domenica 13 giugno 2021

LI ABBIAMO IMBROGLIATI UNA VOLTA, FORSE RIUSCIAMO A FARLO UNA SECONDA VOLTA!

 
di ALBERTO GUIDORZI

 

Premessa

L’imbroglio della prima volta si riferisce all’interdizione dei tre neonicotinoidi in quanto “sterminatori” di api. In questo caso la Commissione di Bruxelles è stata imbrogliata perché ha dovuto decidere solo su delle prove condotte in laboratorio e non con prove di pieno campo che sistematicamente smentivano le prime. Queste ultime sono state dichiarate non conformi ad un protocollo postumo. Infatti con l’alimentazione forzata in laboratorio prima di tutto si presuppone che tutte le api bottinino su piante contenenti residui di neonicotinoidi, il che nella realtà non è assolutamente vero perché le api visitano sì fiori di piante provenienti da seme conciato con i principi della categoria di fitofarmaci in parola, ma anche tante altre piante spontanee che non hanno mai visto il fitofarmaco. In secondo luogo le quantità di principio attivo immesse nella soluzione zuccherina di cui si sono fatte cibare le api erano largamente superiori alle dosi che l’ape avrebbe trovato nella realtà del pieno campo, ciò sia su piante provenienti da seme conciato e tanto meno su piante spontanee non contaminate da alcun fitofarmaco.

Il secondo imbroglio che invece si cerca di perpetrare è quello degli effetti del diserbante gliphosate sulla fauna ambientale, in particolar modo sul mondo degli insetti.Il movimento ecologista radicale, che ha scelto il gliphosate come simbolo del potere delle multinazionali chimiche, ha come scopo principale quello di riuscire a rendere inutile la coltivazione delle piante transgeniche resistenti al gliphosate, la cui superficie man mano è andata crescendo. Infatti, visto che la dimostrazione della effettiva cancerogenicità del diserbante non è stata per niente provata (infatti gli studi degli avvocati predatori sono stati ben felici di incassare le loro parcelle per intero, destinando ai loro assistiti le briciole, e porre fine ad un litigio di dubbia riuscita) e che nessun altro studio scientificamente valido è stato pubblicato da quando il CIRC ne ha suggerito la “probabile cancerogeniciità”, ora si vuole influenzare la prossima decisione della Commissione UE circa il procrastino dell’uso del principio attivo diserbante per un ulteriore lasso di tempo. Per farlo sono stati resi pubblici due lavori di gruppi di ricercatori che intendono mostrare i danni che l’uso prolungato avrebbe fatto e il continuarne l’uso farebbe. I lavori sono questi:

Glyphosate inhibits melanization and increases susceptibility to infection in insects (plos.org) In sintesi: “nel complesso, questi risultati suggeriscono che l'accumulo di glifosato nell'ambiente potrebbe rendere gli insetti più suscettibili agli agenti patogeni microbici a causa dell'inibizione della melanina. La causa sarebbe un sistema immunitario indebolito con aggiunte delle modifiche nella composizione del microbioma.


https://www.nature.com/articles/s42003-021-02057-6 In sintesi: “è generalmente accettato che gli animali non siano colpiti dal glifosato, ma si scopre che il glifosato può danneggiare indirettamente gli insetti prendendo di mira i loro partner batterici, contribuendo potenzialmente ad ulteriori perdite della loro biodiversità.”

Di ambedue gli studi sono stati eseguite delle analisi da specialisti per valutare la corretta esecuzione degli studi e la critica alle conclusioni che ne sono state tratte.

Analisi critica del primo lavoro


Da premettere che uno degli autori è affiliato al Dipartimento di Otorinolaringoiatria, Chirurgia della Testa e del Collo, quindi sarà sicuramente esente dal conflitto d’interessi, ma non da quello dell’incompetenza sull’argomento. Comunque subito concludono che la presenza diffusa del gliphosato: “potrebbe avere un impatto ad ampio raggio sulla salute di molti organismi, compresi gli insetti". L’affermazione scaturisce da una sola citazione Glyphosate Inhibits Melanization of Cryptococcus neoformans and Prolongs Survival of Mice after Systemic Infection | The Journal of Infectious Diseases | Oxford Academic (oup.com) di uno studio di cui è coautore proprio uno dei componenti dell’equipe in parola e nella relativa bibliografia compaiono personaggi con conclamati conflitti d’interesse, Sono stati autori infatti di articoli dal titolo “l’apocalisse degli insetti”. Tutto ciò però non implica che il lavoro di cui trattasi sia fatto male, fa solo rizzare le orecchie.
 

 

Infatti essi hanno iniettato in larve di Galleria mellonella (che oltre a divorare la cera degli alveari si è scoperto che sia una divoratrice di plastica) delle soluzioni di gliphosato a dosi da cavallo nel senso che hanno iniettato 1,6907 μg / larva. Ora ammesso che una larva pesi 175 mg significa che sono stati iniettati 9,661 milligrammi / chilogrammo di peso corporeo. Forse questo non dice ancora nulla al lettore ed allora riportiamo le quantità massime di gliphosato ammesse per l’uomo e partiamo dalla dose giornaliera ammissibile e quindi non superabile che è di 0,5 mg/kg di peso corporeo. Ovvero circa 19 volte inferiore a quella iniettata nelle larve.

