giovedì 30 maggio 2024

MUTANTI PER LA QUALITÀ: RISVOLTI OPPOSTI DELLA SELEZIONE UMANA APPLICATA ALLE LANDRACES DI FRUMENTO DURO

di LUIGI CATTIVELLI




 
Riassunto 

La qualità degli alimenti è un concetto moderno diverso a seconda delle specie coltivate e dei prodotti ottenuti a seguito della loro trasformazione. In passato l’obbiettivo fondante del miglioramento genetico era costituito dall’aumento delle capacità produttive ed in questo contesto non solo la qualità era scarsamente considerata, ma in diversi casi caratteri che oggi apprezziamo sono stati esclusi attraverso la selezione. Usando il frumento duro ed alcuni caratteri che determinano la qualità della pasta (alto contenuto di proteine, assenza di sostanze tossiche) come caso di studio, si può osservare come la selezione umana abbia volutamente escluso dalle varietà moderne un gene presente nei farri che determina un aumento del contenuto proteico nel seme, mentre abbia selezionato un gene assente nelle forme selvatiche che consente alla pianta di accumulare cadmio, un metallo tossico, nel seme. Questi esempi dimostrano come i criteri seguiti in passato nel miglioramento genetico non necessariamente collimano con i criteri qualitativi attuali. 

Summary 

Mutants for quality: opposite impacts of human selection applied to durum wheat landraces Food quality is a modern concept depending on the crop and the products obtained because of their processing. In the past, the main target for genetic improvement was to increase yield capacity, and in this context not only was quality poorly considered, but in several cases traits that we value today were excluded through selection. Using durum wheat and some features that depict pasta quality (high protein content, absence of toxic substances) as a case study, one can see how human selection has deliberately excluded from modern varieties a gene present in wild emmer that results in increased seed protein content, while a gene absence in emmer that promote the accumulation of cadmium, a toxic metal, in the seed was instead specifically selected. These examples demonstrate how the criteria followed in genetic improvement in the past do not necessarily match today’s quality criteria. 


INTRODUZIONE

La qualità è il tipico carattere “quantitativo”, perciò, non mendeliano e, a ben vedere, il concetto di qualità ai tempi di Mendel non esisteva neppure. La qualità è un concetto moderno che si sviluppa negli ultimi 50-60 anni, negli anni precedenti il fondamentale obiettivo del miglioramento genetico era la produzione mentre la qualità era un aspetto secondario. Oggi, invece, la qualità è un tratto prioritario e all’interno del concetto di qualità sono compresi aspetti genetici molto diversi tra loro: contenuto in sostanze a valenza nutrizionale (antiossidanti, fibre, proteine ecc.), il basso contenuto di grassi, l’assenza di sostanze indesiderate (es. micotossine, OGM, glutine), la comodità d’uso (es. frutti senza semi), la shelf life dei prodotti ecc. 

UN ESEMPIO CONCRETO: LA QUALITÀ DEL FRUMENTO DURO E DELLA PASTA 

Il concetto di qualità è strettamente legato alle diverse specie coltivate; pertanto, questo contributo sarà focalizzato sulla qualità del frumento duro e del prodotto che da esso deriva, la pasta, un caso di studio che consente bene di spiegare come l’uomo si sia approcciato alla qualità con atteggiamenti molto diversi nel corso dei millenni. La qualità della pasta dipende sia dalla qualità della materia prima (semola) sia dalla tecnologia adottata nel processo di trasformazione, il primo fattore è di natura genetica. La semola di alta qualità è caratterizzata da un elevato indice di glutine, un colore giallo intenso, un elevato contenuto proteico e dall’assenza di sostanze tossiche. Tutte caratteristiche con una rilevante componente genetica. Vediamo alcuni esempi. Il colore che è quello che potremmo definire un caso geneticamente semplice. 
L’idea di fare la pasta gialla nasce 50-60 anni fa, quando Barilla ha colto la preferenza dei consumatori per una pasta dal colore giallo intenso, un’intuizione che spiega anche l’uso di confezioni trasparenti per il packaging della pasta. Il colore della pasta dipende da due aspetti: l’accumulo di pigmenti nell’endosperma, principalmente carotenoidi, e il più o meno esteso bleaching dei carotenoidi durante la pastificazione a causa dell’azione degli enzimi lipossigenasi (LOX) che degradano i carotenoidi quando la semola viene miscelata con l’acqua in presenza dell’ossigeno. Il principale carotenoide del frumento è la luteina che, diversamente dal betacarotene, non ha un particolare valore nutrizionale. Il colore giallo è quindi soprattutto una questione estetica. Il contenuto di carotenoidi nella semola dipende principalmente dalla diversità allelica ai geni che codificano per gli enzimi coinvolti nella biosintesi dei carotenoidi, primo fra tutti la fitoene sintasi, e diversi QTL sono stati trovati in coincidenza con questi geni (Fig. 1). L’accumulo di carotenoidi è controbilanciato dalla presenza di enzimi ossigenasici attivi durante la produzione della pasta, in particolare durante l’essicazione del prodotto estruso. Il maggior fattore responsabile per il bleaching dei carotenoidi durante la pastificazione è il gene LOX-B1 localizzato sul cromosoma 4B e che codifica per le lipossigenasi presenti nell’endosperma, la selezione di un allele nullo al locus LOX-B1 caratterizzato da una delezione che distrugge l’open reading frame, ha consentito di ridurre l’attività lipossigenasica nei frumenti moderni. La combinazione di questo carattere con i fattori che determinano un elevato accumulo di pigmenti nel seme ha consentito nel volgere alcuni decenni di selezionare varietà di frumento duro che producono semole ad elevato indice di giallo e che non perdono colore durante la pastificazione, indispensabili per fare paste con il “tipico” colore giallo intenso.
 
