sabato 27 febbraio 2021

LA VICENDA DEL GRANO “SENATORE CAPPELLI” SPIEGATA MEGLIO. Un recente saggio giuridico spiega perché non è così facile arrogarsi i diritti di esclusiva sulle varietà agrarie.


di SERGIO SALVI 


Nazareno Strampelli


Sulla vicenda che ha visto coinvolti il Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l'analisi dell'Economia Agraria (CREA) e la Società Italiana Sementi (SIS), in relazione all’esclusiva sulla riproduzione e commercializzazione della semente del grano Cappelli, si è scritto molto ma non si è detto tutto.

A colmare la lacuna - forse in maniera definitiva - è ora intervenuta Serena Mariani, dottore di ricerca dell’Università di Macerata, che in un saggio recentemente pubblicato sulla rivista Agricoltura Istituzioni Mercati spiega molto bene non solo il perché della condanna inflitta dall’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (AGCM) all’azienda bolognese, ma anche la validità delle ragioni degli agricoltori che si battono da tempo per la libertà di coltivazione del Cappelli1.

Com’è noto, la vicenda sorta intorno al grano duro creato da Nazareno Strampelli deriva da una controversia tra la SIS e alcune associazioni e organizzazioni di rappresentanza, in relazione all’accertamento della condotta commerciale tenuta dall’azienda nei confronti di alcuni coltivatori interessati all’acquisto della semente.

Ricapitolando i fatti, nel 2007 le aziende sementiere Scaraia e Selet avevano stipulato con la Fondazione Morando-Bolognini, poi confluita nel CREA, due contratti di “licenza di fatto” per la produzione e la commercializzazione della semente della varietà Cappelli sul territorio italiano dietro il pagamento di royalties.

Nel 2016, prima della scadenza dei contratti, il CREA aveva dato formale disdetta a Scaraia e Selet e indetto una nuova procedura finalizzata alla stipula di un “contratto di licenza esclusiva” per la varietà Cappelli, valido per tutto il territorio della UE. La procedura era stata avviata con la diffusione di un documento di “manifestazione di interesse” indirizzato alle aziende sementiere intenzionate ad acquisire l’esclusiva dei diritti di moltiplicazione e commercializzazione della varietà.

Dopo aver valutato le manifestazioni di interesse pervenute, il CREA aveva assegnato alla SIS la licenza esclusiva, stipulando il relativo contratto nel dicembre 2016.

L’avvio del procedimento da parte di AGCM nei confronti di SIS è stato disposto nel marzo 2019, contestualmente allo svolgimento di accertamenti ispettivi presso la sede dell’azienda bolognese. La fase istruttoria si è poi conclusa nell’ottobre 2019.

Nel provvedimento di avvio del procedimento sono state contestate alla SIS tre specifiche condotte: 

1) aver subordinato la fornitura del materiale riproduttivo della varietà Cappelli alla stipula di accordi che imponevano il conferimento dell’intero raccolto alla SIS; 

2) aver ritardato o addirittura rifiutato in maniera ingiustificata la fornitura di semente del Cappelli agli agricoltori richiedenti; 

3) aver aumentato significativamente i prezzi della semente in assenza di apparenti giustificazioni di tipo economico o tecnologico.

Nel novembre 2019, l’AGCM ha deliberato che le condotte commerciali tenute da SIS e aventi per oggetto la commercializzazione del Cappelli hanno costituito una violazione dell’art. 62 del decreto-legge 1/2012, il che ha determinato l’irrogazione di tre sanzioni amministrative pecuniarie del valore complessivo di 150.000 euro.

Sul piano giuridico - spiega Serena Mariani - l’attività sementiera in Italia è disciplinata dalla legge 1096/71, la quale poggia su due assunti fondamentali: la registrazione delle varietà vegetali nei registri nazionali e la certificazione dei lotti. Per alcune specie vegetali, la registrazione e la certificazione sono requisiti indispensabili per la commercializzazione delle sementi nel territorio nazionale e della UE.