Analisi critica del secondo lavoro

In questo lavoro si afferma appunto di aver evidenziato preoccupanti effetti fisiologici del glifosato, sulla flora batterica intestinale di un insetto comune, e conclude che questi risultati "dipingono un quadro preoccupante sugli usi del glifosato, alla luce del recente declino delle popolazioni di insetti”. Insomma l’allarme deve essere lanciato sulla base di questa combinazione: Glifosato + microbioma + estinzione degli insetti e il messaggio subliminale vuole essere: non fatevi confondere dal fatto che tutti i pesticidi vengano testati per sgombrare il campo da eventuali effetti sulla fauna non bersaglio perché potrebbe darsi che i test siano incompleti e tralascino certi effetti a lungo termine. Nel caso del gliphosate poi, visto il lungo tempo d’uso e che nessun effetto indesiderato è stato evidenziato e che anche la probabile cancerogenicità è rimasta sempre ipotizzata ma mai dimostrata con prove inoppugnabili , la strategia del denunciare il danno a lungo termine è la sola strada che è rimasta da percorrere. Tuttavia, anche in questo caso, quando si legge in dettaglio lo studio ci si rende conto che vi può essere anche una eccellente qualità scientifica in uno studio, ma resta sempre un divario ridicolo tra l'importanza dei risultati ottenuti e l'interpretazione fatta di essi. Passi che i media vogliano sempre fare uno scoop, ma il farne un’interpretazione allarmistica fuori luogo non è permesso agli autori stessi se sono seri.
 



Lo studio è incentrato sul coleottero Oryzaephilus surinamensis. che è facile trovare su semi di cereali, farine e biscotti. Le larve di Oryzaephilus sono state trattate prioritariamente con un antibiotico, per eliminare la loro flora intestinale naturale. Sono stati quindi nutriti con fiocchi d’avena, non trattate o impregnate di glifosato alla concentrazione dello 0,1 o dell'1%. Dopo questo “maltrattamento animale” hanno constatato che solo alle maggiori concentrazioni: - la flora intestinale degli insetti era modificata, - vi era qualche effetto, ma non generalizzato, sulla composizione amminoacidica di pupe e adulti, - la cuticola del carapace era meno spessa (non significativo, pero, alla massima concentrazioni di gliphosate …), - cosa emblematica è stata che la mortalità evidenziata in altro esperimento qui non è stata confermata.

Il punto cruciale però è stabilire il significato pratico di concentrazioni all’1% di gliphosate nell’alimentazione. Occorre innanzitutto premettere che l’insetto si nutre solo di quanto riferito sopra, cioè semi di cereali a paglia e loro derivati e che il limite massimo di residui ammesso dall’EFSA è di 10 mg/kg di peso corporeo ossia una concentrazione di gliphosate dello 0,0001%. Cioè nella realtà la larva del coleottero potrebbe ingerire concentrazioni di gliphosate che sono un decimillesimo della dose somministrata in laboratorio al coleottero. Possiamo, per maggior chiarezza, anche prefigurare a cosa dovrebbe andare incontro il coleottero in una situazione di campo ipotizzando lo scenario peggiore. Esso dovrebbe avere la sfortuna incappare nel raccolto di un campo di un agricoltore scriteriato che ha trattato il suo campo di grano con gliphosate per farlo essiccare e che la quantità di principio attivo passi al 100% nelle cariossidi di grano (fenomeno fisiologico impossibile). Visto, però, che la dose usata per essiccare è dell’ordine di 2 kg di principio attivo/ha e che possiamo ipotizzare una produzione di 70 q/ha, lo scenario che ne risulterebbe sarebbe che il nostro grano raggiungerebbe una concentrazione di gliphosate dello 0,28%, solo che trattasi della quarta parte della concentrazione che nell’esperimento dello studio produce gli effetti minori.

In conclusione ci possiamo chiedere: uno studio del genere, che come si è detto è stato ben condotto, ci deve indurre a stracciarci le vesti ed a preoccuparci oltre misura degli effetti negativi del gliphosate sui simbionti del coleottero o, invece, rassicurarci che comunque le conseguenze riscontrate sarebbero state molto lievi e che tra l’altro si verificherebbero solo nel caso paradossale in cui gli insetti prima cadano in una pozzanghera di antibiotico (e si distrugga la flora intestinale naturale) e poi vadano ad alimentarsi su un ipotetico campo di grano trattato con gliphosate in dosi quattro volte superiori al normale? Detto in altre parole, perché preoccuparsi se si prefigura un pericolo ma con rischio pressoché zero?
 




ALBERTO GUIDORZI
Agronomo. Diplomato all'Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l'UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.

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