolo, quando il loro annientamento sul Tavoliere fu affidato al giovane assistente di entomologia che, ormai prossimo alla pensione, sarebbe stato, alla Facoltà di Milano, il docente della materia di chi scrive, l'indimenticabile professor Minos Martelli.
Come le locuste portavano la carestia nel meridione del Continente, i maggiolini, un insetto oggi innocuo, la diffondevano nell'Europa atlantica, dove il caleidoscopio di pascoli, seminativi, campi di trifoglio, rape e patate, ciascuno di dimensioni modeste, offriva le condizioni ideali per un ciclo di sviluppo particolarmente prolungato, comprendente due o tre anni di vita larvale sotterranea.
Nella storia dell'agronomia il primo metodo per contrastare i parassiti viene proposto, l'anno 1600, da Olivier de Serres contro le larve che infestano la medica (babottes). Segue, nel 1762, la formulazione, in base alla prima autentica indagine parassitologica, condotta da Henri Duhamel du Monceau e da Mathieu Tillet, di un metodo per l'eradicazione di una tignola che minacciava di annientare la coltura del frumento nell'Angoumois, espandendosi progressivamente nei dipartimenti limitrofi. Seguiranno, nel corso della terribile carestia che colpì l'intera Italia centrale nel 1765-66, la scoperta indipendente delle crittogame, da parte di due naturalisti di formazione "galileiana", Giovanni Targioni Tozzetti all'Orto botanico di Firenze e Felice Fontana a Pisa, sulla cattedra del grande predecessore. I due scienziati eseguirono le prime osservazioni sulle condizioni della loro diffusione e sul meccanismo delle loro distruzioni, una scoperta che diede vita, insieme, alla micologia e alla fitopatologia, ad uno dei maggiori contributi della scienza italiana alla storia delle conoscenze naturalistiche.
Dopo oltre un secolo di indagini sulle orme dei due grandi italiani, indagini tra le quali campeggiano quelle che salvarono la viticoltura europea dall'esiziale arrivo di due crittogame e di un insetto che minacciarono, insieme, la sussistenza della coltura, giunsero gli immensi progressi della chimica, con la capacità di creare molecole inesistenti in natura. Ciò segnò, nel Novecento, una fase assolutamente nuova della lotta ai parassiti. La popolazione europea aveva intrapreso la crescita che ne avrebbe realizzato il raddoppio in cinquant'anni, un tempo che si avvicinò, per la prima volta in dodicimila anni, alle prospezioni teoriche di Malthus. Erano stati apprestati mezzi colturali di efficacia senza precedenti, ma i raccolti erano esposti alle devastazioni di tutti i parassiti del passato, che nei campi in cui crescevano nuove varietà, dai tessuti più abbondanti e più attraenti, esaltavano le proprie capacità distruttive.
L'antidoto furono, appunto, le molecole di sintesi, del cui impiego furono sufficienti, peraltro, pochi anni a rivelare i danni, conseguenza dell'elevata tossicità e dalla lunga persistenza, danni che furono denunciati, per primo, da un grande entomologo italiano, Guido Grandi, nel poderoso manuale pubblicato nel 1951, un testo scientifico la cui risonanza fu ampiamente superata, peraltro, dall'efficace testo divulgativo di una biologa americana, Rachel Carson, il cui Silent Spring, pubblicato nel 1962, diffuse un autentico orrore degli antiparassitari, venefici e persistenti, nella coscienza collettiva di tutte le nazioni civili.
Le conseguenze dell'allarme furono essenzialmente due, opposte e incompatibili: da un lato la ricerca chimica si impegnò a fornire ai produttori di fitofarmaci molecole sistematicamente più specifiche (cioè progettate per colpire funzioni biologiche determinate di precise classi di insetti), riducendone progressivamente le proprietà letali nei confronti dell'entomofauna innocua o, addirittura, utile, e limitandone, progressivamente, la persistenza. Dal lato opposto si appropriarono del tema imbonitori privi di qualunque preparazione naturalistica, in particolare biologica, allievi di "scuole di giornalismo", sociologi e architetti, tutti impegnati a praticare l'imperativo capitale del ciarlatano: "terrorizzate i lettori, diventerete ricchi", un precetto i cui i maggiori beneficiari sono contesi dagli editori, ed esaltati come benefattori dell'umanità dalla considerazione della plebe.
Questo numero de "I TEMPI DELLA TERRA" è dedicato a questo mondo policromo di menzogne scientifiche e guadagni astronomici. Non affronterà biografie e dottrine dei precursori, concentrerà la propria analisi sui movimenti che dominano, attualmente, in Italia, i movimenti che, grazie alla benevolenza dei leader supremi e dei lustrascarpe del nostro folkloristico mondo politico (tutti insieme appassionatamente), sottraggono al bilancio nazionale denaro non meritato.




ANTONIO SALTINI
Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Agrarie, Antonio Saltini ha iniziato la propria avventura giornalistica al glorioso (seppure decaduto) Giornale di agricoltura dell'editrice romana Reda. Trasferitosi alle Edagricole, è stato direttore di Genio rurale, anch'essa testata storica della cultura agronomica nazionale, quindi, a fianco di Luigi Perdisa, allora arbitro della pubblicistica agraria italiana, vicedirettore di Terra e Vita, dividendosi tra la puntuale analisi della politica agricola romana, negli anni '70 e '80 particolarmente turbinosa, e le numerose missioni di studio delle agricolture estere. Ha concluso la propria parabola tornando, quale docente di Storia dell'agricoltura, all'amata Facoltà milanese. La sua opera maggiore è costituita dalla Storia delle scienze agrarie, sette volumi sulla letteratura agronomica dell'Occidente, attualmente tradotta in inglese con il titolo di Agrarian Sciences in the West. 



 


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