sabato 18 aprile 2020

PUBBLICITÀ ILLEGALE, MA INTENZIONI IMMACOLATE

di ANTONIO SALTINI




Chi scrive ebbe in dono dall'Onnipotente la nascita in famiglia carpigiana dalle antiche, profonde radici religiose, dalle quali, autentico miracolo della meravigliosa nonna Filomena, sarebbe germogliato un autentico giardino di campioni della fede che avrebbero prestato contributi luminosi alla vitalità della pratica cristiana nel comprensorio in cui si inframmettono le campagne modenesi, quelle reggiane e quelle mantovane: la zia Nina, già elevata agli onori degli altari, lo zio Vincenzo, che, osteggiato da un vescovo opportunista, sarebbe stato trasferito, dall'autorità del cardinale Lercaro, nella propria diocesi di Bologna, dove sua Eminenza gli avrebbe affidato compiti di estrema delicatezza.
Poi la zia clarissa, Scolostica, e il campione di cento scontri politici, sociali, ecclesiastici, don Zeno, personalità dall'immensa generosità, fremente di un amore smisurato per i fanciulli reclusi in brefotrofi o case di correzione, e dalle cento e una contraddizioni, fantasioso, impulsivo, dispotico, dotato dell'immaginazione che gli suggeriva, contemporaneamente, cento intraprese, una sola delle quali avrebbe imposto la schiera di collaboratori più capaci e sagacemente guidati, due condizioni che, sempre inassolte dai suoi avventurosi propositi, lo avrebbero veduto spegnersi, dopo decenni di vani cimenti, senza intravvedere neppure l'aurora del grande sogno, quella Nomadelfia che avrebbe dovuto costituire l'embrione di un'umanità nuova fondata sul più rigoroso comunismo cristiano, quel comunismo che, tentato, senza successo, dagli Apostoli all'indomani della Pentecoste, nella Chiesa sarebbe stato perseguito, ancora, da più di uno spirito appassionato, che non ne avrebbe mai superato le sovrumane difficoltà. A quattro decenni dalla morte non ho udito un visitatore solo della comunità riferire di avervi percepito un indizio del lievito che, secondo l'espressione evangelica (Matteo, 13, 31-35) provoca la fermentazione della massa che si convertirà in pane, la realizzazione del sogno di don Zeno di innescare la rinascita cristiana, quindi sociale, economica, politica, dell'intera società umana.

Negli anni roventi della Ricostruzione don Zeno sarebbe stato, per quasi un decennio (1945-1952), personaggio di risonanza nazionale, fino a quando lo scontro, ingenuamente ricercato, contro i dioscuri della Democrazia Cristiana, Mario Scelba e monsignor Giovanni Battista Montini, cui l'apostolo carpigiano imputava l'ispirazione borghese e filocapitalista impressa al partito cattolico, lo condusse allo show-down che lo costrinse a lasciare il fertile humus in cui arringava, in dialetto carpigiano, piazze ricolme coartandolo all'esilio in una Maremma, dove la sua lingua non la capiva nessuno, dove uno statista di genio, Giuseppe Medici, senatore modenese, affrontò l'ardua impresa di assicurare un rifugio al prete più amato della propria provincia, al quale era stato sospeso ogni potere sacerdotale, e cui una contessa milanese aveva donato una vastissima, ma sterile, fattoria nelle colline maremmane, dove il prete carpigiano avrebbe vissuto, con i superstiti della "città della fraternità" creata nell'ex lager di Fossoli, tredici anni di sacrifici inenarrabili, autentica penitenza sacrificale, che ebbero termine quando Giovanni XXIII, annunciato, nel 1965, il futuro Concilio Vaticano, gli restituì la pienezza dei poteri sacerdotali, accendendo, in chi ancora lo amava, la certezza che sarebbe stato, con l'esuberanza di lustri non ancora remoti, tra gli uomini a fianco del grande Pontefice nell'apprestamento delle linee guida del Cristianesimo dei tempi futuri.

Abbattimento di reticolati e mura del campo di concentramento di Fossoli.
Concludo la breve rievocazione di una storia lunga e dalle mille repentine diversioni con una necessaria annotazione personale: terminavo, quell'anno, il liceo, avevo sempre amato lo zio, il cui sogno di una società fondata su un perfetto comunismo cristiano mi aveva sempre incantato. Quando lo zio celebrò, su un vecchio camion, la "seconda" prima messa lo seguii tra le lacrime: la mattina seguente, tornato a Modena, informai papà e mamma che avevo deciso che terminato, entro cinque mesi, il liceo, avrei condiviso l'avventura apostolica dello zio, cui, raggiunta, in luglio, la tendopoli alla Verna in cui preparava i seguaci alle nuove straordinarie imprese, sarei sempre stato a fianco, in quattro anni che sarebbero stati, senza possibilità di dubbio, i più incresciosi della mia vita. Lo zio aveva ricevuto, per la circostanza, ingenti supporti finanziari, che dilapidò (non esiste termine sostituibile) in cento imprese che appena intraprese si rivelavano castelli di carte, di cui i collaboratori, anche i più fedeli, non erano mai invitati a discutere l'esito, sistematicamente rimproverati come i colpevoli dell'ultimo fallimento.


