giovedì 10 dicembre 2020

L’IMMORTALE BRITANNO

MICHELE LODIGIANI

PER PAGINE E FOTOGRAMMI " I TEMPI DELLA TERRA

 

Recensione su Monaldo Leopardi e il vaccino contro il vaiolo

di Valentina Sordoni

 

"The Cow Pock or the Wonderful Effects of the New Inoculation". Caricatura in forma grottesca del 1802 del vignettista James Gillray, ai tempi di Edward Jenner.


Fino a qualche decennio fa gli storici della letteratura riservavano a Monaldo Leopardi, padre del più celebre Giacomo, un trattamento assai poco lusinghiero, riferito quasi esclusivamente alle sue opinioni politiche – apertamente conservatrici – e alle costrizioni imposte al figlio, che certo influirono non poco sul suo carattere favorendone forse l’inclinazione personale, prima ancora che filosofica, al “pessimismo cosmico”.
Più recentemente alla sua figura è stata attribuita maggior considerazione attraverso una rivalutazione della sua biografia e delle sue opere, con il riconoscimento di una personalità la cui complessità non può certo essere inquadrata in una rappresentazione stereotipata. In questo filone, “cercando di superare, documenti alla mano, la tradizionale immagine retriva trasmessa nel corso del tempo” – questa l’intenzione dichiarata dell’autrice – si inserisce l’interessante saggio di Valentina Sordoni, che del rapporto fra Leopardi e la scienza ha fatto il suo ambito privilegiato di ricerca e che con un ossimoro assai efficace, “reazionario illuminato”, sintetizza la figura di Monaldo. Egli poteva infatti perorare improbabili restaurazioni di troni ormai irrimediabilmente decaduti e nel contempo dimostrarsi anticipatore nell’adozione delle più moderne pratiche scientifiche; professare la più assoluta fedeltà all’altare e insieme mostrarsi scettico di fronte a episodi miracolistici, per lui giochi di “fantasia riscaldata” o ancora “inganno dei sensi”; sposarsi per amore senza l’approvazione materna – la famiglia non partecipò alla cerimonia – e poi costringere Giacomo ad una affettuosa ma soffocante tutela, subita come una prigionia nel “natio borgo selvaggio”. Ecco allora che, riconoscendone la complessità, la personalità di Monaldo assume una dimensione di tutt’altro segno rispetto a quella che convenzionalmente gli si attribuisce. Reazionario, certo, nelle sue opinioni politiche, non lo fu affatto nella pratica amministrativa cui le circostanze e il censo lo chiamarono, razzolando assai meglio di quanto non predicasse. Fermamente ostile a Napoleone – si racconta che quando questi passò fugacemente per Recanati egli rifiutò persino di affacciarsi alla finestra – assicurò al suo esercito (che riteneva “di occupazione”, certo non “di liberazione”) una fredda e dignitosa collaborazione volta prioritariamente alla salvaguardia dei concittadini, astenendosi però – non senza rischi personali – da qualsivoglia atto o atteggiamento tacciabile di collaborazionismo. Nelle vesti di Gonfaloniere – la più alta carica politica a Recanati – promosse la costruzione di strade e ospedali, l’illuminazione pubblica, l’attività teatrale; nel corso della carestia del 1816-17 distribuì gratuitamente medicinali ai bisognosi, assicurò lavoro agli uomini nei cantieri e alle donne nella filatura della canapa; rese obbligatoria la vaccinazione contro il vaiolo dopo averla sperimentata sui propri figli. Una sensibilità, quella di Monaldo, certo dovuta ad un’indole altruista e compassionevole, ma alimentata anche dalle letture sull’argomento che non si faceva mancare, incrementando e aggiornando costantemente il catalogo di una biblioteca di impronta illuminista che contava circa 20.000 volumi, che ai libri di Edward Jenner – l’Immortale Britanno, secondo la definizione del nostro, scopritore del vaccino contro il vaiolo – ne affiancava molti altri di carattere scientifico, altri ancora all’epoca messi all’indice (aveva ottenuto la dispensa papale per accedervi e ne permise la lettura ai figli e, inaudito, perfino alla figlia: niente male per un reazionario!) e alla quale – con una generosità e una modernità che stupiscono – dal 1812 diede libero accesso ai suoi concittadini.

