sabato 4 giugno 2022

IL SILLOGISMO DEGLI AMBIENTALISTI

di ALBERTO GUIDORZI 



 
Essi dicono: “se noi riduciamo del 60% il numero di animali si rendono disponibili cereali e proteaginose per l’alimentazione umana che prima erano mangiati da questi, in questo modo risolveremmo molti problemi di fame nel mondo”. Dunque addirittura ben tre piccioni con una fava: meno allevamenti, meno GES (gas ad effetto serra) e minor fame.
Solo che chi fa ragionamenti del genere non tiene conto o meglio non sa minimamente che cosa mangiano gli animali e cosa producono per l’uomo.
I poligastrici mangiano erba e mangimi concentrati di granaglie e producono carne, latte e latticini, mentre i monogastrici mangiano di preferenza concentrati di granaglie amido-proteiche e producono carne e uova. Tuttavia è bene ricordare che ciò facendo contribuiscono direttamente alla sicurezza alimentare globale, in quanto producono più nutrienti di alto valore umano, come le proteine, di quanti ne consumino. ”. I prodotti animali rappresentano il 18% delle calorie globali, il 34% del consumo globale di proteine e forniscono micronutrienti essenziali, come la vitamina B12.
Per l’erba, uomo ed animali non sono in concorrenza, anzi dato che i 3/5 delle terre emerse sono prati questi se non pascolati produrrebbero masse vegetali enormi che morendo fermenterebbero e darebbero ugualmente GES. Qui poi si gioca sul concetto di “terre arabili”, ma distorcendolo; infatti si dice che se noi ariamo i prati pascoli, che appunto non servono più ad alimentare il bestiame, recupereremmo terra per produrre derrate alimentari. Indipendentemente dal fatto che questa cosa detta da degli ambientalisti è proprio una bestialità ambientale in quanto arare significa emettere CO2 e inoltre la biodiversità obbligatoriamente calerebbe. Per giunta si dimentica che tutta la superficie terrestre emersa, salvo che non ospiti una foresta o un bosco, è arabile, ma il farlo dipende dalla suola di coltivazione e dal pH di quel terreno dissodato che poi ci si ritrova. Infatti se io ho una suola di coltivazione di 10/15 cm solamente, di derrate alimentari non ne posso coltivare e la cosa è dimostrata dal fatto che l’uomo ha sempre ricercato terra coltivabile per produrre cibo e quindi se ha destinato a prato-pascolo un terreno è perché sa che il gioco del coltivarlo non vale la candela. Inoltre moltissimi terreni a prato-pascolo sono terreni anomali cioè con un grado di acidità (più spesso) o di alcalinità che le colture agrarie non sopportano e la correzione di questi pH anomali è di difficile realizzazione. La dimostrazione di quanto qui affermato ci è offerta dalla Svizzera che è da sempre con una bilancia alimentare gravemente negativa e quindi alla ricerca di elevare le produzioni alimentari nel suo territorio. Ecco questa nazione ha un milione di ettari di SAU (superficie agricola utile) di cui 600.000 sono prati-pascoli nei quali l’unica attività possibile è l’allevamento, ora se, come si vuol far credere, ci fossero in questi 600 mila ettari dei terreni che una volta arati producessero convenientemente derrate alimentari non si crede che l’avrebbero già fatto?
Tuttavia ciò che non sanno gli ambientalisti del 56° piano di un grattacielo di una metropoli, ma anche molti semplicemente inurbati che hanno una cultura scientifica che fa acqua da tutte le parti e che non sanno che i poligastrici (i ruminanti per intenderci) cibandosi di alimenti cellulosici dovrebbero essere dotati dell’enzima cellulasi, solo che non ne sono dotati, come l’uomo d’altronde, ma guarda caso essi nei loro stomaci ospitano una flora batterica che invece ha questo enzima capace di scindere la cellulosa in carboidrati più semplici ed ottenere così energia. Intanto che fanno questo, però: - sintetizzano proteine di alta qualità (aminoacidi essenziali) per il proprio organismo; - producono proteine partendo da semplici fonti azotate; - sintetizzano tutti i tipi di vitamina B. La massa microbica gastrica morta poi confluisce nell’intestino del ruminante e viene digerita, per cui l’animale si appropria di quanto i batteri hanno sintetizzato per loro stessi. Ebbene i vegani vorrebbero che ci liberassimo di questi animali vegetariani che oltre a non essere nostri concorrenti ci forniscono alimenti qualitativamente superiori. Si fa notare che l’uomo (monogastrico) non si può giovare di questo meccanismo e quindi se è vegano ingerirà solo un tipo di proteine (quelle vegetali) che sono inadatte a fornire una equilibrata miscela di amminoacidi (specialmente in giovane età) ed è per questo che la specie umana si è evoluta come onnivora.
