sabato 26 gennaio 2019

UN SASSO NEL POLLAIO



La replica di ANTONIO SALTINI ad alcuni commenti al suo articolo:

BIO: CONTROLLORI E BOSSOLI DI LUPARA


Antonio Saltini intervista Giuseppe Medici (1903 - 2000). Amava ripetere: "in pochi anni la pratica di campagna descritta da Virgilio si sarebbe convertita in una tecnologia fondata sulla chimica, sulla meccanica, sulla genetica, presto sull’elettronica".


Ho tirato un sasso nel pollaio, lo starnazzare di ovaiole, faraone, galli e tacchini è stato persino superiore alle attese.
Ignoro le cinque repliche di chi non ha l'eroismo (né il pudore) di firmare quanto scrive. Ho conosciuto tutti i paesi dell'Occidente, quindi della nostra matrice storico-culturale: dovunque ci si profonde in ammirazione incondizionata per i grandi Italiani, Galileo, Redi, Malpighi, Micheli e Ramazzini, che firmavano quanto scrivevano siccome quanto scrivevano proponeva alla cultura internazionale idee nuove, mentre è generale il disprezzo per l'italiano medio, considerato un lacché, un opportunista e un vigliacco. e, se cinque controparti su sei corrispondono al cliché (meritando la stima universale) non mi pare decoroso rispondere alle loro invettive: la sola risposta congruente è che se avessero un barlume di dignità, farebbero schifo a se medesimi.


Onoro, per l'eroismo di apporre a quanto scrive nome e cognome, il signor Lucio Faragona, cui non posso riconoscere, purtroppo, anche il merito di esprimere una sola frase sensata più di quanto siano insensate quelle dei compari anonimi.
Innanzitutto infastidisce il tono di precettore: lui, che occupandosi di agricoltura, vive una vita da uomo autentico, irride, più o meno garbatamente, chi trascorrerebbe le giornata a scrivere quanto qualche giornale pagherebbe sontuosamente. Posso informarlo che chi scrive ha condotto, per parte cospicua della vita, un'azienda frutticola d'avanguardia, sulle rive del fiume Secchia, terra eletta per le pere Abate, che, perché di qualità palesemente superiore, vendeva sempre ai prezzi più alti realizzabili. Precisando di essersi sempre consigliato, seppure laureato in chimica agraria con lode e pubblicazione della tesi, con un fitopatologo per il calendario dei trattamenti antiparassitari, e di avere addentato, raccogliendole dal terreno inerbito e strofinandole sui pantaloni, le prime Abate mature gettate a terra dal vento, una, due, cinque, e, contro tutte le idiozie degli agrobio, di essere giunto, nonostante i quindici trattamenti (anni '70) a settantasei anni, con la capacità, ancora, di trascorrere dodici ore al computer vergando analisi del pensiero dei grandi agronomi inglesi, tedeschi e francesi, nomi sconosciuti all'ignoranza bio, che i pochi studiosi amanti della storia della propria disciplina leggono con interesse, se non con autentica passione.
Quanto è più patetico (o ridicolo), peraltro, nelle due epistole del signor Faragona, è nel professarsi maestro di storiografia (se non conoscesse la parola, significa metodologia degli studi storici), contestando quanto scrivo dei rapporti tra Steiner e la sedicente dottrina biodinamica, ignorando che le mie citazioni di Steiner sono corredate dal titolo e dalla pagina da cui sono tratte. Questo dilettante di una disciplina che pare ignorare dovrebbe apprendere che il fondamento dello studio della storia è la puntigliosa disamina delle fonti, che pare del tutto disinteressato a praticare.

Se vogliamo è la cosa più stravagante (e stupida) dei miei critici (firmatari o anonimi): contestano i miei rilievi storici, ma nessuno, neppure uno, si è premurato di verificare le mie citazioni (volume e pagina) nella biblioteca steineriana. Ciò che risolve un mio antico dubbio. Con tutto il denaro che le regioni sottraggono al contribuente per finanziare gli infiniti corsi sull'agricoltura biodinamica è inverosimile che nessuno degli adepti conosca il pensiero del Maestro. Lo conoscono, ma, consapevoli, per buon senso, della sua assurdità, e dell'inquietante connotazione satanica, osservano la regola inviolabile di non parlarne. Conoscendo quel pensiero ma non parlando si rivelano, oltre che creduli di farneticazioni demenziali, pervicaci mentitori.
Quanto agli ispettori siciliani, ho troppi amici in Sicilia per non avere udito ripetere "Si, ho aderito alle organizzazioni bio. Tanti soldi in tasca, e chi viene mai a controllare?" Chiunque abbia frequentato almeno un istituto professionale sa che nessuna analisi di laboratorio attesterà mai l'impiego di fertilizzanti, o degli antiparassitari di ultima generazione, di cui dopo pochi giorni si dissolve ogni traccia.