Jenner sperimentò con successo il suo vaccino nel 1796. Nella primavera del 1801, mentre la malattia imperversava nel borgo, fu vaccinata (per prima nello Stato Pontificio) Paolina Leopardi; il trattamento fu ripetuto il 2 ottobre, questa volta estendendolo anche a Giacomo e Carlo. Soltanto nel 1888 la vaccinazione divenne obbligatoria nel Regno d’Italia e ci volle ancora quasi un secolo per ottenere, nel 1980, la definitiva eradicazione della malattia. La memoria del vaiolo è quindi fortunatamente scomparsa ai nostri tempi, ma a ricordarcene i tristissimi effetti rimane un’estesa testimonianza letteraria, di cui Sordoni riporta in appendice una limitata ma assai drammatica antologia. Sono estratti da pagine di Cervantes, Dumas, Balzac, Flaubert, Turgenev, Dostoevskij, Gogol, Melville, Twain, Kypling, Hugo, Maupassant, Zola, D’Annunzio, Sartre, Solženicyn, Amado, che non ci risparmiano la descrizione di pustole, croste, miasmi: pagine che sarebbe utile leggessero i nostri “no vax”, che forse l’arte saprebbe piegare alla realtà più di quanto non sia riuscita a fare la scienza … o forse invece pretenderebbero di inserire anche gli illustri membri di questo pantheon letterario fra i prezzolati delle multinazionali farmaceutiche. Essi forse, nella convinzione assai poco leopardiana (con riferimento, questa volta, a Giacomo) che ciò che è naturale è in sé benigno, privilegerebbero senza coglierne il senso paradossale altre pagine, opera dello stesso Monaldo, che chiudono il libro. Ci si riferisce a quelle del “Ragionamento accademico in lode del vajuolo”, una dissertazione da lui tenuta nel 1803 nella quale con rocamboleschi sofismi si sostiene il ruolo provvidenziale della malattia, che colpisce senza distinzione di censo annullando in una parificante bruttezza il privilegio prevaricatore dei belli, escludendo la concupiscenza peccaminosa dalla vita coniugale che dovrebbe piuttosto basarsi su meno effimere virtù, strappando bambini ancora inconsapevoli dalla valle di lacrime nel quale sarebbero condannati a vivere per affidarli senza sofferenze alla beatitudine divina, e perfino provvedendo ad un equilibrato controllo demografico limitando una popolazione che le risorse naturali non sarebbero in grado di soddisfare. Non è chiaro, e l’autrice non dice, quanto questo scritto rifletta davvero il pensiero di Monaldo e quanto intenda invece costituire l’ironica condanna di un sentire non del tutto estraneo alla sua epoca: se da una parte esso appare in aperto contrasto con il primato acquisito nella vaccinazione dei figli prima e dei concittadini poi, dall’altra è indubbio che alcuni argomenti sono assai coerenti con la sua severa concezione religiosa che potrebbe averlo indotto, se non proprio a condividerli, almeno a comprenderli. A rafforzare questa ipotesi resta la testimonianza di Giacomo che nello Zibaldone, con riferimento alla madre Adelaide Antici, scrive: “Io ho conosciuto intimamente una madre di famiglia che non era punto superstiziosa, ma saldissima ed esattissima nella credenza cristiana, e negli esercizi della religione. Questa non solamente non compiangeva quei genitori che perdevano i loro figli bambini, ma gl'invidiava intimamente e sinceramente, perché questi eran volati al paradiso senza pericoli, e avevan liberato i genitori dall'incomodo di mantenerli. Trovandosi più volte in pericolo di perdere i suoi figli nella stessa età, non pregava Dio che li facesse morire, perché la religione non lo permette, ma gioiva cordialmente; e vedendo piangere o affliggersi il marito, si rannicchiava in se stessa, e provava un vero e sensibile dispetto. Vedendo ne' malati qualche segno di morte vicina, sentiva una gioia profonda (che si sforzava di dissimulare solamente con quelli che la condannavano); e il giorno della loro morte, se accadeva, era per lei un giorno allegro ed ameno, né sapeva comprendere come il marito fosse sì poco savio da attristarsene”.