Comunque a questo punto vi sono ancora due questioni da risolvere: 1° come la mettiamo con la macellazione del 60% di animali, sarebbe bene che chi è contro gli allevamenti animali interpellasse i “cugini” animalisti per sapere come adeguarsi al rispetto ed al benessere animale. Non si dica che li si fanno morire di morte naturale perché allora la contestazione del loro dire e consequenziale, infatti, gli animali resterebbe ro molto più in vita e nel frattempo figlierebbero e quindi aumenterebbero ulteriormente di numero. 2° il latte animale come si diceva sopra è alimento utile post-svezzamento per l’infanzia umana e i formaggi sono un complemento importante nelle diete bilanciate. Qui però la risposta ci è già stata data, nel senso che si propongono i latti vegetali (d’avena, di soia, di riso ecc.). Solo che poi non s’indaga sull’equivalenza tra latte vaccino e questi latti vegetali. Innanzitutto questi latti vegetali non possono mai sostituire il latte animale, al limite saranno solo un complemento in quanto la composizione proteico-lipidica non la possono proprio uguagliare. Inoltre gli stessi animalisti e ambientalisti parlano spesso di preferire il cibo naturale e poi ci invitano a bere questi tipi di latte che per proporli si deve ampiamente trasformare la materia prima da cui si parte. Non è più naturale il latte vaccino? Inoltre se sostituissimo tutto il latte dei ruminanti consumato sul pianeta con latte vegetale quanti ettari dovremmo coltivare in più per ottenere la materia prima vegetale da trasformare in simil-latte?
Un ultimo aspetto che merita di essere fatto notare è che gli animali si nutrono di granaglie integrali, cioè ancora con i tegumenti del seme, e visto che ad esempio fosforo e potassio sono contenuti proprio nei tegumenti del seme significa che gli animali ce li restituiscono in toto con le deiezioni che poi ritornano nei terreni con i letami; una vera e propria economia circolare dei due elementi fertilizzanti. L’uomo invece di preferenza mangia solo farine raffinate e i sottoprodotti della raffinazione, cioè le crusche, sono dati da mangiare agli animali che solo così non interrompono l’economia circolare suddetta. Ma anche qui gli ambientalisti ci dicono che la soluzione è quella di far mangiare cibi amidacei integrali anche agli umani, ma ecco un’altra dimenticanza che appare: le feci e urine umane finiscono nelle fogne urbane e sono perduti gli elementi fertilizzanti per la restituzione ai terreni in quanto i fanghi dei depuratori urbani sono inadatti ad essere distribuiti sui terreni coltivati. Per i cereali e le proteaginose la concorrenza è solo apparente in quanto ciò che mangiano gli animali non sono adatti all’alimentazione umana.
  • Frumento: gli animali mangiano scarti della lavorazione del frumento (cruscami) e frumento deteriorato o di qualità scarsa. inutilizzabile o immangiabile dall’uomo. Il frumento panificabile non è certo fatto mangiare a degli animali perché sarebbe come scambiare una banconota da 10 € con una da 5.
  • Orzo e avena: l’uomo non se ne ciba se non in piccolissima parte.
  • Segale anche qui all’animale vengono dati le partite inadatte a fare pane.
  • Triticale: esclusivamente prodotto per l’alimentazione animale.
  • Oleo-proteaginose. Non esiste una produzione volta esclusivamente all’alimentazione umana ciò che si vuole è certamente ricavarne olio e grassi che sono un componente essenziale della dieta umana, ma anche poi riutilizzare i panelli proteici che sono immangiabili dall’uomo, ma che vengono molto valorizzati per l’uomo grazie ai prodotti animali.
  • Come ultimo non si deve negligere di citare tutti gli scarti delle trasformazioni delle derrate grezze alimentari in alimenti umani che non verrebbero utilizzati senza gli allevamenti animali.
Insomma, l'86% di ciò che mangiano gli animali non è adatto al consumo umano:

 


La fonte è FAO ed il medesimo studio datato 2017 sfata un’altra esagerazione che i media perpetuano. Ormai circola l’equivalenza che per produrre 1Kg di carne bovina occorrano dai 6 ai 20 kg di granaglie, mentre il dato più veritiero è di 3 kg di cereali per produrre 1 kg di carne bovina. Dato poi che nei sistemi di allevamento più praticati si combina pascolo e mangimi allora il dato si abbassa ulteriormente e diventa che occorrono 0,6 kg di proteine (ma di qualità inferiore) provenienti da alimenti commestibili per il genere umano per produrre 1 kg di proteine del latte o della carne, che però sono di qualità nettamente superiore. Sempre in questo studio la FAO stima che avremo bisogno del 70% in più di prodotti animali entro il 2050 per nutrire il mondo. Bestiame: nei nostri piatti o mangiando al nostro tavolo? Una nuova analisi del dibattito feed/food - ScienceDirect.
Sempre a proposito del sillogismo di partenza, si pontifica molto sulla maggiore biodiversità in fatto di piante coltivate dell’agricoltura antica, solo che questa era la conseguenza diretta dell’allevamento di bestiame che ogni azienda agricola praticava. Ora se io elimino gli animali non ha più senso coltivare molte piante ad uso foraggero (leguminose e graminacee foraggere) e quindi la biodiversità coltivata diminuisce o se vogliamo dirla con altre parole gli avvicendamenti di piante diverse viene meno e ci si avvicina di più alla monocoltura. Certo rimane più superficie per insediamenti vegetali naturali, ma nel contempo l’agricoltura diviene meno sostenibile
Come la mettiamo poi con il letame che verrebbe meno e che ci permette di concorrere a mantenere un grado minimale di sostanza organica nel terreno? Se si vuole in assoluto riportare i lombrichi nei campi coltivati non è questa la strada! Come la mettiamo con quei 500 milioni di persone povere che vivono unicamente di allevamento?
Inoltre si ricorda che un bovino oltre a produrre carne e latte poi, una volta macellato, dalla sua carcassa si ricavano ben 76 prodotti diversi.
 


Riduciamo il consumo di carne? Certo il mondo occidentale lo sta già facendo vedi foto relativa alla Germania, non lo fanno invece tutti i paesi in via di sviluppo che invece l’aumentano…e per di più sono i paesi più popolati.

 




Non solo ma dal 2006 gli USA hanno perso la metà degli allevamenti di bovini da latte. Per contro, però, la produzione di latte è aumentata del 24% e quella per vacca del 20%.
Che dire poi dei polli moderni che per raggiungere lo stesso peso, pur mantenendo intatta le qualità gustative, impiegano una decina di giorni di meno e quindi riducono i costi dall’11 al 25% (anche per uso di minori quantità di mangimi)?
Si tratta anche qui di usare il miglioramento genetico senza negligere anche le nuove biotecnologie che al limite potrebbero far diminuire la produzione di GES degli allevamenti.
Ultima considerazione, perché non si propone di abolire l’uso di derrate alimentari per produrre energia rinnovabile in modo di dar da mangiare a molti cittadini che hanno fame, ma non hanno la capacità economica di acquistare gli alimenti se il loro prezzo è da…”biologico”? Eppure si raggiungerebbe un risultato migliore. Solo che dire una cosa del genere diventa una “bestemmia ecologica”, ma forse lo è solo perché molto ambientalismo è solo ideologia.
 
 

ALBERTO GUIDORZI
 
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.
 
 

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