martedì 10 marzo 2020

A LUIGI PERDISA OLTRE LA PALUDE STIGIA

 
di ANTONIO SALTINI

 

 


Caro Professore,

sono trascorsi quarantatre anni dal giorno in cui, concordato con Lei l'inizio della mia attività nella straordinaria costellazione delle ventiquattro riviste da Lei raccolte nelle Edagricole, il complesso editoriale che riuniva, sull'intero Pianeta, il numero maggiore di testate su scienze e cronache pertinenti le sfere molteplici delle coltivazioni e degli allevamenti, partii per trascorrere in Spagna le ferie natalizie, che avrebbero compreso alcuni giorni nel cuore della più antica area agrumicola della Penisola iberica, la provincia di Valencia, dove, nel villaggio di Algemesi, avrei trascorso alcune ore incantevoli con il Presidente della maggiore cooperativa frutticola spagnola, un vecchio imperioso e cortese, orgoglioso di avere costruito un organismo capitale nel commercio agrumario del Continente, forse la maggiore cooperativa agrumaria del Pianeta.

Al ritorno, entrando, per la prima volta nella redazione delle Sue riviste come redattore, Le proposi un articolo sulla mia giornata valenciana, che Lei accettò con interesse e che avrebbe costituito il primo reportage firmato Antonio Saltini della lunga serie che si sarebbe snodata negli anni successivi.
La chiave di quell'interesse era costituita dall'impietoso confronto tra un organismo associativo che si era insediato solidamente sul ricco mercato tedesco, con i cui maggiori supermercati i collaboratori del vecchio patriarca avevano stabilito legami infrangibili, e il collasso in atto dell'agrumicoltura della Sicilia, i cui imprenditori, tragicamente certi della propria furbizia, sottoscrivevano, ogni anno, l'adesione a nuove cooperative, alle quali, sprecando fondi pubblici astronomici, sedotti dalle dieci lire in più dei più spregiudicati mercanti locali, non avrebbero mai consegnato una cassa di Tarocco, seppure perfettamente consapevoli che il rispettivo acquirente avrebbe venduto agli apparati tedeschi senza alcuna preoccupazione per la creazione di rapporti poliennali, contando sulla furbizia che reputavano l'arma vincente del commercio internazionale, la furbizia che stava destinando l'agrumicoltura siciliana alla produzione di succhi d'arancia sovvenzionati dalle elemosine comunitarie.
La tesi piacque al Direttore, che stava costruendo il progetto editoriale di Terra e Vita, il settimanale acquistato pochi mesi innanzi dal grande editore milanese che aveva intrapreso l'avventura con immensa sicumera, purtroppo disgiunta da qualunque conoscenza del mondo agricolo e dei suoi protagonisti. Conoscitore ineguagliato dell'agricoltura nazionale, delle sue potenzialità e delle cento manifestazioni della sua arretratezza, Luigi Perdisa avrebbe adottato il réportage spagnolo del nuovo redattore quale prototipo metodologico: un testo che offrisse agli agricoltori italici il quadro più penetrante dei settori produttivi nei quali eccellesse uno stato della Confederazione americana, un département francese o un Land tedesco, individuando le fondamenta tecnologiche, associative, commerciali del successo per indurre al confronto e stimolare alla competizione dei settori merceologici vincenti sul piano planetario i segmenti dell'agricoltura italiana che godessero di potenzialità che non avrebbero mancato di emergere se valorizzate con tecnologie adeguate, formule associative efficaci, strategie mercantili in grado di misurarsi con quelle dei concorrenti.
Ebbi l'onore, Professore, di essere da Lei incaricato di una parte assolutamente cospicua dei réportages che avrebbero concretizzato il progetto. Non mi capitò una volta sola di scendere da un aereo, disporre di un pugno di giornate per scrivere una serie di servizi sulle prodigiose procedure sull'impiego dell'acqua adottate in Israele, ricolmare la valigia di camicie pulite e salire sul Jumbo che mi avrebbe condotto in Nuova Zelanda, una terra il cui straordinario allevamento era fondato sulle pratiche foraggere più razionali mai sperimentate dai tempi di Columella. Un onore che prendeva corpo da esperienze eccezionali, che contribuirono a fare di Terra e Vita il messaggero che sospingeva all'evoluzione tecnologica, quindi al successo mercantile, i settori chiave dell'agricoltura nazionale.
Del settimanale che aveva creato Lei era, Professore, giustamente orgoglioso: di quell'orgoglio confermavano la fondatezza gli illustri docenti che sedevano, allora, sulle cattedre delle più prestigiose università italiane, da grandi imprenditori, da rappresentanti autorevoli del mondo politico, non ignari, come i burattini attuali, del ruolo di un'agricoltura vigorosa per gli equilibri economici di una nazione.
Partecipai, al suo fianco, ad una grande avventura, le cui manifestazioni erano onorate all'Italia e all'estero: una grande avventura che si iscrive di diritto nella storia degli anni più fausti, già tragicamente conclusi, di questo Paese.
Anni irreparabilmente conclusi per le conseguenze dell'opera di governo di un politicante per il cui pragmatismo Lei non mancò di esprimere più di un apprezzamento, Bettino Craxi, la cui impresa più significativa fu l'illimitata libertà d'azione assicurata ad un compare che perseguiva il lucido disegno di soggiogare l'italica gente attraverso il potere dello schermo televisivo, che ai suoi ordini avrebbe erogato programmi concepiti per fare della stupidità l'autentico linchpin della coscienza nazionale, un progetto tale da orientare, in una manciata di anni, l'intero apparato della comunicazione nazionale, convertito nello strumento per l'istupidimento dell'opinione nazionale, il cui livello culturale era, storicamente, sprovveduto di autentici mezzi di difesa, un progetto condotto con abilità tale da realizzare i propri obiettivi in tempi da primato mondiale.
Il nobile sogno che La sospinse a fare dei suoi mezzi di stampa il motore del progresso scientifico dell'italica agricoltura sono stati travolti dalla vague per agricolture fondate sulle farneticazioni alimentaristiche di guru e ciarlatani che non sapevano distinguere la formula dello zucchero da quella di una proteina qualsiasi, da quelle dei nuovi alchimisti che additavano il meccanismo della riproduzione di cavoli e rape nel potere di Saturno o Mercurio.
La diffusione di aberrazioni che mistificavano il ruolo della chimica, della biologia e della genetica, è stata prodigiosamente moltiplicata dai prodigiosi mezzi finanziari di una setta i cui princìpi erano stati dettati da un occultista balcanico che aveva conquistato, nel clima di follia esoterica in cui si affermò il potere nazista, la considerazione del caporale Adolf per la propria dottrina sulla molteplicità delle "razze"umane, che non sarebbero stata espressione, come hanno, inequivocabilmente, dimostrato, paleontologia e genetica, da un'unica, inequivocabile filogenesi terrestre, ma conseguenza dell'assoluta diversità di entità derivate da "larve" provenienti da pianeti diversi, quindi prive della comune origine genetica di tutti gli esseri umani dimostrata da entrambe le scienze.
Frutto dell'immenso potere mediatico ordito da una setta, che gode, verosimilmente degli immensi apporti di denaro assicurati, non si può mancare di supporre, da magnati tedeschi astretti, da legami fanatici, alla gloriosa strategia del caporale Adolf, la stampa italiana, tradizionalmente succube degli stimoli dei potentati finanziari, si è devotamente allineata: tra le espressioni più eloquenti, l'assunzione del ruolo di centrale delle comunicazioni giornalistiche nel prossimo congresso mondiale dell'agricoltura fondata su occultismo e satanismo, dell'attuale Terra e Vita, il periodico con il quale additammo all'agricoltura italiana le strade della scienza e della tecnologia necessarie per affrontare, ad armi pari, la grande competizione tecnologica e commerciale sui mercati internazionali.
Il suo sogno si è convertito, Professore, nella più vergognosa sudditanza a elucubrazioni magiche, occultistiche, satanistiche. Mi consenta di esprimere al mio Direttore la malinconia di non essermene andato, come fu dato a Lei, prima che tanto obbrobrio immergesse nello sterco quanto era stato operato nel nome della scienza, della tecnologia, dell'economia dei mercati.