In ognuno di noi convivono contrasti irrisolti, così come di ogni epoca si può dire che essa sia di transizione, in equilibrio dinamico fra i retaggi del passato e i travagli del divenire. Dei contrasti suoi propri e di quelli della sua epoca Monaldo fu una figura paradigmatica. Seppe sotto molti aspetti leggere i segni dei tempi, fu modernizzatore in alcuni campi (riguardo all’agricoltura promosse la messa a coltura di terreni boschivi e introdusse la coltivazione della patata e del cotone) e conservatore in altri, forse più per consapevolezza della storia che per rimpianto del passato: “Oggi – affermava – si pretende di costruire il mondo per una eternità e si soffoca ogni residuo e ogni speranza del bene presente sotto il progetto mostruoso del perfezionamento universale”, probabilmente un riferimento agli eccessi della Rivoluzione Francese ma insieme un’osservazione che ha trovato nei secoli successivi tragiche e sanguinose conferme, una ben espressa constatazione che porta a concludere che al destino umano avrebbe assai giovato qualche Monaldo in più e qualche Robespierre in meno. Inetto negli affari – anche per la sensibilità caritatevole verso i poveri, gli sperperi dei parenti e gli effetti dell’occupazione giacobina – ne fu ben presto escluso a favore della moglie, potendo così dedicarsi ai prediletti studi, riconoscendo tuttavia amaramente di avere “aperto infinità [di] libri, (…) studiato infinità di cose, ma tutto senza scopo, senza guida e senza profitto; sicchè arrivato agli anni maturi e aperti gli occhi”, confessa di non saper “cosa alcuna”, “rassegnato a vivere e morire senza esser dotto”, nonostante ne provasse “cupidissima voglia”, rimpianto questo che, si parva licet …, condivide con l’autore di questo articolo. 
 
 
L'articolo è consultabile in formato sfogliabile  su: https://www.itempidellaterra.it/
a pagina 69.
 
 
MICHELE LODIGIANI 
Agronomo, è agricoltore a Piacenza da più di quarant’anni. Per curiosità intellettuale e vocazione imprenditoriale è stato spesso pioniere nell’adozione di innovazioni di prodotto e di processo, con alterne fortune. Ha un rapporto di fiducia con la Scienza, si commuove di fronte alle straordinarie affermazioni dell’intelligenza umana (quando è ben impiegata), osserva con infinito stupore la meravigliosa armonia che guida i fenomeni naturali. 
 
 
 



1 commento:

  1. Caro Michele, complimenti per un articolo che ho letto con grandissimo piacere perché scrivi davvero bene!.
    Da parte mia sto leggendo una vecchia raccolta di saggi di Franco Foschi dal titolo Epidemie nella terra di Leopardi", in cui non solo si parla di Montaldo e del vaiolo ma anche dell'epidemia di colera che colpi Recanati nel 1831 e della malaria associata alla coltura del riso, allora praticata in zona,manifestatasi dal 1825.
    Un periodo tutt'altro che tranquillo, dunque.
    Quanto poi ai conservatori, ne ho esperienza da lettore e ammiratore del grande scrittore argentino Jorge Luis Borges, che si proclamava conservatore per timore del nuovo e che, credo per tale motivo, non vinse mai il Nobel... dal che si potrebbe forse desumere che quella del conservatore non e' il più delle volte una posizione di comodo e foriera di buona stampa.
    Un cordiale saluto.
    Luigi

    RispondiElimina

Printfriendly