di Luigi Mariani
In tali condizioni le ferie costituiscono comunque per molti un’occasione di contatto con lo spazio rurale e forestale e dunque possono rivelarsi sia un’occasione per una riflessione serena sul nostro rapporto con la natura sia un’occasione di conoscenza.
Consentitemi dunque di
iniziare questa riflessione con quelli che per molti saranno solo
aridi elenchi e che ricostruisco così, a memoria, senza aprire testi
che avrebbero come unico risultato di farmeli di molto allungare.
Vegetali della nostra
flora spontanea con frutti eduli: rosa canina, uva selvatica,
crespino, susino selvatico pero selvatico, nespolo (non quello con
frutti gialli, il cosiddetto nespolo del Giappone, ma il vero
nespolo, quello con frutti color marroncino, che maturano con il
tempo e con paglia …) e poi azzeruolo, fico, sorbo, lampone, rovo,
gelso, mirtillo, tasso, pino da pinoli, olivello spinoso, corbezzolo,
nocciolo, noce, ciliegio selvatico.
Vegetali della nostra
flora spontanea con fusti, foglie, rizomi o tuberi eduli:
borraggine, tarassaco, lattuga, pungitopo, asparago selvatico,
luppolo, portulaca, crescione, salicornia, finocchio selvatico,
santoreggia, timo, aglio selvatico, carota selvatica, girasole da
tuberi, ortica.
Potrei proseguire
elencando i funghi mangerecci (che sono la maggioranza delle specie)
ma mi fermo qui per non annoiare oltre misura e vengo alla domanda
che scaturisce da questi elenchi: quanti di noi hanno avuto
l’occasione di assaporare questi frutti della terra? E se non li si
è mai assaporati come si pensa di poter capire il significato vero
di quel che provava San Francesco quando scriveva “Laudato si',
mi' Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et
governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.”?
Lungi da me l’invitare
qualche lettore sprovveduto a nutrirsi di frutti selvatici, in quanto
il rischio se non li si conosce bene è quello di procurarsi un
avvelenamento. Infatti l’elenco che segue riporta una serie di
specie velenose proprie della nostra flora e che consiglio vivamente
di saper riconoscere prima di avventurarsi in temerari assaggi:
oleandro, belladonna, brionia, scilla marittima, cicuta, colchico,
digitale, parecchie specie di funghi.
Personalmente tuttavia,
avendo avuto la ventura di disporre di buoni maestri, mi sento in
grado muovermi in qualunque ambiente di pianura o montagna trovando
qualcosa da mangiare in qualunque stagione e questo mi ha portato da
tempo a maturare l’idea che la natura a tutte le latitudini sia più
che mai benigna nei confronti dell’uomo.
Tuttavia è a mio avviso
ideologico e privo di fondamento razionale il considerare la natura
comunque buona e magari l’uomo come distruttore, secondo luoghi
comuni che appartengono ad un certo ecologismo di maniera e che oggi
sono tanto diffusi da far considerare dai più il termine “naturale”
come sinonimo di “buono, genuino, salubre”.
Per dimostrare la falsità
di tali assunti basta considerare la seguente notizia datata fin che
volete (è dell’estate 2011) ma ancor oggi densa di significato (leggi qui) : “Tragedia in
Norvegia. Un orso polare ha azzannato e ucciso un 17enne britannico
in vacanza nell'arcipelago delle Svalbard, nel mar Artico, ed ha
ferito altri quattro suoi compagni di viaggio, due giovani e due
adulti. Lo ha riferito il vice governatore di Svalbard, Lars Erik
Alfheim, secondo cui, "in questi giorni in cui il ghiacchio si
scioglie e non è improbabile imbattersi negli orsi polari, che sono
estremamente pericolosi e possono attaccare senza alcun motivo".
