martedì 6 giugno 2023

PAGHIAMO LO SCOTTO E CONTINUEREMO A PAGARLO

di ALBERTO GUIDORZI 



È stato approvato all’unanimità l’emendamento firmato da Luca De Carlo, presidente della Commissione Agricoltura al Senato, e inserito nel DL siccità, che consentirà la sperimentazione in campo delle TEA, Tecniche di Evoluzione Assistita, in altri termini: le biotecnologie di miglioramento genetico ottenute con le nuove tecniche di genome editing. Infatti l’articolo 9-bis dice: “l'autorizzazione all'emissione deliberata nell'ambiente di organismi prodotti con tecniche di editing genomico mediante mutagenesi sito-diretta o di cisgenesi a fini sperimentali e scientifici è soggetta, fino al 31 dicembre 2024, alle disposizioni di cui al presente articolo.” In altri termini l’Italia permette che si possa modificare (mutagenesi sito-diretta) un gene già presente in una specie o al limite trasferire l’intero gene ad un'altra pianta della stessa specie (cisgenesi) che ne è priva e quindi di sperimentarne l’innovazione in pieno campo.

Per completezza dobbiamo dire che l’Europa, competente per questi aspetti, non ha preso ancora nessuna decisione in merito e quindi la decisione italiana resta subordinata a quanto deciderà la Commissione europea. Certo quest’ultima è ora in possesso di una sentenza (7/2/2023) della Corte di Giustizia Europea (CGU) che dice che le tecniche sopraccitate non rientrano nella direttiva che disciplina l’immissione nell’ambiente degli OGM (ottenuti per transgenesi), ossia con apporto di materiale esogeno in una specie vegetale, che evidentemente ne è priva; è il caso del mais che avendo ricevuto il gene del B. thurigiensis fa produrre alla pianta stessa le tossine che uccidono gli insetti parassiti quando questi si nutrono di parti di essa. È bene anche precisare che l’editing genetico, per il quale le due ricercatrici scopritrici hanno visto assegnare loro il Nobel, permette anche la transgenesi (cioè la creazione di OGM), anzi, contrariamente a prima, permette l’inserzione di un gene esogeno in un punto scelto a priori, cosa non fattibile precedentemente.

Resta comunque da dare significato pratico a quanto la sentenza della CGU prescrive in modo un po' criptico, ossia che : - questi organismi "sono esclusi dal campo di applicazione" della direttiva europea se derivano "da una tecnica o metodo di mutagenesi che è stato tradizionalmente utilizzato per varie applicazioni in vivo e la cui sicurezza è stata a lungo dimostrata per quanto riguarda queste applicazioni". Giusto spiegare a questo punto cosa significa “in-vivo” ed “in-vitro”: È da un secolo ormai che l’uomo ha escogitato mezzi (chimici e radiologici) per ottenere mutazioni nel materiale genetico al fine di vedere se ciò che si modificava faceva diventare la pianta più interessante; fino ad ora, però, si operava su semi e parti vegetanti di piante (in-vivo appunto). Al fine di limitare i costi si è pensato di indurre mutazioni su una cellula o ammasso di cellule coltivate in contenitori di vetro, ecco del perché della dizione in-vitro. D’altronde non si poteva far rientrare tra gli OGM delle mutazioni indotte artificialmente tramite raggi gamma, quando queste sono fin dal sorgere della vita sulla terra il modo secondo il quale questa si è evoluta.

Nessuno nega che l’articolo 9-bis del decreto siccità abbia finalmente sdoganato delle innovazioni in precedenza rimaste nel limbo appunto perché il progresso delle biotecnologie è progredito molto più delle leggi che lo regolavano. Esse infatti sono rimaste fino ad ora confinate nei laboratori di ricerca. Tuttavia l’aver fissato un traguardo di applicazione praticamente di un solo anno (31/12/2024) limita enormemente le possibilità di sperimentazione. Solo chi avrà già inserito la mutazione o trasferito il gene nell’ambito della specie ed avrà o le piantine da trapiantare o il seme già prodotto, potrà portare a far vegetare in ambiente esterno dei vegetali ottenuti tramite le TEA. Tutti gli altri, anche se iniziano ora l’editing genetico, non arriveranno a sperimentarlo in ambiente esterno.