E reputo doveroso annotare che ciascuna di quelle imprese costò alla sparuta schiera degli autentici seguaci sacrifici sovrumani, che la bigotteria devota che ammirava la fantastica pirotecnia dello zio ignorava senza alcuna considerazione per chi tentava, con mezzi sempre sproporzionati, la realizzazione di miracoli che solitamente, contro le certezze del Patriarca, non si realizzavano mai. Potrei citare più di un nome, di persone anche a me vicinissime, che ai medesimi sacrifici non avrebbero retto un giorno solo e che, distesi nel parco della lussuosa villa al mare, deprecavano che lo zio non disponesse di collaboratori della "loro" tempra.
Ritengo altresì doveroso, in questa breve nota, ricordare questi autentici eroi dell'abnegazione cristiana: Dario, Nelusco, Mariano, Carlino, Armando, Pietro, Mino, Giovanni, Lodovico, Sperindio, Carletto, Cesare, Sergio, Germano, Mario e Gianni, senza dimenticare le donne, le prodigiose "mamme di vocazione", a pieno diritto assurte, a differenza degli uomini, a protagoniste di un'autentica saga dell'amore cristiano per il bambino che abbia perduto la mamma: Norina, Elis, Marinetta, Zaira, Giorgia, Enrica, Luisa, Agnese, Sirte.
Scomparso al termine della lunga sequenza di cimenti falliti, il ricordo di don Zeno non accendeva le fulgide memorie di cui egli stesso si sarebbe reputato degno. Peraltro il contesto organizzativo in cui aveva lasciato Nomadelfia era oltremodo precario, se non equivoco: erede di una tradizione familiare radicalmente maschilista, lo scrive chi di quella tradizione, dal tempo dei nonni potrebbe proporre cento prove, per la sua comunità aveva scritto una costituzione che non prevedeva che alle donne fosse concesso l'accesso ad alcuna carica statutaria. Non stimando, però, nessuno dei collaboratori all'altezza del compito di protrarne l'opera, aveva rimesso l'assoluto controllo delle casse sociali e delle relazioni con le autorità religiosa a colei che sarebbe stato, seppure il titolo sia controverso, la prima delle "mamme", la signora Irene Bertoni, che, unica titolare delle chiavi della cassa, dalla morte di don Zeno alla propria sarebbe stata l'autentica autocrate della comunità, disponendo, a indiscutibile arbitrio, l'elezione dei successivi presidenti, formalmente confermata da un'assemblea priva, in base a una costituzione che tutto era tranne espressione di genuina democrazia, di qualunque potere.