 
Figura 1 - Mappa di linkage genetico dei cromosomi 5B e 7B del grano duro che illustra la posizione dei geni della fitoene sintasi Psy1-1 e Psy2-1. La distanza genetica dei marcatori è indicata a destra della barra cromosomica in cM. La barra nera rappresenta la posizione di un QTL riportato in precedenza per il colore della farina gialla (da Pozniak et al., 2007)

UN GENE PER L’ELEVATO CONTENUTO DI PROTEINE PERSO NEL CORSO DELLA SELEZIONE

Il principale fattore qualitativo della pasta è rappresentato dal contenuto in proteine o meglio in glutine. il glutine determina la capacità della pasta di rimanere al dente dopo la cottura, più elevato il contenuto di glutine più la pasta rimane al dente e le paste commerciali di elevata qualità hanno un contenuto proteico pari ad almeno il 14% a fronte di un requisito minimo di legge dell’11,5%. La tenuta alla cottura non è tuttavia solo una funzione del contenuto proteico, molto dipende anche dalle caratteristiche del glutine che a loro volta dipendono dalle frazioni proteiche che compongono il glutine. Il miglioramento genetico ha lavorato molto in passato per selezionare le frazioni proteiche migliori per la trasformazione industriale e nel caso della pasta si è operato per migliorare la forza del glutine. Per avere pasta di alta qualità così come la intendiamo oggi, è necessario disporre di semole, quindi di frumenti duri, ad elevato contenuto di proteine e con elevato indice di glutine (glutine tenace). 
Il contenuto proteico delle cariossidi dipende sia da fattori agronomici, in particolare la concimazione azotata, sia da fattori genetici. Negli ultimi decenni la richiesta dei consumatori di avere una pasta sempre più al dente e l’esigenza di ridurre l’input “chimico” in agricoltura, ha spinto il miglioramento genetico a selezionare varietà in grado di accumulare più proteine a parità di fertilizzazione azotata. Tuttavia, la genetica che determina il contenuto proteico è decisamente complicata e, in linea generale, il contenuto proteico è il tipico fattore poligenico in cui sono coinvolti tanti ed indefiniti geni. Se guardiamo la storia del frumento duro o dei frumenti in generale, più aumenta la capacità produttiva più diminuisce il contenuto proteico. Gli studi che hanno misurato l’effetto del miglioramento genetico dei frumenti negli ultimi 100 anni hanno evidenziato come l’aumento della produzione sia sempre associato alla diminuzione del contenuto proteico (Fig. 2); quindi, i frumenti antichi hanno più proteine e quindi glutine dei frumenti moderni, anche se il loro glutine è in generale poco tenace (basso indice di glutine). C’è però un caso curioso che riguarda un gene scoperto nel farro selvatico. Il farro selvatico è il predecessore del farro coltivato da cui è stato poi selezionato il frumento duro. Si tratta di un gene che sarebbe perfetto nelle moderne varietà per soddisfare le esigenze qualitative, ma che invece non è mai stato selezionato né dagli agricoltori nei secoli passati né dai programmi di miglioramento genetico degli ultimi decenni, e che solo recentemente, dopo la scoperta della sua funzione, sta per essere introdotto nelle varietà moderne. Il gene in questione si chiama GPC-B1 (Grain Protein Content 1, Uauy et al., 2006) e si trova sul cromosoma 6B. GPC-B1 esiste in due forme alleliche, quella wild-type ed una forma mutata a seguito dell’inserzione di una base, una T, che determina uno stop codon e rende la proteina codificata da GPC-B1 inattiva. Il confronto fra linee isogeniche per i due alleli di GPC-B1 dimostra che l’allele wild-type aumenta il contenuto di proteine di almeno il 10% rispetto all’allele portante la mutazione e al contempo aumenta in modo significativo anche il contenuto di zinco e di ferro nel seme.
 