E in materia di serietà dei controlli mi permetta il signor Faragona di ricordare che, forse venti anni addietro (o venticinque) il direttore della rivista Airone, allora all'apice del prestigio, mi chiese di intervistare il presidente di una delle prime, orgogliose realizzazioni della filosofia bio, la cooperativa Alce Nero, che aveva creato uno stabilimento per produrre pasta bio. Rimasi, anzitutto, incredulo apprendendo che quella pasta era ricavata dal grano Creso, secondo tutti gli esperti il peggior frumento da pastificazione allora esistente (non potendo neppure essere qualificato, propriamente, un grano duro). Ma, mi spiegò il mio cortese ospite, riusciva a sopravvivere, e a produrre qualche spiga, anche senza concimazioni azotate. E, a vanto del pastificio, proclamò che tra i maggiori fornitori annoverava uno dei grandi produttori di grano duro del Tavoliere.
Avendo avuto occasione di conoscere il padre, agricoltore celeberrimo, telefonai al grande fornitore e lo incontrai, nella massima cordialità. Davanti a un sapido bicchiere di Primitivo gli chiesi come potesse produrre grano duro pastificabile, su tante centinaia di ettari, senza un sacco di nitrato. "Sarebbe assolutamente impossibile - fu la risposta, divertita-: senza azoto il frumento risulta privo di glutine, la pasta priva di proteine, e non hai il tempo di scodellarla che si converte in colla. Sui miei frumenti riverso due camion a rimorchio di nitrati, tanto nessuno potrà mai attestarlo, e, elevando il tenore di glutine, migliorò, per quanto possibile, tutta la pasta della cooperativa. Felicemente il mio grano è tanto, e il contributo alla qualità ingente.
Avendo frequentato le campagne di metà del Pianeta intervistando agricoltori in italiano, francese, americano e spagnolo, potrei estendere l'aneddotica. Ma non voglio infierire.
Chiudo, comunque, queste note di risposta all'agronomo sig. Faragona, con tre domande:

  1. Vanta migliaia di sopraluoghi: a quanti, gli chiedo, è seguito un verbale, e l'espulsione di un'azienda dal pollaio delle uova d'oro? 
  2. Si è sdegnato dei miei rilievi sulla Sicilia. Conto che i suoi siano più attendibili: quante sono, in percentuale, le aziende agrumicole bio nell'Isola, e quante, nell'ultima annata per cui siano disponibili dati (spero successivi al millennio trascorso), le infrazioni gravi contestate?  
  3. Siccome a chiederlo al signor Carnemolla sarebbe improbabile avere dati credibili, quanti miliardi di euro (di origine U. E., nazionale, regionale, transitano dagli assessorati agricoltura alle tasche dei produttori bio? A compensare l'esiguità di una produzione stimabile in quanti milioni?
Egregio signor Faragona, la debbo considerare, per la sua firma, l'unico adepto bio onesto mai conosciuto. Se risponderà ai miei quesiti la mia stima raggiungerà i pianeti cari al grande negromante balcanico (non tedesco, quale si impegnò a camuffarsi). Se non riceverò risposta la collocherò, di malincuore, nella torma di ciarlatani e profittatori che ho sempre considerato il pianeta (non steineriano) degli adeptio bio-(dinamici).



                   Con tutta la cordialità, Antonio Saltini


1 commento:

  1. Senza alcun intento polemico, ma solo per allargare un attimo l'orizzonte del dibattito, con particolare riferimento all'agricoltura del terzo reich.
    Forse molti di voi l'avranno già letto, forse alcuni no; ma vi consiglierei vivamente di intraprendere lo studio di un bel saggio di un giovane e valente storico: Marco Zaganella - "Dal Fascismo alla DC. Tassinari, Medici e la bonifica nell'Italia tra gli anni Trenta e Cinquanta" ediz. Cantagalli. In particolare il capitolo "Tra Roma, Berlino e Salò" dove si ridimensiona in modo dettagliato e documentato il ruolo della mitologia "blut und boden" nell'agricoltura tedesca sotto il nazional-socialismo. Un ruolo assolutamente minoritario ed ideologico, rispetto al reale tentativo d'inserimento dell'agricoltura tedesca all'interno di un'economia fortemente industrializzata, quale si avviava ad essere quella della Germania negli anni '30. Vengono citati i nomi di Herbert Backe e di Konrad Meyer Hetling, tecnici agrari di peso che guardarono con molto più interesse alle elaborazioni di Serpieri e Tassinari, più che ai filosofemi idealistici di Walter Darré o alle dottrine antroposofiche di Steiner.
    Dico ciò soltanto per una doverosa contestualizzazione.

    Sandro Righini
    Gruppo di Studio Auser

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