A conclusione di questa disamina non possiamo non far notare che una mutazione genetica, od il trasferimento di uno o due geni non possono rendere una varietà vegetale agronomicamente valida se non ha già riunito, mediante un oculato miglioramento una grandissima serie di caratteristiche genetiche che completano un panorama tale da far sì che un agricoltore possa trarre vantaggio dalla sua coltivazione. Infatti le varietà vegetali che si sono costituite di ogni specie coltivata sono molto numerose, ma che fanno mercato, nel senso che sono più coltivate, sono una decina al massimo; appunto quelle che più assommano le caratteristiche richieste per la coltivazione e per il mercato. Per chiarire faccio un esempio: il frumento duro Cappelli potrei anche farlo divenire resistente ad alcune malattie di cui è sensibile, ma se lo semino poi in annate come questa me lo ritroverei tutto allettato perché di taglia troppo alta e ciò mi farà perdere comunque produzione e qualità tecnologiche. Infatti l’Argentina ha usato l’editing genetico per creare piante di frumento tenero più resistenti alla siccità trasferendo su queste il gene HB4 prelevato dal girasole (dunque ha creato un frumento OGM), ma si è guardata bene da inserire il gene sul materiale genetico autoctono, ha preferito farsi dare delle ottime varietà francesi dal costitutore Florimond Desprez e inserire il gene su queste, farne poi una selezione ed ottenere una varietà di frumento tenero che in caso di siccità produce il 20/25% in più di altre varietà. Solo che l’aumentata produzione si realizza solo perché assieme alla resistenza alla siccità vi un genotipo di alto livello scaturito da un continuo e quasi secolare miglioramento genetico della specie. In altri termini la società detentrice della biotecnologia capace di trasferire il gene esogeno ha dovuto dividere gli eventuali proventi economici derivanti dalla sua invenzione con la Florimond Desprez che già deteneva varietà di frumento elite. La ricerca biotecnologica italiana ha le capacità e le conoscenze per usare l’editing genetico, ma non troverà in Italia materiale varietale da sfruttare per le sue caratteristiche superiori. La genetica del frumento sia duro che tenero è in condizioni pietose perché manchiamo di un’industria sementiera adeguatamente fornita di mezzi finanziari sufficienti per ottenere risultati, e tanto meno lo può fare la ricerca pubblica, sempre per lo stesso motivo. Nessuno in Italia fa creazione varietale su mais, orzo, soia; nelle piante arboree si salverebbe solo la vite e nelle piante da orto ormai il nostro ricco germoplasma che avevamo è stato preso dalle multinazionali, che ora ci ritornano a caro prezzo, perchè molto migliorato e quindi preferito dagli agricoltori.

A nulla è valso avere degli esempi di miglioramento varietale da imitare perchè perfettamente riusciti. Oggi si parla tanto di proteggere il “Made in Italy” alimentare, ma i politici dimenticano che spesso il “Made” della materia prima che usiamo è prodotto fuori dall’Italia. Ci vantiamo di esportare pasta, ma non abbiamo fatto nulla per mettere in atto una creazione varietale di grano duro al passo con i tempi. Io ho vissuto nella mia attività professionale la nascita nel 1983 della “GIE blé dur” in Francia per opera di Victor Desprez, direttore della ditta omonima francese. Di cosa trattasi? Innanzitutto la traduzione della locuzione francese è questa “Raggruppamento Interprofessionale Economico del grano duro”, cioè si sono messi assieme: - tutte le ditte sementiere francesi che avevano materiale genetico di frumento duro; - tutte le società francesi che erano interessate alla produzione di pasta; - i due istituti di ricerca pubblica INRA e Arvalis, con l’obiettivo di cominciare la sperimentazione di “linee” di grano duro al fine di osservarne le caratteristiche agronomiche e tecnologiche apprezzate dagli industriali pastai. Da dove venivano queste “linee”? erano ottenute dall’INRA incrociando tutto il materiale tetraploide esistente nel genere “triticum” (dicocco, grano d’Ispahan, turgido, polonico, turanico, cartlico) con le varietà elite presenti sul mercato. Per quanto mi riguarda io ho fornito alla F. Desprez dei campioni di tutte le varietà di grano duro coltivate all’epoca in Italia. Dopo 20 anni di incroci e osservazioni, di linee ne sono state prescelte 17 e queste hanno cominciato ad essere testate per la resa di campo, per le principali malattie del culmo e della spiga e per le qualità tecnologiche. Evidentemente tutto questo lavoro preliminare è stato interamente finanziato dallo Stato francese. Al termine le sementi prodotte da queste 17 linee, che non possiamo chiamare varietà in quanto vi è stata immissione di accessioni di tetraploidi selvatici (allora tramite incrocio, mentre oggi si potrebbe agire molto più velocemente con le TEA), sono state distribuite alle sei ditte sementiere partecipanti al programma. Da questo momento in poi ogni ditta sementiera ha cominciato un lavoro autonomo di incroci con proprio materiale genetico di grano duro al fine di creare varietà commerciali. Dunque dopo 20 anni di lavoro preparatorio, più altri 20 anni di lavoro singolo, oggi vediamo queste varietà proposte sul mercato delle sementi francese e italiano, tra l’altro con ottimo successo. Il successo in Italia purtroppo è più sperimentale che commerciale in quanto la granicoltura del duro in Italia non è ancora disposta a pagare il lavoro molto costoso (tramite prezzi maggiorati delle sementi che acquistano) che fanno i miglioratori genetici. Il grano duro in Francia prima degli anni ’80 era una nicchia piccolissima ed ora rappresenta circa 300.000 ettari e una parte della produzione francese finisce per fabbricare anche le nostre paste, ma non è finita qui perché le sementi di queste nuove varietà costituiscono una linea di esportazione interessante con il Nord Africa, apportando valuta alla Francia.

In conclusione se anche gli istituti di ricerca italiani dovessero fare “editing genetico” sul frumento duro, difficilmente sapremmo dove includere i geni mutati o i geni interessanti presenti nel materiale selvatico, perché lo includeremmo in varietà che non sono all’altezza dell’innovazione, inoltre per mettere in atto un programma di creazione varietale come descritto sopra, i francesi sono partiti da “zero”, mentre noi avremmo potuto partire da un livello molto più alto visto che coltiviamo grano duro da millenni e quindi possediamo un corredo genetico vastissimo. “Helas”, direbbero i francesi!!!!


ALBERTO GUIDORZI

Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana. 

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