Figura 2 – In alto: evoluzione della taglia delle varietà di grano duro nel corso del ‘900. In basso: trend nella relativa produttività (a sinistra) e contenuto proteico della granella (Fonte De Vita et al., 2007).

 
Tutti i farri selvatici portano la versione wild type cioè hanno il gene che determina un alto tenore proteico. Le popolazioni di farro domestico hanno prevalentemente l’allele wild-type, con alcune eccezioni rappresentate da popolazioni che presentano la forma mutata (basso contenuto di proteine), mutazione che molto probabilmente si è generata all’interno delle popolazioni di farro coltivato. Nelle popolazioni di frumento duro invece la forma mutata è molto frequente e nei frumenti coltivati moderni è l’unico allele presente. A ben vedere questo gene sarebbe perfetto per le esigenze qualitative dell’uomo moderno, ma perché un gene così utile secondo gli standard qualitativi attuali nel corso della selezione è stato di fatto escluso dai genotipi di maggior successo? Considerato che il frumento duro deriva dai farri, dove l’allele wild type è dominate, se oggi le varietà moderne portano tutte l’allele mutato significa che l’allele wild type è stato probabilmente contro-selezionato nel corso dei secoli. Perché? L’allele wild type accelera la senescenza delle foglie e facilita la rimobilitazione delle proteine e dei minerali nel seme, di conseguenza il seme risulta più ricco di minerali e di proteine. Tuttavia, anticipare la senescenza implica una riduzione della produttività, circa un 10%, stimato nel confronto tra linee isogeniche. 
L’allele mutato, al contrario, ritardando la senescenza consente un prolungato grain filling che determina semi più grandi e maggiore produzione. Semplicemente nel passato l’uomo ha selezionato per produttività, l’unica vera esigenza fino a pochi decenni fa, quindi un gene, pure utile da un punto di vista qualitativo, ma che riduce la produttività, è stato coerentemente escluso dalle varietà migliori. Dopo la scoperta di GPC-B1, è iniziato un lavoro di miglioramento genetico per reinserire l’allele wild-type in alcune varietà al fine di elevare il contenuto di proteine, un fattore essenziale per fare pasta di alta qualità. 

UN GENE PER L’ACCUMULO DI CADMIO NEL SEME SELEZIONATO NEL CORSO DEI SECOLI 

Qualità non è solo la presenza di sostanze favorevoli è anche l’assenza di sostanze tossiche e anche per questo carattere possiamo avere fattori a controllo poligenico così come esempi di genetica mendeliana in grado di incidere pesantemente sul fenotipo. 
 
 
Figura 3 – Inserzione (in rosso) di 17 paia di basi locus Cdu-B1 che determina la comparsa di uno stop codon nell’open reading frame e sostanzialmente inattiva la proteina (da Maccaferri et al., 2019).