Suo, con l'antica condivisione di grandi obiettivi scientifici, tecnologici, civili, di una stampa che operi per il progresso della società umana, Antonio Saltini.




Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Agrarie, Antonio Saltini ha iniziato la propria avventura giornalistica al glorioso (seppure decaduto) Giornale di agricoltura dell'editrice romana Reda. Trasferitosi alle Edagricole, è stato direttore di Genio rurale, anch'essa testata storica della cultura agronomica nazionale, quindi, a fianco di Luigi Perdisa, allora arbitro della pubblicistica agraria italiana, vicedirettore di Terra e Vita, dividendosi tra la puntuale analisi della politica agricola romana, negli anni '70 e '80 particolarmente turbinosa, e le numerose missioni di studio delle agricolture estere. Ha concluso la propria parabola tornando, quale docente di Storia dell'agricoltura, all'amata Facoltà milanese. La sua opera maggiore è costituita dalla Storia delle scienze agrarie, sette volumi sulla letteratura agronomica dell'Occidente, attualmente tradotta in inglese di Agrarian Sciences in the West.




1 commento:

  1. Antonio

    Sapere che cosa è capitato alla nostra agricoltura, come è chiarissimo a me ed a te perché c'abbiamo fatto i capelli bianchi, e sentire continuamente pontificare sul "Made in Italy agricolo" ci fa rivoltare le budella.

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