I turisti attaccati facevano parte di un gruppo di 80 persone tra i 16 ed i 23 anni in vacanza con la "British Schools Exploring Society" nei pressi di un ghiacciaio sull'arcipelago norvegese. I quattro feriti, tra cui due leader del gruppo, sono stati trasferiti in elicottero a Tromsoe, nel nord della Norvegia.”
I turisti attaccati facevano parte di un gruppo di 80 persone tra i 16 ed i 23 anni in vacanza con la "British Schools Exploring Society" nei pressi di un ghiacciaio sull'arcipelago norvegese. I quattro feriti, tra cui due leader del gruppo, sono stati trasferiti in elicottero a Tromsoe, nel nord della Norvegia.”
Una notizia tristissima
(basti pensare al dolore dei genitori della vittima) e che ci
richiama all’estrema prudenza con cui va affrontato l’ambiente
naturale allorché sia presumibile la presenza di animali selvatici
pericolosi come d esempio orsi, lupi o vipere. Ad un tale
atteggiamento dovrebbe invitare l’educazione impartita a livello
scolastico e la stessa informazione televisiva, che invece appare più
che mai orientata a fornirci un’idea tranquillizzante o addirittura
idilliaca degli animali più pericolosi (vi ricordate la reclame
della Golia che aveva per protagonisti dei cuccioli di orso polare e
la nota presentatrice televisiva di fede ecologista Licia Colò?).
La natura va dunque
affrontata con prudenza sia per i rischi insiti nel mondo vegetale e
animale sia per il pericolo costituito dagli elementi naturali, prima
di tutto le avversità meteorologiche. Un esempio a quest’ultimo
proposito ci viene dal povero Pastore protestante che durante il
meeting sul riscaldamento globale tenutosi a Copenaghen nel novembre
2009 inforcò la sua bicicletta per coprire i molti chilometri che
separano la sua cittadina dalla sede del meeting stesso utilizzando
un mezzo a basso impatto ambientale e rimase vittima di una tormenta
di neve che, in barba al global warming, imperversava nella zona.
Da questi esempi può
prender corpo la chiave di lettura opposta (ed a mio avviso
altrettanto parziale di quella “buonista”) secondo cui la natura
è per “sua natura” avversa all’uomo. Molti spunti in proposito
ci possono venire dalla lettura del Leopardiano “Dialogo della
natura e di un islandese” (leggi qui).
Credo allora che oggi sia
anzitutto da superare l’approccio superficiale alla natura ed ai
suoi fenomeni, sempre più frequente fra gli abitanti delle città,
per giungere ad un approccio culturale fondato sulla capacità di
riconoscere e conoscere piante, animali, e altri elementi chiave del
paesaggio naturale (rocce, minerali, nubi, ecc.).
Vale a questo punto la
pena di ricordare che in questo articolo ho citato solo nomi comuni
ma che la nomenclatura più utile a scopi conoscitivi e scientifici è
quella binomia, espressa in lingua latina e definita nel XVIII secolo
dal grande scienziato svedese Linneo
(leggi qui). Tale nomenclatura è
utilissima per scambiare informazioni fra persone di lingue diverse e
permette di designare in modo univoco piante, animali o anche nubi.
Ad esempio Populus alba sottospecie italica è il
nostro pioppo cipressino, Ursus maritimus è l’orso bianco e
Cumulonimbus capillatus è una delle nubi che generano i
temporali.
Per inciso ricordo che il
dare un nome alle cose (in gergo stabilire una tassonomia) è
essenziale per sviluppare una scienza, in quanto tassonomia e scienza
vanno a braccetto da tantissimo tempo, per lo meno fin da quando i
nostro antenati cacciatori-raccoglitori dettero nomi a tutte le
specie animali e vegetali con cui ebbero rapporti. Di questa
conoscenza primigenia c’è traccia nello stesso racconto biblico.
Infatti Noè, secondo il comando di Dio, poté condurre due animali
di ogni specie sull’arca solo perché ne conosceva il nome.
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