 
L’accumulo di cadmio nella cariosside è un chiaro esempio di un carattere negativo determinato da un singolo fattore genetico. Diversamente dal frumento tenero, il frumento duro quando cresciuto su un terreno che contiene cadmio, ha la tendenza ad accumulare cadmio, un metallo pesante altamente tossico, nel seme. Fortunatamente i terreni italiani, in generale, non contengono cadmio per cui il problema è marginale; tuttavia, nell’Europa settentrionale o nel Canada il problema può diventare rilevante. Non tutte le varietà però sono in grado di accumulare cadmio allo stesso modo, esiste una diversità genetica determinata da un gene denominato Cdu-B1 presente sul cromosoma 5B (Maccaferri et al., 2019). Sono noti due alleli al locus Cdu-B1, una versione wild-type che è associata all’assenza di cadmio nel seme ed una versione mutata caratterizzata da una duplicazione di 17 paia di basi che determina la comparsa di uno stop codon nell’open reading frame e sostanzialmente inattiva la proteina. Cdu-B1 codifica per un trasportatore di metalli attivo a livello radicale e la sua inattivazione impedisce la compartimentalizzazione del cadmio nei vacuoli delle cellule radicali. In presenza dell’allele mutato il cadmio entra passivamente nella radice, non viene accumulato nei vacuoli delle cellule radicali, e viene piano piano traslocato al seguito del flusso traspiratorio nelle foglie e nei semi.
L’allele wild-type di Cdu-B1 è l’unico allele presente nei farri selvatici, la mutazione comparve nelle forme coltivate di farro e successivamente venne selezionata dall’uomo nel corso dei millenni, in particolare nelle zone del Nord Africa. La maggior parte delle popolazioni di frumento duro nordafricane presentano l’allele mutato al locus Cdu-B1 e conseguentemente hanno la potenziale attitudine di accumulare cadmio nel seme. Come è noto gran parte delle popolazioni di frumento duro coltivati in Italia nell’Ottocento sono di origine nordafricana e da queste popolazioni sono state selezionate le prime varietà di frumento duro a cominciare dalla varietà Senatore Cappelli. A loro volta le prime varietà italiane hanno costituito anche la base di molti programmi di breeding internazionali. Considerato che la gran parte dei materiali nordafricani contengono l’allele mutato al gene Cdu-B1 è facile comprendere perché questo allele sia così diffuso nelle varietà moderne. Rimane però da capire perché gli agricoltori nei secoli passati hanno preferito, inconsciamente, l’allele mutato al locus Cdu-B1. Un’ipotesi è legata al possibile vantaggio per le piante con l’allele mutato quando cresciute in terreni poveri di ferro perché questo minerale viene trasportato insieme al cadmio e la carenza di ferro limita fortemente la produzione, ma mancano ancora prove chiare in merito. Tutto considerato Cdu-B1 è il tipico esempio di quel gene che l’uomo non avrebbe dovuto selezionare per fare prodotti di alta qualità, ma che invece è stato selezionato perché la necessità di aumentare la produzione si è accompagnata fino a pochi anni fa all’assenza di conoscenze scientifiche. 

CONCLUSIONI 

Come abbiamo visto la qualità è un concetto nuovo nella storia millenaria del miglioramento genetico e quello che ha fatto l’uomo nel passato non è esattamente seguire i criteri qualitativi che ci siamo dati oggi. Quindi se pensiamo che la pasta buona sia quella di oggi allora probabilmente il frumento del passato non hanno certamente le caratteristiche qualitative dell’iconica pasta italiana. 

ALCUNE REFERENZE PER APPROFONDIRE GLI ARGOMENTI TRATTATI

Colasuonno P, Marcotuli I, Blanco A, Maccaferri M, Condorelli GE, Tuberosa R, Parada R, Costa de Camargo A, Schwember AR, Gadaleta A, 2019. Carotenoid pigment content in durum wheat (Triticum turgidum L. var durum): An overview of quantitative trait loci and candidate genes. Frontiers in Plant Science, 10: 1347. De Vita P, Li Destri Nicosia O, Nigro F, Platani C, Riefolo C, Di Fonzo N, Cattivelli L, 2007. Breeding progress in morpho-physiological, agronomical and qualitative traits of durum wheat cultivars released in Italy during the 20th century. European Journal of Agronomy, 26: 39-53. Maccaferri M, et al. 2019. Durum wheat genome highlights past domestication signatures and future improvement targets. Nature Genetics, 51: 885–895. doi: 10.1038/s41588-019-0381-3. Pozniak, C.J., Knox, R.E., Clarke, F.R. et al. Identification of QTL and association of a phytoene synthase gene with endosperm colour in durum wheat. Theor Appl Genet 114, 525–537 (2007). https://doi.org/10.1007/s00122-006-0453-5 Uauy C, Distelfeld A, Fahima T, Blechl A, Dubcovsky J, 2006. A NAC gene regulating senescence improves grain protein, zinc, and iron content in wheat. Science 314, 1298–1301. doi: 10.1126/science.1133649 Verlotta A, De Simone V, Mastrangelo A M, Cattivelli L, Papa R Trono D, 2010. Insight durum wheat Lpx-B1: a small gene family coding for Lipoxygenase (LOX) responsible for carotenoid bleaching in mature grains. BMC Plant Biology, 10: 263.


 Articolo uscito in origine sul sito del Mulsa, atti  Mendel.



LUIGI CATTIVELLI
 
Direttore del CREA Centro di Ricerca Genomica e Bioinformatica di Fiorenzuola     d'Arda, PC. Genetista ed esperto di miglioramento genetico dei cereali. 

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