Don Zeno sarebbe stato, quindi, dimenticato se un gruppo di cronisti locali non avessero scoperto nel suo ricordo l'occasione per compilare volumetti commemorativi, le cui prime edizioni comparvero, nel 2000, in corrispondenza alla celebrazione del centenario della nascita, per la quale la signora Bertoni, palesemente, ormai, l'autentica erede morale, si impegnò in un programma scintillante, fondato sul sottinteso presupposto, cento volte adombrato da don Zeno medesimo, che la coppia formata da lui medesimo e da Irene sarebbe stata la copia perfetta di quella costituita da San Francesco e Santa Chiara: Si licet parva componere magnis. Beppe Lopetrone, il grande fotografo di moda cresciuto, siccome rimasto senza famiglia, a Nomadelfia, e assurto ai riflettori delle sfilate di Milano e Miami, realizzò l'impresa maggiore della circostanza, un grande volume che raccoglieva le immagini scattate da tutti i fotografi, alcuni maestri di fama, che si erano cimentati, dall'"occupazione" del lager di Fossoli, con l'eroe del comunismo evangelico.
Beppe stesso ricordava perfettamente, della circostanza, i sontuosi cachet versati ai pennivendoli ingaggiati per l'occasione, a condizione, ovviamente che celebrassero il don Zeno che pretendeva la signora Bertoni, esente da qualunque intemperanza, impennata, valutazione erronea, inavvedutezza: la perfezione cristiana incarnata, in precedenza, solo da Paolo di Tarso, cento miglia al di sopra degli imitatori, Agostino, Ambrogio, Martino, Atanasio, che in quattro anni non lo ho mai udito citare, per non menzionare le schiere gloriose dei Padri orientali ed occidentali, che pareva compiacersi di non avere mai letto.
Riscoperto il personaggio chiave, il mercatino dei libercoli sulla famiglia Saltini, suore e preti, si è dispiegato offrendo l'occasione di inchiostrare carta a più di un tipografo carpigiano, sviluppandosi fino agli anni più vicini. 
A questo punto mi accorgo, un giorno recente, di essere stato risucchiato anch'io, contro ogni intenzione, nel business della letteratura agiografica sulla famiglia Saltini. Ho scritto, preciso, un volume sulla storia dello zio che, stilato con il proposito di scrivere un testo secondo i canoni sempre usati come storico della scienza, non ha seguito i dettami dell'Ape regina di Nomadelfia, ma, fondamentalmente, le conoscenze personali, quattro anni di conversazioni con i collaboratori, i progetti e gli insuccessi, nell'età straordinaria del Concilio Vaticano, del profeta di una luminosa utopia evangelica. Se la torma di scrittorucoli che non hanno mai incontrato don Zeno una volta, non hanno mai scambiato una parola con uno solo dei collaboratori che per Nomadelfia hanno gettato l'esistenza, io, che in auto con la zio ho percorso decine di migliaia di chilometri, ascoltatone i progetti, le amarezza, i giudizi, che l'avventura della propria vita mi ha narrato, correndo il contachilometri, nei dettagli più segreti, ho scritto di un uomo, della sua generosità, dei suoi sogni, delle sue illusioni. 
Nel mercato rionale dell'agiografia prezzolata sono stato risucchiato, ho scoperto, a opera di una casa editrice pretesca, la società San Paolo, che ha prodotto un'intera collana sulle personalità preminenti del Cristianesimo italiano del dopoguerra (Testimoni della Chiesa italiana), e che, verosimilmente, è stata convinta dagli agiografi del business saltinesco a inserire due intere pagine di pubblicità della collana nell'elenco dei miei scritti incluso nel sistema bibliografico nazionale. E' sufficiente rilevare che il catalogo SBN risponde a norme di legge rigorose, che nessun testo firmato Antonio Saltini è compreso nella collana, e che non ho mai avuto l'onore di firmare una riga per la medesima editrice, che il manifesto pubblicitario ha occupato abusivamente, due pagine del catalogo ufficiale degli autori e delle opere presenti nelle biblioteche italiane per verificarne il carattere illegale e abusivo.
Chiaramente sono stato risucchiato nella fanghiglia dell'agiografia prezzolata quale specchietto per le allodole: dato il cognome, la lunga collaborazione con lo zio, dato che sullo zio ho scritto un libro, qualcuno ha pensato che inserire i titoli dell'intera collana nella sezione, unicamente a me intitolata, del catalogo nazionale avrebbe prodotto chissà quali incassi. A chi attribuire il geniale machiavello? Le ipotesi non possono essere che due: uno degli agiografi beneficati dal denaro delle casse di Nomadelfia o qualcuno degli esponenti della pretesca società editrice. La scelta tra i due campioni non è agevole, ed è, probabilmente, inutile: un agiografo prezzolato, un inventore, cioè di santi, secondo le disposizioni del committente, e un prete in affari sono figure ugualmente spregevoli: il primo per le falsità che propaga tra bigotti e creduli, il secondo per la disponibilità a violare qualunque norma di legge siccome il nobile obiettivo di vendere vite di personaggi intemerati autorizzerebbe ogni frode e illegalità.
Annotazioni cui deve aggiungersi il rilievo che è inimmaginabile che all'accordo sia stato estraneo il denaro: il funzionario dell'SBN che ha inserito un intero manifesto pubblicitario in un elenco del tutto estraneo ha commesso, palesemente, un'azione illegale, che sarebbe impensabile un impiegato italico compisse senza un tornaconto adeguato. La controparte sarebbe stata, verosimilmente, la persona più accattivante. Mai conosciuto un prete in affari? Felice chi possa negare. Il negoziatore dell'editrice pretesca che, solo o in buona compagnia, ha immaginato di accollare all'ultimo Saltini vivente in Italia il ruolo di specchio per allodole possedeva certamente le peculiarità di chi maneggia denaro in clergyman: viscido, untuoso, ilare ma non simpatico, sempre pronto alla barzelletta, generalmente ecquivoca, guidato da una cieca bramosia di carriera, e di denaro, di tanto denaro per le mille opere di santità che si rincorrono nei suoi sogni.
Comunque si chiami gli invio un augurio sincero: legarsi con la medesima sodalità che un papa recente stabilì con l'arbitro e mediatore di tutte le mafie italiche, attraverso quelle italiche a quelle mondiali, potendo immergere le braccia, o farle immergere al cardinale di fiducia, nell'immenso scrigno dei traffici d'armi, di stupefacenti, di prostitute e di quanto si muova in sintonia.
E al partner dell'impresa appartenente alla schiera degli agiografi prezzolati confido che ne conosco il nome, che non posso menzionare mancandomi il supporto dell'amico Beppe, un inconveniente cui sopperirò scrivendone i connotati in una busta sigillata che consegnerò ad un notaio, perchè sia disonorato per sempre chi ha fatto carne di porco e occasione di lucro di una vicenda insieme grandiosa e tragica, meritando il disprezzo che la malavita partenopea dirige a "o ladro e' chiese", il ladro che, rubando arredi sacri disonora l'intera categoria. Tra il furto di un calice e la falsificazione di una vicenda costituente nobile, quanto utopico, sogno cristiano, non sussiste, il compare lo chieda a qualunque confessore, alcuna differenza.





Antonio Saltini 
Già Docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e Vita. E' autore della Storia delle Scienze Agrarie opera in 7 volumi.

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