Per quanto riguarda la registrazione, nessun diritto di esclusiva viene riconosciuto al costitutore in seguito all’iscrizione della varietà vegetale nel Registro nazionale e alla conseguente registrazione nel Catalogo comune. Infatti, lo strumento che consente di vedere riconosciuto tale diritto non è dato dalla registrazione, bensì dalla privativa, in accordo con quanto stabilito dalla Convenzione internazionale per la protezione delle novità vegetali (UPOV), il cui scopo è quello di promuovere la costituzione di nuove varietà vegetali per il benessere della collettività, attraverso la possibilità, per il breeder, di poter godere di un diritto di esclusiva per un certo periodo di tempo mediante la concessione di una privativa per le varietà di qualunque specie, purché siano nuove, distinte, sufficientemente uniformi e stabili.

La privativa, analogamente al copyright, riguarda le invenzioni e ha l’obiettivo di proteggere il titolare del diritto dalla riproduzione non autorizzata del bene protetto. Essa è uno strumento indipendente dalla registrazione, in conformità con quanto previsto dall’art. 18 della suddetta convenzione.

Ora, può accadere che i costitutori di una varietà equiparino l’iscrizione delle varietà vegetali alla concessione della privativa, non considerando, però, che le due norme perseguono finalità diverse: infatti, l’iscrizione è volta a tutelare la salute pubblica, mentre la privativa ha lo scopo di riconoscere un diritto di esclusiva al costitutore.

Nella prassi, può succedere che i diritti di esclusiva vengano creati di fatto, in assenza di una privativa sulla varietà protetta, com’è avvenuto nel caso del Cappelli.

In altre parole, può accadere che il costitutore della varietà iscritta nel Registro nazionale, che sia sprovvista di protezione varietale per effetto della scadenza della privativa o per mancata concessione della stessa, si arroghi un diritto di esclusiva sulla varietà sulla base della sola registrazione. Di conseguenza, può capitare che questo soggetto conceda a terzi il diritto esclusivo di riprodurre e commercializzare la suddetta varietà dietro il pagamento di royalties. Questo avviene attraverso quello che gli operatori del settore impropriamente chiamano “contratto di licenza esclusiva” per la moltiplicazione e lo sfruttamento commerciale della varietà, con il quale, tuttavia, il diritto di sfruttamento economico esclusivo viene concesso da chi - in realtà - non è titolare di alcun diritto di esclusiva sulla varietà in questione.

Anche il provvedimento Cappelli dell’AGCM ha preso il via da un’esclusiva sulla varietà Cappelli che il CREA sembra essersi attribuito in maniera erronea e che deriverebbe da un equivoco interpretativo tra “registrazione della varietà” e “concessione della privativa”, a causa del quale il supposto soggetto avente diritto ha ritenuto - erroneamente - di detenere la facoltà di escludere altri soggetti dalla moltiplicazione e commercializzazione della varietà. Un errore che può portare a gravi conseguenze, come insegna bene la vicenda del grano Cappelli.

In definitiva, privatizzare di fatto una varietà costituita oltre cento anni fa come il grano duro Cappelli e abusare della posizione di forza contrattuale conferita da tale monopolio - conclude Mariani - non è solo illegittimo ma anche iniquo, considerando che il Cappelli è stato per decenni nella libera disponibilità dei coltivatori.


1 Mariani Serena, Il grano della discordia: il provvedimento Cappelli dell’Agcm e la sentenza San Carlo del Tribunale di Roma, Agricoltura Istituzioni Mercati, n. 2/2018, pp. 133-159.


 
SERGIO SALVI
 
Biologo libero professionista, già ricercatore in genetica, è biografo di Nazareno Strampelli e cultore di storia agroalimentare. Si dedica alla divulgazione scientifica su temi d’interesse storico e di attualità. È Socio corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Marche.

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